Mese: Novembre 2023

Abuso edilizio e interventi successivi

Consiglio di Stato, sez. VII, 23 novembre 2023, n. 10039

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Interventi edilizi successivi

La normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive. Pertanto, la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.

Il condono straordinario ex lege n. 47/1985 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni. D’altra parte, v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.

Occupazione sine titulo

Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 23 novembre 2023, n. 885

Occupazione sine titulo – Istanza di acquisizione sanante – Obbligo di provvedere – Discrezionalità

Il dovere dell’amministrazione di far venire meno l’occupazione sine titulo, ossia di adeguare la situazione di fatto con quella di diritto non incisa dall’occupazione medesima, costituisce espressione del principio generale di legalità dell’azione amministrativa. Deve pertanto ritenersi la sussistenza di un obbligo di provvedere ex art. 2 l. n. 241/1990 sull’istanza del proprietario volta a sollecitare il potere di acquisizione ex art. 42-bis (o, in alternativa, a disporre la restituzione del bene), fermo restando il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla pubblica amministrazione sul merito dell’istanza.

Tettoia e titolo edilizio

Tar Lazio, Roma, sez. IV ter, 23 novembre 2023, n. 17395

Titolo edilizio – Intervento di nuova costruzione – Realizzazione di una tettoia – Vincoli ambientali e paesaggistici – Diniego di sanatoria – Onere motivazionale attenuato

La realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/01, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi ed impianti ed è quindi subordinata al regime del permesso a costruire, ai sensi dell’art. 10, comma primo, lettera c), dello stesso d.P.R., laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce.

Non sussiste la natura pertinenziale nel caso in cui sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata un’opera qualsiasi, quale può essere, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.

La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari.

Possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del decreto legge n. 269 del 2003, integrate dalle opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, mentre per le altre tipologie di abusi, riconducibili alle tipologie di illecito di cui ai nn. 1, 2 e 3, del menzionato Allegato, interviene una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive; la norma statale di cui all’art. 32, comma 27, del decreto legge n. 269 del 2003 è chiara nell’indicare come ostativa alla possibilità di rilascio del condono la realizzazione di opere recanti nuove superfici e nuovi volumi su aree soggette a vincoli posti a tutela dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere.

Il richiamo al vincolo paesaggistico insistente sull’area su cui sono stati realizzati gli abusi edilizi e alle caratteristiche di questi ultimi costituisce in primo luogo motivazione sufficiente a fondare i dinieghi di condono impugnati, con conseguente carattere vincolato del provvedimento di rigetto e sostanziale inutilità dell’accertamento di compatibilità paesaggistica; a nulla rileva la circostanza che l’Amministrazione non avrebbe correttamente indicato la natura del vincolo di cui ex lett. b) che rinvia all’art.142 lett. m) del d.lgs. 42/2004, atteso che la presenza di altri vincoli compiutamente identificati è idonea ex se a sostenere l’impianto motivazionale del provvedimento.

Edificazione disomogenea

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 22 novembre 2023, n. 3470

Pianificazione urbanistica – Piani attuativi – Tiolo edilizio – Silenzio-assenso – Attività vincolata – Preavviso di rigetto – Edificazione disomogenea

In assenza di pianificazione attuativa, è possibile l’edificazione nel caso, pressoché di scuola, in cui un terreno di ridotte dimensioni sia completamente circondato da edifici.

L’intervento costruttivo diretto può essere consentito purché venga accertata la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall’attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico. Invero, lo strumento urbanistico attuativo deve considerarsi superfluo una volta che è stata raggiunta la piena edificazione e urbanizzazione della zona interessata, raggiungendo, in tal modo, lo scopo e i risultati perseguiti dai piani attuativi.

Il silenzio-assenso in tema di permesso di costruire non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione e dell’adempimento degli oneri documentali necessari per l’accoglimento della domanda, essendo necessario che il privato dia, altresì, prova della sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi a cui è subordinato il rilascio del titolo edilizio, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo, la conformità dell’intervento progettato alla normativa urbanistico-edilizia. Con la conseguenza che non può dirsi formato il silenzio-assenso sull’istanza di permesso di costruire quando difettino i presupposti della richiesta attività edificatoria, ovvero quando l’istanza non sia stata accompagnata da tutti i requisiti previsti dalla legge potendo, in tal caso, il Comune provvedere negativamente anche con provvedimento tardivo.

