Mese: Luglio 2024

I controlli della Corte dei conti sull’acquisto di partecipazioni societarie

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Toscana, 31 maggio 2024, n. 60/2024/PASP

Società partecipate – Parere – Controllo ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 – Acquisizione di una partecipazione indiretta mediante aumento di capitale

La Sezione regionale di controllo per la Toscana, con riferimento all’assoggettabilità al controllo della Corte dei conti in caso dell’atto deliberativo di parziale sottoscrizione, da parte della Società Alfa, dell’aumento di capitale – deliberato dalla Società Beta – da liberare mediante conferimento in natura, con conseguente acquisto di una partecipazione indiretta del Comune in Beta, ha affermato il seguente principio di diritto: “l’art. 5, comma 3, T.U.S.P. va interpretato nel senso di ritenere che il relativo perimetro applicativo sia limitato ai due momenti tipici (la costituzione o l’acquisto di partecipazioni) in cui l’Amministrazione pubblica entra per la prima volta in relazione con una realtà societaria – sia essa nuova o già esistente – assumendone la qualifica di socio, eventualmente anche in forma indiretta, attraverso l’intermediazione di altra società o organismo soggetto a controllo della medesima amministrazione”.

Ciò in aderenza all’indirizzo espresso dalle Sezioni riunite in sede di controllo (deliberazione n. 19/SSRRCO/2022/QMIG) secondo cui qualora l’ente aderente sia già socio, le valutazioni di conformità rimesse alla Corte dei conti su aspetti centrali, quali il rispetto dei vincoli finalistici o la convenienza economica del ricorso a quello strumento societario, si tradurrebbero in un esame di mere attualizzazioni di motivazioni già espresse dall’Amministrazione all’atto dell’iniziale acquisto della qualifica di socio. In altri termini, con la sottoscrizione di un aumento di capitale reale l’Ente già socio si limita a fornire nuove risorse a titolo di capitale di rischio, senza che ciò incida sulle finalità ex art. 4 T.U.S.P. perseguite mediante lo strumento societario; la sottoscrizione della quota di aumento di capitale rappresenta, infatti, una scelta presa dall’amministrazione nella sua qualità di socio, con effetti non assimilabili all’acquisto di una nuova partecipazione. Diversamente, qualora l’ente aderente sia terzo rispetto alla società che delibera l’aumento di capitale, la relativa sottoscrizione, sia in denaro sia in natura, risulta del tutto assimilabile ad un’operazione di acquisto di partecipazioni ex novo. Pertanto, in aderenza al combinato disposto dell’art. 5, comma 3, e dell’art. 8, comma 1, del TUSP, l’atto deliberativo di sottoscrizione dell’aumento di capitale, da parte dell’ente pubblico terzo, deve essere trasmesso alla magistratura contabile per l’esercizio delle funzioni ex art. 5 T.U.S.P.

Le “progressioni in deroga”

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 3 giugno 2024, n. 148/2024/PAR

Personale – Parere – Funzione consultiva – Controllo collaborativo – Progressioni in deroga ai sensi dell’art. 13, comma 8, del CCNL 2019/2021 – Assimilabilità della quota dello 0,55% del monte salari 2018 agli oneri per i rinnovi contrattuali – Limite ex dell’art. 1, comma 562, della legge 296/2006

La Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con riferimento all’esclusione dai tetti di spesa di alcune risorse destinate alle cd. “progressioni in deroga” introdotte dall’art. 13, commi 6, 7 e 8 del CCNL 2019/2021, ha pronunciato il seguente principio di diritto: “la quota dello 0,55% del monte salari 2018, utilizzata per finanziare progressioni verticali ai sensi dell’art. 13 comma 8 del Contratto Collettivo Enti Locali 16/11/2022, non è assimilabile agli oneri per i rinnovi contrattuali”.

