Mese: Luglio 2024

La Corte Costituzionale sulle norme di rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime

Corte costituzionale, 14 giugno 2024, n. 109

Contratti pubblici – Concessioni – Demanio – Illegittimità proroga – Legge della Regione Sicilia – Violazione diritto europeo

La proroga delle concessioni demaniali, senza l’indizione di procedure imparziali e trasparenti per la selezione dei concessionari, si pone in contrasto con le previsioni dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, avente carattere self-executing. Il differimento al 30 aprile 2023 del termine per la presentazione delle domande di proroga delle concessioni, come introdotto dalla disposizione regionale impugnata, reca ostacolo alla piena applicazione, nell’ordinamento interno, della normativa unionale, «per avere la Regione Sicilia legiferato in difformità dai vincoli» da quest’ultima derivanti. In tal modo, il legislatore regionale ha ecceduto dalle competenze ad esso riservate dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia e avrebbe violato l’art. 117, primo comma, Cost. che «vincola anche il legislatore regionale all’osservanza degli obblighi internazionali assunti dall’Italia». Il medesimo vizio affligge la norma di cui alla seconda parte dello stesso art. 36, che proroga il termine per la conferma, in forma telematica, dell’interesse alla utilizzazione del demanio marittimo.

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2023-2025).

Concessione di beni pubblici e rinnovo tacito

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 3 luglio 2024, n. 13453

Concessioni di beni pubblici – Rinnovo tacito – Divieto – Affidamento del concessionario

Il rinnovo delle concessioni di beni pubblici – ove non diversamente ed espressamente stabilito – non può essere tacito, per l’impossibilità di desumere la volontà della P.A. per implicito e, quindi, al di fuori del procedimento prescritto dalla legge per la sua formazione e senza le forme all’uopo previste.

Il divieto di rinnovo dei contratti pubblici scaduti, seppur previsto dalla legge con espresso riferimento agli appalti di lavori, servizi e forniture, si estende anche al settore delle concessioni dei beni pubblici, derivando dall’applicazione della regola, di matrice comunitaria, per cui i beni pubblici contendibili non devono poter essere sottratti per un tempo eccessivo al mercato e, quindi, alla possibilità degli operatori economici di ottenerne l’affidamento.

Tale conclusione non muta nel caso in cui vi sia stata una tolleranza iniziale in merito all’occupazione del bene.

Il mero pagamento dei canoni e l’introito delle relative somme da parte dell’amministrazione, dopo l’intervenuta scadenza del titolo, non può considerarsi di per sé rinnovo tacito della concessione, in mancanza dell’atto formale di rinnovo, costituendo questo soltanto titolo per la detenzione e l’utilizzo del bene demaniale.

In materia di rinnovo delle concessioni di beni pubblici, l’intervento di un provvedimento espresso dell’amministrazione è di regola un elemento insurrogabile e infungibile, non potendo quindi trovare applicazione l’istituto del silenzio-assenso.

Deve escludersi che l’atto di concessione si rinnovi tacitamente per effetto del mero contegno inerte dell’Amministrazione.

Regime giuridico degli interventi di nuova costruzione

Tar Liguria, Genova, sez. I, 3 luglio 2024, n. 480

Intervento di nuova costruzione – Regime giuridico – Impatto sull’assetto del territorio – Titolo edilizio – Realizzazione di muretti – Delimitazione di zone del demanio marittimo – Potere di accertamento – Natura giuridica – Ratio – Indispensabilità

In assenza di precise indicazioni ritraibili dal Testo unico in materia edilizia, il regime di opere quali recinzioni, cancellate e muretti (indipendentemente dalla funzione di muro di cinta o di contenimento) va determinato in base all’impatto effettivo che esse generano sull’assetto del territorio. Pertanto, se i manufatti presentano corpo ed altezza modesti, è sufficiente la s.c.i.a. (già d.i.a.); occorre, invece, il permesso di costruire, qualora producano una significativa trasformazione urbanistico-edilizia, in ragione dell’importanza dimensionale dell’intervento.

Muretti, di altezza ed ingombro modesti, hanno all’evidenza scarsa incidenza sul piano urbanistico-edilizio e, pertanto, non richiedono il permesso di costruire, bensì la segnalazione certificata: onde, ove realizzati, non sono assoggettabili a misura ripristinatoria, ma solo a sanzione pecuniaria.

L’art. 32 cod. nav. attribuisce all’autorità marittima il potere di accertamento della esatta delimitazione di determinate zone del demanio marittimo, attraverso un procedimento di natura dichiarativa che dev’essere svolto in contraddittorio con gli interessati. Ciò in quanto il demanio marittimo presenta una conformazione variabile nel corso del tempo, a causa dell’azione del mare sulle coste, con la conseguenza che le relative aree possono risultare di incerta perimetrazione e che le mappe catastali divengono spesso inaffidabili a distanza di anni dalla redazione.

In presenza di elementi di incertezza in ordine all’estensione ed ai confini della proprietà demaniale rispetto a quella privata, prima di adottare l’ingiunzione di sgombero, l’Amministrazione ha l’onere di attivare la speciale procedura di delimitazione delle zone del demanio marittimo prevista dagli artt. 32 cod. nav. e 58 reg. es. cod. nav., che, in tale ipotesi, assume carattere indispensabile e non può essere supplita con il mero richiamo dei dati catastali.

Cartellonistica e interessi pubblici

Consiglio di Stato, sez. VII, 3 luglio 2024, n. 5906

Installazione cartelloni pubblicitari – Autorizzazione – Interessi pubblici

La tutela degli interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte.