Il potere amministrativo esercitato dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire costituisce attività vincolata, sostanziandosi in un esame della conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona, con la conseguenza della superabilità dei vizi meramente procedimentali.

L’amministrazione non ha un onere di confutare analiticamente le prospettazioni dell’istante a seguito del preavviso di rigetto e ciò a prescindere dal fatto che, con il provvedimento di conferma impugnato in sede di motivi aggiunti, l’intimata amministrazione abbia ampiamente argomentato in ordine al fatto che, nel caso di specie, non possa discutersi né di lotto intercluso, né di area residua.

In termini generali, laddove vi sia un’edificazione disomogenea, ci si trova di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona, con la conseguenza che: a. quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento; b. in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l’esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa se non alle suindicate condizioni che, come già visto, nel caso di specie non ricorrono; c. all’assenza del piano attuativo non può sopperirsi con l’imposizione di opere di urbanizzazione all’atto del rilascio del titolo edilizio.

Nuova costruzione e ristrutturazione

Tar Calabria, Reggio Calabria, 21 novembre 2023, n. 834

Intervento di nuova costruzione – Differenze dalla ristrutturazione – Vincoli ambientali e paesaggistici

In base all’art. 3, T.U. 380/2001, la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia presenta carattere eterogeneo, coesistendo, al suo interno, non soltanto quelli che danno luogo ad un “organismo edilizio” anche in tutto diverso dal precedente, ma anche quelli di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.

Nell’ambito di quest’ultima tipologia, il legislatore si è premurato di prevedere alcuni pregnanti limiti all’esplicazione dell’attività edilizia privata, ove essa vada ad impattare su preminenti interessi di matrice pubblicistica, prescrivendo, infatti, con riferimento agli immobili “sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, l’obbligo del mantenimento di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente”, nonché il divieto di incremento della volumetria.

L’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella trasformazione del territorio già compiuta, che può avvenire con due modalità operative, una conservativa e una sostitutiva della preesistente struttura fisica, mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/01, rientrano all’interno della categoria della ristrutturazione anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria rispetto all’edificio preesistente, senza necessità di identità di sagoma, a seguito dell’introduzione della legge n. 98/2013. È, infatti, in ipotesi di ricostruzione con volumetria diversa che si esce dall’ambito della ristrutturazione e si rientra nell’ambito della nuova edificazione di cui alla lettera e) del suddetto articolo 3, comma 1, del DPR n. 380/01.

Solo fino alla modifica apportata agli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380/2001 ad opera del d.l. n. 69/2013, convertito in L. n. 98/2013, la “ristrutturazione ricostruttiva” richiedeva, oltre alla preesistenza certa del fabbricato identificabile nelle sue componenti strutturali (c.d. demoricostruzione), anche l’identità di volumetria e di sagoma, vertendosi, in caso contrario, nella fattispecie della “nuova costruzione”; dopo la novella, di contro, l’identità di sagoma non costituisce più una condizione necessaria di tale tipologia di intervento edificatorio, salvo non ricorrano ipotesi derogatorie.

Commercio ambulante e la Direttiva Servizi

Consiglio di Stato, sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9104

Enti locali – Commercio – Suolo pubblico – Aree pubbliche – Direttiva servizi

Il commercio ambulante, o commercio su area pubblica, è una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante e tale attività rientra senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla direttiva 2006/123.

Si tratta di una attività che, infatti, era stata originariamente inclusa nell’ambito di applicazione del citato decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata “direttiva servizi”. L’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 e, quindi, della direttiva servizi si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale direttiva, che, come sopra detto, prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e tra esse non rientra il commercio su aree pubbliche.

Ferie e divieto di monetizzazione

Consiglio di Stato, sez. III, 2 novembre 2023, n. 9417

Lavoro pubblico – Ferie – Divieto di monetizzazione – Operatività – Rinuncia volontaria

Il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non di può derogare, sulla base della disposizione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, ai sensi del quale il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro, da interpretarsi nel senso che osta a disposizioni o pressi nazionali le quali prevedano che il diritto alle ferie annuali si estingua allo scadere del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto fissato dal diritto nazionale anche quando il lavoratore è stato in congedo per malattia.