Infatti, l’interpretazione letterale e logico-sistematico dell’art. 13 del CCNL 16.11.2022 e dell’art. 1, comma 612, legge n. 234/2021, conduce a ritenere che la quota del monte salari 2018, utilizzata per finanziare progressioni verticali ai sensi del comma 8, dell’art. 13, non sia assimilabile agli oneri per i rinnovi contrattuali e quindi non possa essere esclusa dai tetti di spesa secondo la previsione dell’art. 1, comma 562, della legge 296/2006 e s.m.i.. Invero, la definizione e la limitazione delle risorse integrative destinate alla progressione tra aree è da porre nella diversa e più importante finalità del legislatore di una ampia revisione dei sistemi di classificazione del personale e non è in alcun modo legata alla logica dei rinnovi contrattuali con predisposizione delle relative risorse. E ciò chiaramente emerge dai lavori preparatori sull’art. 1, comma 612, della legge n. 234/2021 che “in base alla riformulazione operata dal Senato, concerne le risorse finanziarie per la definizione, da parte dei contratti collettivi nazionali per il triennio 2019-2021, dei nuovi ordinamenti professionali del personale non dirigente delle amministrazioni pubbliche, sulla base dei lavori delle commissioni paritetiche per la revisione dei sistemi di classificazione professionale previste dai contratti collettivi precedenti (relativi al triennio 2016-2018)”.

La monetizzazione delle ferie non godute

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Toscana, 10 giugno 2024, n. 129/2024/PAR

Personale – Parere – Funzione consultiva – Controllo collaborativo – Monetizzazione delle ferie non godute – Limiti ai sensi dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012 alla luce degli artt. 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 e 31, paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

La Sezione regionale di controllo per la Toscana, con riferimento alla possibilità in alcune ristrette ipotesi quali morte del dipendente o cessazione dal servizio preceduta da un lungo periodo di malattia o infortunio, di procedere alla monetizzazione dei giorni di ferie maturati e non goduti nei termini di fruizione contrattuali, ovvero maturati in anni precedenti e non goduti alla data di cessazione del servizio, ha pronunciato il seguente principio di diritto: “al dipendente che non abbia usufruito delle ferie spetta sempre la “monetizzazione” delle stesse ad eccezione della circostanza in cui sia lo stesso dipendente ad aver scelto di non usufruirne pur avendone la possibilità (con onere della prova in capo al datore di lavoro: ne deriva, pertanto, una forma di responsabilizzazione del dirigente/datore di lavoro che dovrà annualmente mettere in condizione i dipendenti di usufruire delle ferie – ad esempio predisponendo idoneo piano ferie)”.

Ciò in conformità a quanto statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea secondo cui, nella sentenza 18 gennaio 2024, n. 218/22, “l’articolo 7 della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà”.

L’impiego della quota libera dell’avanzo di amministrazione

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 20 giugno 2024, n. 155/2024/PAR

Bilancio – Parere – Funzione consultiva – Controllo collaborativo – Utilizzo dell’avanzo libero per spese di collocamento di alcuni minori presso comunità protette – art. 187, comma 2 lett. d), del d.lgs. n. 267/2000

Ciò in quanto la spesa per prestazioni sociali, esaurendo la propria utilità nell’esercizio finanziario nel corso del quale è sostenuta, ha natura di spesa corrente.  Quanto al carattere non permanente, va evidenziato che la caratteristica della non permanenza della spesa comporta che la stessa non sia fissa e costante, manchi del carattere di continuità e certezza nel tempo, sia priva del carattere di certezza anche sotto l’aspetto quantitativo, o sia sottratta alla discrezionalità dell’ente chiamato a sostenerla (cfr. Sez. reg. contr. Basilicata n. 35/2022/PAR). Con specifico riferimento ai costi di mantenimento di minori posti a carico dei comuni in forza di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o amministrativa, tali spese non sono fisse né costanti nel tempo, e sono escluse dalla disponibilità valutativa del Comune, “il quale è tenuto a sopportarl[e] comunque a fronte dell’ordine giudiziale, ovvero al ricorrere dei presupposti di necessità in qualunque tempo questi intervengano” (cfr. Sez. reg. contr. Lazio, n. 83/2019/PAR). Simili oneri, si è detto, presentano “gli stessi connotati di estemporaneità e imprevedibilità” che, come poc’anzi evidenziato, costituiscono “fattori qualificanti delle spese elencate all’art. 187, comma 2, del TUEL, per la cui copertura il legislatore ammette l’utilizzazione di una voce di entrata altrettanto estemporanea quale è l’avanzo libero di amministrazione” (cfr. Sez. reg. contr. Lazio, del. n. 83/2019/PAR; Sez. reg. contr. Basilicata n. 35/2022/PAR).

