Mese: Febbraio 2024

Affidamenti in house e oneri motivazionali

Consiglio di Stato, sez. V, 26 gennaio 2024, n. 843

Servizi pubblici – In house providing – Onere motivazionale rafforzato – Valutazione di efficienza – Congruità economica

Anche in presenza di un principio di libera amministrazione circa le modalità di svolgimento di un servizio (ossia se in outsourcing oppure direttamente o in house) il ricorso al modello in house può essere condizionato alla dimostrazione dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna. In particolare, i vantaggi vanno espressi in termini di qualità dei servizi forniti.

In caso di affidamento diretto, occorre sempre dare specificamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato: la motivazione sottesa all’opzione internalizzante può essere unitaria, ogni qual volta le ragioni addotte giustifichino il mancato ricorso al mercato e integrino i richiesti benefici per la collettività attesi dal modello in house.

Invero, i benefici per la collettività attesi dall’organizzazione in house dello stesso e le ragioni del mancato ricorso al mercato costituiscono le due facce di una medesima realtà, di cui colgono, rispettivamente, gli elementi positivi (inclinanti la valutazione dell’Amministrazione verso l’opzione gestionale di tipo inter-organico) e quelli negativi (sub specie di indisponibilità di quei benefici attraverso il ricorso al mercato.

Sono tre i fattori che occorre valutare nel percorso motivazionale di cui all’art. 192, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (ratione temporis vigente), ossia in occasione della decisione di optare per il regime in house in luogo di quello outsourcing (ricorso al mercato mediante sistema di pubbliche gare) : A) le ragioni del mancato ricorso al mercato ossia il fallimento del mercato; B) i benefici per la collettività; C) la congruità economica dell’offerta.

L’affidamento in house non può rivelarsi preferibile rispetto alla opzione outsourcing unicamente per la generica ritenuta presenza di controlli più pregnanti (il che si tradurrebbe in una violazione dell’art. 192 per motivazione generica), ma è richiesto, in particolare, che sia predisposto un sistema di pianificazione e di controllo direzionale (attraverso ossia un meccanismo fluido e continuo di pianificazione, progettazione e gestione, nonché mediante un articolato sistema di obiettivi e indicatori di risultato) più efficiente, come risultante dalla misurazione dell’output ossia dei risultati effettivamente conseguiti.

Ed una valutazione di efficienza del concepito modello di gestione e di valutazione deve essere operata in concreto.

Con riferimento alla convenienza economica, l’art. 192 non impone che vi debba essere un risparmio in termini finanziari del modello in house (la disposizione di cui all’art. 192 parla infatti di “conguità economica” in sé ma non di maggiore convenienza o di risparmio in termini finanziari), dunque, non deve tenersi conto della differenza tra impatto finanziario (basato sulle mere uscite) ed impatto economico (basato sui costi ossia sul tasso di utilizzo delle risorse da impiegare). In particolare, la congruità economica deve essere valutata sia in termini puramente interni all’organismo in house (congruità economica endogena), sia in termini esterni ossia nei rapporti tra quest’ultimo e l’ente controllante (congruità economica esogena).

Istanza in sanatoria e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. II, 26 gennaio 2024, n. 853

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Onere probatorio

Grava sul richiedente l’onere di provare l’esistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria, tra cui, in primis, la data dell’abuso. Solo il privato può, infatti, fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso, mentre l’amministrazione non può materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio

Procedimento amministrativo e obbligo di provvedere

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 30 gennaio 2024, n. 767

Procedimento amministrativo – Obbligo di provvedere – Silenzio inadempimento – Acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. 327/2001 – Discrezionalità

L’art. 2 della l. 241 del 1990 reca il principio generale in forza del quale, se il procedimento consegue obbligatoriamente dalla presentazione di un’istanza da parte del privato, ovvero deve essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione a ciò competente ha l’obbligo di concluderlo, mediante l’adozione di un provvedimento espresso nei termini di legge.

Sebbene l’art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001 non contempli espressamente un avvio del procedimento ad istanza di parte, il privato può sollecitare la p.a. ad avviare il relativo procedimento e quest’ultima ha l’obbligo di provvedere al riguardo, essendo l’eventuale inerzia configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo. L’amministrazione ha, dunque, l’obbligo giuridico di esaminare le istanze dei proprietari volte ad attivare il procedimento di cui all’art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto e facendo comunque venir meno la situazione di occupazione “sine titulo” dell’immobile, con il ripristino della legalità.