Le “pergotende”

Consiglio di Stato, sez. VI, 14 novembre 2023, n. 9751

Titolo edilizio – Ristrutturazione edilizia – Inserimento di nuovi impianti e ridistribuzione dei volumi – Nozione di “pergotenda”

Gli interventi che alterino l’originaria consistenza fisica dell’immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia.

Per aversi una “pergotenda” l’opera principale deve essere costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

Lo “spazio religioso” nella pianificazione urbanistica

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 14 novembre 2023, n. 837

Pianificazione urbanistica – Libertà religiosa – Nozione di “spazio religioso”

L’azione amministrativa di governo del territorio incide su complesse “zolle sociali” involgenti diritti di rilievo costituzionale. Tra questi, un particolare livello di tutela risulta approntato per la libertà religiosa,

garantita dall’art. 19 Cost. che sostanzia un diritto inviolabile e tutelato al massimo grado dalla Carta Costituzionale.

La libertà di culto postula il diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare; tale pretesa, di diretta derivazione costituzionale, impone alle autorità pubbliche, su cui incombe il compito di regolare e gestire l’uso del territorio, di mettere a disposizione spazi pubblici per le attività religiose e di impedire che si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati, evitando discriminazioni per le varie confessioni nell’accesso agli spazi pubblici.

Se una comunità religiosa non può disporre di un luogo in cui praticare il proprio culto, il suo diritto di manifestare la propria religione diventa privo di sostanza, pertanto, la pretesa all’ottenimento o al mantenimento di un edificio di culto rappresenta un aspetto interno alla libertà religiosa.

Nell’ambito dei compiti, assegnati agli enti istituzionali, sussumibili nella nozione di “governo del territorio” rientra anche il potere di delimitazione dello “spazio religioso”, ovvero, uno spazio comune in cui il credo che accomuna un gruppo di individuarsi possa coagularsi e in tal modo esplicarsi nelle forme collettive e partecipative del culto.

Le determinazioni amministrative dirette ad assegnare determinate aree del territorio urbano alla professione di culti religiosi devono essere rivolte non solo a perseguire l’interesse al migliore e più efficiente assetto del territorio, ma anche l’interesse costituzionalmente protetto dell’individuo e dei gruppi, a manifestare la libertà religiosa, in tutti i suoi profili: le scelte costituenti espressione del potere di pianificazione, incidenti sul concetto di “spazio religioso”, devono essere adottate nel rispetto delle coordinate costituzionali, in modo da non comprimere, senza motivo, le libertà religiose, ovvero da non impedire od ostacolare irragionevolmente la possibilità di realizzare luoghi pubblici di culto, o di esercitare il culto nei luoghi privati, anche in forma collettiva.

Pianificazione urbanistica e oneri motivazionali

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 13 novembre 2023, n. 2620

Pianificazione urbanistica – Discrezionalità – Onere motivazionale attenuato – Aree destinate a parcheggio pubblico – Vincoli espropriativi e conformativi

La previsione che impone la realizzazione di un parcheggio, pur se l’infrastruttura è posta in prossimità di esercizi commerciali privati, integra una previsione di interesse pubblico, siccome posta a presidio dell’ordinata circolazione stradale e della piena fruibilità dell’area, interessi certamente riferibili a tutta la collettività.

Le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che siano inficiate per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle scelte effettuate e non richiedono una motivazione puntuale, che ponga in comparazione gli interessi pubblici perseguiti dall’ente pianificatore con quelli confliggenti dei privati.

Le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree; pertanto, seppure l’Amministrazione è tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano.

L’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.

La destinazione a parcheggio pubblico impressa in base a previsioni di tipo urbanistico, non comportando automaticamente l’ablazione dei suoli ed, anzi, ammettendo la realizzazione anche da parte dei privati, in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all’uso pubblico costituisce vincolo conformativo e non anche espropriativo della proprietà privata per cui la relativa imposizione non necessita della contestuale previsione dell’indennizzo, né delle puntuali motivazioni sulle ragioni poste a base della eventuale reiterazione della previsione stessa. Più in generale, va attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo, al contrario, la realizzazione di interventi da parte dei privati.