La mancata pubblicazione della relazione di fine mandato

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, 23 luglio 2024, n. 75/2024/VSG

Trasparenza – Funzione di controllo ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 149/2011 – Obblighi relativi alla relazione di fine mandato

La Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, con riferimento al tardivo assolvimento degli obblighi previsti dall’art. 4 del d.lgs. n. 149/2011 relativamente alla pubblicazione della relazione di fine mandato, ha pronunciato il seguente principio di diritto: “il tenore letterale della norma non consente di ritenere integrata, a fini sanzionatori, la fattispecie di mancata pubblicazione da parte del Sindaco uscente”.

Ciò in quanto detti obblighi, seppur tardivamente, sono stati comunque assolti entro un lasso di tempo antecedente le nuove elezioni da ritenersi congruo, tale cioè da non avere implicato la compromissione nel diritto della comunità amministrata ad essere informata sull’operato degli organi in scadenza, prima delle operazioni di rinnovo, avvenute nelle giornate dell’8 e 9 giugno 2024.

Provvedimento amministrativo e principio del tempus regit actum

Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 24 luglio 2024, n. 361

Provvedimento amministrativo – Legittimità – Principio del tempus regit actum

La corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte debba essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui deve essere adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato avuto riguardo alla circostanza che lo jus superveniens può recare una diversa valutazione degli interessi pubblici.

Titolo abilitativo tacito

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 26 luglio 2024, n.15293

Abuso edilizio – Trasformazione in assenza di titolo abilitativo del manufatto sottoposto a sanatoria – Istanza in sanatoria – Diniego – Titolo abilitativo tacito – Condizioni

Il titolo abilitativo tacito si può dire formato soltanto se la domanda di sanatoria è conforme al relativo modello legale e, quindi, se è in grado di comprovare che ricorrono tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, ivi compresa la non avvenuta trasformazione dell’opera abusiva e la completezza della documentazione richiesta a suo corredo, la mancanza di taluna di esse impedendo in radice che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di condono, in cui il decorso del tempo è mero coelemento costitutivo della fattispecie autorizzativa.

Farmacie e competenze di Comuni, Province e Regioni

Tar Marche, Ancona, sez. II, 23 luglio 2024, n. 702

Pianificazione urbanistica – Farmacie – Potere istitutivo e distributivo – Competenza di Comuni, Province e Regioni

Mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune.

Deposito di materiali a cielo aperto

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 12 luglio 2024, n. 2531

Titolo edilizio – Permesso di costruire – Deposito di materiali o esposizioni di merci a cielo libero – Non occasionalità

Ai sensi del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono soggette a permesso di costruire (già concessione edilizia) le “occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizioni di merci a cielo libero” qualora non meramente occasionali o estemporanee. Il previgente art. 7, comma 2, del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982, n. 94 – abrogato con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001 – nel prevedere la mera autorizzazione gratuita per tali opere si riferiva, in ogni caso, ad interventi finalizzati a soddisfare esigenze improvvise o transeunti, non destinati a produrre effetti permanenti sul territorio.

Cambio del nome di una via comunale

Consiglio di Stato, sez. V, 12 luglio 2024, n. 6260

Toponomastica – Attribuzione di un nuovo nome a una via comunale – Procedimento – Ratio – Differenze con mutamento del nome

Sono illegittimi gli atti del Comune e della Prefettura che, seguendo il procedimento dell’art. 1 della legge 23 giugno 1927, n. 1188, attribuiscano un nuovo nome a una via comunale sul presupposto che la stessa fosse priva di denominazione, laddove risulti sufficientemente provato che tale via, pur priva di denominazione ufficiale, avesse comunque una denominazione invalsa nella prassi della comunità locale, per la quale avrebbe dovuto quindi essere seguito il diverso procedimento di cambio del nome, disciplinato dal regio decreto-legge 10 maggio 1923, n. 1158 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 1925, n. 473.

La distinzione tra i due procedimenti, infatti, è di non poco conto, in quanto il cambio della toponomastica, a differenza dell’attribuzione di un nuovo nome, richiede una valutazione particolarmente delicata, che abbisogna di un’istruttoria approfondita sull’effettiva necessità di procedere in tal senso, in ragione delle conseguenze e degli incomodi che derivano ai cittadini da una simile iniziativa.