Resta, comunque, fermo che la valutazione comparativa degli interessi in gioco e la conseguente decisione in ordine all’acquisizione o alla restituzione del bene rimane riservata alla sfera di discrezionalità dell’amministrazione.

Concessioni demaniali marittime, rinuncia e subentro

Consiglio di Stato, sez. VII, 25 gennaio 2024, n. 796

Concessioni demaniali marittime – Rinuncia da parte dell’originario concessionario – Subingresso – Silenzio assenso

In caso di rinuncia alla concessione da parte dell’originario concessionario e di contestuale richiesta al subentro di altra società, è esclusa l’operatività del silenzio assenso, ma deve essere seguita la procedura di cui all’art. 46 del R.D. n.327 del 1942 (cd. “codice della navigazione), che prevede, in occasione del subingresso, la necessità dell’espressa autorizzazione del concedente. Ciò è coerente con la ratio del provvedimento concessorio, che è basato sul cd. “rapporto fiduciario” che deve sussistere tra concedente e concessionario e che sarebbe frustrata laddove si ritenesse applicabile il procedimento semplificato di cui all’art.20 della legge sul procedimento alle ipotesi di subingresso nel rapporto. Né – per gli evidenti aspetti pubblicistici sottesi al rapporto – sarebbe applicabile la disciplina civilistica in tema di cessione del contratto, di cui all’art. 1406 c.c.

Il comma 2 dell’art. 46 cod. nav. regola la fattispecie dell’aggiudicazione con subingresso dell’aggiudicatario, (non solo) nel rapporto concessorio, ma anche nella titolarità degli impianti e delle opere costruiti dal concessionario su suolo demaniale. La norma, in previsione dell’esercizio del potere di riscatto da parte del concedente, regola la fattispecie subordinando l’efficacia del trasferimento all’espresso consenso del proprietario del bene demaniale su cui l’opera è costruita, il quale potrebbe volere mantenere il relativo potere nei confronti dell’originario concessionario, quanto meno come obbligato in solido alla restituzione, con il subentrante. Anche il primo comma dell’art. 46 citato prevede la necessità dell’autorizzazione del concedente per il subingresso.

Al di là del nomen iuris utilizzato dalla norma (autorizzazione), la disciplina relativa al subingresso nella concessione demaniale marittima delinea un istituto sui generis, contemporaneamente diverso dal rilascio della concessione (artt. 36 e ss. cod. nav.), ma anche dalla mera autorizzazione; si tratta, infatti, della sostituzione di un soggetto nell’ambito di un rapporto concessorio preesistente (del quale permangono le condizioni e scadenze), e dunque di una novazione soggettiva, che necessariamente partecipa della natura della concessione demaniale, configurando una sorta di fenomeno derivativo, rispetto al quale non opera il silenzio assenso, occorrendo invece un provvedimento espresso; tale soluzione trova indiretta conferma, sul piano sistematico, nella disposizione dell’art. 30 del reg. nav. mar., il cui comma 3 stabilisce che « qualora l’amministrazione, in caso di vendita o di esecuzione forzata, non intenda autorizzare il subingresso dell’acquirente o dell’aggiudicatario nella concessione, si applicano, in caso di vendita, le disposizioni sulla decadenza e in caso di esecuzione forzata le disposizioni sulla revoca»; in particolare, la previsione di una revoca dell’originaria concessione sembra escludere che il subingresso si fondi su di un mero provvedimento di rimozione di un limite ad un diritto preesistente.

L’intervenuto fallimento dell’originario concessionario, avendo inciso sulla sussistenza degli originari requisiti soggettivi, esclude, a monte, la capacità di quest’ultimo di disporre del suddetto rapporto.

Mezzi per la pubblicità

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 29 gennaio 2024, n. 72

Impianti pubblicitari su strade pubbliche – Diffusione pubblicitaria tramite transenne parapedonali – Regolamentazione comunale – Discrezionalità – Eccesso di potere – Affidamento del privato

Nel concetto di “mezzi per la pubblicità” rientrano anche le transenne parapedonali, quale “Mezzo pubblicitario”, facente parte della categoria “impianto pubblicitario di servizio”, a norma dell’art.4 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del nuovo Codice della Strada.

A norma dell’art. 47 comma 7 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del nuovo Codice della Strada, “si definisce impianto pubblicitario di servizio qualunque manufatto avente quale scopo primario un servizio di pubblica utilità nell’ambito dell’arredo urbano e stradale (fermate autobus, pensiline, transenne parapedonali, cestini, panchine, orologi, o simili) recante uno spazio pubblicitario che può anche essere luminoso sia per luce diretta che per luce indiretta”.

La censura di eccesso di potere per disparità di trattamento, a fronte di scelte discrezionali dell’Amministrazione, è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall’interessato, con la precisazione che la legittimità dell’operato della Pubblica amministrazione non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione.

La disparità di trattamento può essere fatta valere quale causa d’illegittimità provvedimentale solo in caso di perfetta identità delle fattispecie, e ciò a prescindere dal fatto che la sola diversità di trattamento non vale a dimostrare di suo un vizio di eccesso di potere, non potendo l’eventuale illegittimità commessa dall’amministrazione in altro frangente divenire valida ragione a sostegno delle proprie pretese.

Il principio di affidamento sostanzia un principio regolatore di ogni rapporto giuridico, inclusi quelli di diritto amministrativo. Più precisamente, esso viene identificato con la “fiducia ragionevolmente riposta”, con il “ragionevole convincimento” della spettanza del bene della vita, oppure con “l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito” dell’attività della Pubblica amministrazione.

Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti all’esercizio del pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari a canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato.

Elemento di fondamentale rilevanza nell’accertamento dei presupposti di tutela dell’affidamento è la dimensione soggettiva di chi ne allega la lesione, che consente di appurare se e in che misura il privato possa vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo poi annullato.

La responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento.

Pertanto, l’affidamento tutelabile in via risarcitoria deve essere ragionevole, id est incolpevole. Esso, quindi, deve fondarsi su di una situazione di apparenza costituita dall’amministrazione con il provvedimento, in cui il privato abbia confidato senza colpa.

Titoli edilizi e atti presupposti

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 15 gennaio 2024, n. 91

Procedimento amministrativo – Atto presupposto – Invalidità ad effetto caducante e viziante – Piano urbanistico e successivi titoli autorizzatori edilizi – Rapporto di presupposizione

In presenza di vizi accertati di un atto amministrativo presupposto, deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente a quello consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato (o annullato d’ufficio), mentre, nel secondo, l’atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata e, pertanto, resta efficace ove non impugnato nel termine di rito (o non annullato d’ufficio). L’effetto caducante, che per la sua forza dirompente ha natura eccezionale, ricorre nella sola evenienza in cui il provvedimento successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale dell’atto anteriore, quale sua inevitabile conseguenza e senza ulteriori valutazioni della pubblica amministrazione; ciò comporta, dunque, la necessità di verificare l’intensità del rapporto di conseguenzialità che lega i due atti, con riconoscimento dell’effetto caducante solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario. In altri termini, il vizio caducante richiede che tra gli atti interessati via sia un rapporto di presupposizione necessaria, che tipicamente si instaura soltanto all’interno di una medesima sequenza procedimentale, sicché per l’adozione di quello successivo non residui alcun margine di ponderazione che non si traduca nel mero completamento dell’iter iniziato con il primo atto.

L’annullamento di un atto che non costituisca l’unico presupposto di quello successivo non svolge, rispetto a quest’ultimo, un’efficacia caducante, con automatico travolgimento di esso, ma semplicemente viziante, nel senso che consente soltanto l’eventuale impugnativa dell’atto ulteriore da parte degli interessati, ovvero l’eventuale annullamento d’ufficio, sussistendone tutti i presupposti di legge, da parte dell’Amministrazione.

È esclusa l’esistenza di un nesso di presupposizione immediato, diretto e necessario nel rapporto tra piano esecutivo convenzionato (i.e. uno strumento urbanistico non generale) e i successivi titoli autorizzatori edilizi che nel primo trovino fondamento, escludendo così il presupposto per il prodursi di un effetto caducante sul secondo in caso di annullamento del primo.

L’annullamento di strumenti urbanistici di pianificazione si ripercuote sui singoli atti applicativi a valle relativi a terzi in termini di invalidità non caducante, ma soltanto viziante.

Il permesso a costruire si colloca entro un procedimento amministrativo differente, seppur collegato, rispetto a quello di approvazione del piano particolareggiato presupposto: quindi, il permesso a costruire non può qualificarsi rispetto a quest’ultimo alla stregua di un atto meramente consequenziale, come tale suscettibile di perdere ipso iure validità o efficacia in seguito all’annullamento del primo.

Pertanto, non è configurabile un’automatica caducazione del permesso di costruire, quale conseguenza dell’annullamento del piano sulla cui base è stato rilasciato, trattandosi di atti collocati in sequenze procedimentali differenti.

Vincoli di inedificabilità

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 25 gennaio 2024, n. 70

Intervento di nuova costruzione – Vincolo di inedificabilità a ridosso della battigia – Tutela del paesaggio – Sanzione pecuniaria alternativa

Le esigenze di urbanizzazione non possono superare le prerogative legate alla tutela del paesaggio, come evidenziato anche dal principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli altri strumenti di pianificazione urbanistica, sancito dall’art. 146, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, che costituisce espressione della cura esclusiva, che spetta allo Stato, degli interessi paesaggistici e ambientali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: in altri termini, non può ammettersi che la reiterata violazione di un precetto, specie di diritto pubblico, valga quale motivo di superamento del medesimo, che, altrimenti, la forza cogente delle prescrizioni di diritto pubblico sarebbe affidata alla volontà dei destinatari del precetto. Infatti, ciò comporterebbe, oltre a un vulnus alla forza cogente dell’attività amministrativa, una irragionevole violazione del principio di uguaglianza, determinando un atteggiamento più indulgente nelle zone a più alta attività illecita, e quindi colpite da una più incisiva lesione dell’interesse sotteso alla regola violata, rispetto alle aree caratterizzate da sporadiche violazioni.

L’applicazione della sanzione pecuniaria in sostituzione di quella demolitoria costituisce una possibilità applicabile solo agli abusi meno gravi riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo (in ragion del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico) e dell’annullamento del permesso di costruire; viceversa, con riferimento alle ipotesi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino rimane l’unica applicabile, quale strumento per garantire l’equilibrio urbanistico violato.

Quando un manufatto è stato interamente realizzato in mancanza del titolo abilitativo e non rientra quindi nell’ambito applicativo dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, anche in ragione del fatto che si tratta una categoria residuale, il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, come si desume, in negativo, dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.

Rifiuti abbandonati e responsabilità dei proprietari e concessionari delle aree

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 29 gennaio 2024, n. 1752

RSU – Sversamento sul suolo e abbandono – Responsabilità – Diritto personale di godimento sul bene pubblico – Condotte colpose – Dovere di bonifica

In materia ambientale e di gestione dei rifiuti, il requisito della colpa postulato dall’art. 192 del D.lgs. n. 152/2006 consiste, oltre che nella commissione di condotte positivamente orientate all’abbandono dei rifiuti, anche nell’omissione di quei doverosi controlli che potrebbero distogliere o impedire che terzi soggetti compiano le condotte sanzionate dalla norma, tra cui quelle di deposito incontrollato e di abbandono di rifiuti.

Può essere chiamato in causa al fine della bonifica dell’area invasa dai rifiuti non solo il proprietario, ma anche il concessionario e, dunque, il titolare di un diritto personale di godimento del suolo in cui sono stati versati rifiuti richiedenti la bonifica del suolo.

La responsabilità del concessionario di un bene pubblico, a titolo di colpa, discende dal non aver custodito adeguatamente il bene pubblico concesso in uso, in violazione dei doveri su di questi gravanti e dal non aver vigilato, oltre che sulle altre attività illecite svolte in loco, sullo sversamento di rifiuti sul suolo.

Trasporto pubblico e servizi minimi

Consiglio di Stato, sez. V, 18 gennaio 2024, n. 607

Servizi pubblici – Trasporto pubblico locale – Servizi minimi – Normativa Regione Toscana – Servizi programmati e autorizzati

Ai sensi del d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, attuativo della delega di cui all’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono servizi di trasporto pubblico locale, tra gli altri, i servizi di mobilità terrestri, che operano in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, in un territorio infra-regionale; nell’ambito di tali servizi vi sono poi i c.d. servizi minimi, cioè quelli qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini, i cui costi sono a carico del bilancio delle Regioni.

La Regione Toscana è intervenuta con la legge regionale 31 luglio 1998, n. 42 (Norme per il trasporto pubblico locale), distinguendo tra “servizi programmati” (“i servizi di trasporto pubblico individuati dagli enti competenti ed effettuati nelle forme indicate all’articolo 13”, cioè con oneri a carico degli enti, a loro volta suddivisi in servizi minimi e servizi aggiuntivi) e “servizi autorizzati” (“i servizi di trasporto pubblico effettuati da imprese di trasporto in possesso dei requisiti previsti dalla vigente normativa ed autorizzati ai sensi dell’articolo 14”). I servizi “programmati” possono essere esercitati, oltre che in economia, mediante affidamento a terzi, previo espletamento di procedura concorsuale, e sono regolati da contratti di servizio (art. 13); i servizi “autorizzati” presuppongono il rilascio dell’autorizzazione alle condizioni fissate dall’art. 14 della legge regionale e, nel caso di autorizzazione da rilasciare per tratte interessate anche da servizi di trasporto pubblico “programmati”, occorre che l’amministrazione ne verifichi la compatibilità e, in caso negativo, la possibilità e le condizioni per la modifica del contratto di servizio (art. 14, comma 5).

Impianti di distribuzione dei carburanti

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 30 gennaio 2024, n. 12

Servizi pubblici – Distribuzione carburanti – Razionalizzazione – Competenze regionali, provinciali, comunali – Localizzazione impianti – Titolo edilizio per la realizzazione dell’impianto

Il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32 recante “Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59” è preposto alla razionalizzazione della rete dei distributori di carburante, sì da ridurre i punti vendita, per raggiungere l'”erogato medio europeo”, contenendo in tal modo i prezzi ed efficientando la distribuzione. Detto altrimenti, lo scopo della disciplina in questione, che ha sottratto l’installazione e la gestione degli impianti al regime concessorio, rendendole attività esercitabili previa autorizzazione, non è riconducibile alla liberalizzazione (della collocazione) degli impianti di distributori di carburante, obiettivo che effettivamente postulerebbe la tutela della concorrenza e la difesa dei consumatori, bensì alla razionalizzazione del sistema.

L’aver riconosciuto che la realizzazione e la gestione delle stazioni carburanti si configura quale esercizio di un diritto già esistente, consentito appunto dall’autorizzazione e non quale attribuzione di un nuovo diritto, soggetto pertanto a concessione, da un lato non vale di per sé a definire la regolamentazione della rete distributiva dei carburanti in termini di “liberalizzazione”, al più ravvisabile solo nel passaggio dal regime di concessione a quello di autorizzazione; dall’altro tale pretesa “liberalizzazione” non ha del tutto eliminato, in questo settore, la potestà pianificatoria dell’ente territoriale, volta a consentire una dislocazione equilibrata, sul proprio territorio, degli impianti di distribuzione dei carburanti e non confliggente con le destinazioni urbanistiche assegnate alle varie parti del territorio medesimo. D’altra parte, e ancora per quanto attiene nello specifico la lettera della legge, l’art. 2, comma 1 bis, del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, non va letto isolatamente, bensì in combinato disposto con l’art. 1 del medesimo decreto, nonché con il comma 1 del citato art. 2: il richiamato art. 1, nel prevedere che l’installazione e l’esercizio di impianti di distribuzione dei carburanti sono attività liberamente esercitate, sulla base dell’autorizzazione di cui al comma 2 e con le modalità dello stesso decreto, fa salve le prerogative di autonomia della Provincia di Trento, disponendo che “Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono a quanto disposto dal presente decreto secondo le previsioni dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione”. Il comma 1 del citato art. 2 affida poi ai Comuni il compito di definire i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree su cui possono essere installati gli impianti di distribuzione carburanti, mediante la predisposizione di un apposito atto di raccordo con la disciplina urbanistica, così disponendo: “1. Per consentire la razionalizzazione della rete di distribuzione e la semplificazione del procedimento di autorizzazione di nuovi impianti su aree private i Comuni, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individuano criteri, requisiti e caratteristiche delle aree sulle quali possono essere installati detti impianti. Contestualmente, i Comuni dettano le norme applicabili a dette aree, ivi comprese quelle sulle dimensioni delle superfici edificabili, in presenza delle quali il Comune è tenuto a rilasciare la concessione edilizia per la realizzazione dell’impianto. I Comuni dettano, altresì, ogni altra disposizione che consenta al richiedente di conoscere preventivamente l’oggetto e le condizioni indispensabili per la corretta presentazione dell’autocertificazione di cui all’articolo 1, comma 3, del presente decreto, anche ai fini del potenziamento o della ristrutturazione degli impianti esistenti.”