Accordi pubblico-privato e affidamento del terzo

Consiglio di Stato, sez. IV, 20 giugno 2024, n. 5514

Pianificazione urbanistica – Realizzazione impianto di trattamento dei rifiuti – Accordo tra Comune e privato – Legittimo affidamento – Interesse negativo

L’amministrazione comunale che, essendo addivenuta alla stipula di apposito accordo con il privato, imponendo obblighi ben precisi, anche di natura economica, abbia ingenerato un legittimo affidamento in ordine alla possibilità di realizzare un impianto di trattamento dei rifiuti che la successiva e prevedibile attività di pianificazione urbanistica territoriale, sebbene legittima, ha reso irrealizzabile, deve essere condannata al risarcimento dei danni per violazione dei principi di buona fede e correttezza, nei limiti dell’interesse negativo commisurato alle spese effettivamente sostenute (compensi professionali, oneri per la bonifica dell’area, per la presentazione di istanze amministrative e per la redazione di elaborati tecnici).

La natura giuridica delle “schede PAE”

Consiglio di Stato, sez. IV, 24 giugno 2024, n. 5584

Pianificazione urbanistica – Schede PAE – Contenuti – Natura giuridica – Ratio – Vincolo conformativo – Inedificabilità – Autorizzazione paesaggistica – Regione Puglia

Le “Schede di identificazione e definizione delle specifiche discipline d’uso degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico” (cosiddette schede PAE) contengono previsioni puntuali dettate per singoli ambiti territoriali sulla base del PPTR (piano paesaggistico territoriale regionale) e non hanno natura regolamentare poiché difettano delle caratteristiche di generalità, astrattezza e innovatività dell’ordinamento. Esse, inoltre, sono immediatamente conformative delle aree alle quali si riferiscono e devono essere impugnate negli ordinari termini di decadenza decorrenti dalla pubblicazione del PPTR sul bollettino ufficiale della regione Puglia, non potendosene per converso invocare l’annullamento (o la disapplicazione) in occasione dell’adozione di singoli provvedimenti applicativi.

L’art. 42 della Costituzione riconosce e garantisce la proprietà privata, dunque, un vincolo conformativo particolarmente intenso come l’inedificabilità assoluta va imposto dall’amministrazione in termini chiari ed espliciti, prendendosi la responsabilità, anche politica, della relativa scelta. Pertanto, nell’incertezza fra le due interpretazioni possibili, più o meno restrittiva, va scelta quella che conduce al risultato più liberale che esclude un meccanico vincolo di inedificabilità per aree estese e comporta, in positivo, che le aree classificate come zone omogenee A ovvero B al 6 settembre 1985 sfuggano alla previsione generale di inedificabilità prevista dalla scheda PAE che le comprenda; peraltro, ciò non significa consentire un’edificazione indiscriminata, perché si tratta pur sempre di aree vincolate con i relativi decreti ministeriali, nelle quali per intervenire è richiesta l’autorizzazione paesaggistica.

Insolvenza delle società in house e responsabilità dell’ente locale socio

Consiglio di Stato, sez. IV, 24 giugno 2024, n. 5577

Servizi pubblici – In house providing – Pubblicità legale – Disciplina giuridica – Rapporto Ente locale-società – Insolvenza – Principi di concorrenza e uguaglianza nel mercato – Controllo analogo – Responsabilità

L’utilizzazione dello schema societario non costituisce uno schermo, ma un modulo organizzativo caratterizzato da una maggiore snellezza operativa mediante il quale l’ente svolge i servizi pubblici con una entità, la società, che è autonoma quanto all’imputazione dei rapporti giuridici rispetto all’ente medesimo.

Per le società in house, così come per quelle miste, non è prevista alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali; donde, soltanto nella veste di socio l’ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società; il rapporto tra la società e l’ente locale è, cioè, di sostanziale autonomia.

In tema di società partecipate dagli Enti locali, la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità. Il profilo pubblicistico della società in house appare ispirato dal mero obiettivo di eccettuare l’affidamento diretto alle norme concorrenziali, ma senza che possa dirsi nato, ad ogni effetto e verso i terzi, un soggetto sovra qualificato rispetto al tipo societario eventualmente assunto. Su tale società, si determina solo una responsabilità aggiuntiva (contabile) rispetto a quella comune, ma senza il prospettato effetto di perdere l’applicazione dello statuto dell’imprenditore. Il sistema di pubblicità legale, mediante il registro delle imprese, determina nei terzi un legittimo affidamento sull’applicabilità alle società ivi iscritte di un regime di disciplina conforme al nomen iuris dichiarato, affidamento, che, invece, verrebbe aggirato ed eluso qualora il diritto societario venisse disapplicato e sostituito da particolari disposizioni pubblicistiche.

Il tema del controllo da parte dell’Ente riguarda lo svolgimento del servizio; mentre la guida e la responsabilità della gestione riguarda gli amministratori eventualmente responsabili ai sensi, ora, dell’art 12 d.lgs. 175/2016, ma anche antecedentemente secondo quanto già, in modo chiaro, ritenuto dalla giurisprudenza; ma ciò non può comportare una responsabilità patrimoniale dell’ente titolare delle quote.

Sistemi di telefonia mobile e poteri di ordinanza

Tar Puglia, Lecce, sez. I, 24 giugno 2024, n. 814

Ordinanze contingibili e urgenti – Effetti – Presupposti – Imputabilità e responsabilità – Onere motivazionale rafforzato – Sistemi radianti di telefonia mobile

L’imputazione giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo, pur agendo nella veste di ufficiale di Governo, resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente imputabilità dell’atto al Comune e non allo Stato, al pari della conseguente responsabilità.

Le ordinanze contingibili e urgenti rappresentano l’estrinsecazione di un potere amministrativo contenutisticamente atipico, derogatorio, in quanto tale, del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi. Trattandosi di manifestazione di un potere residuale e atipico, a rischio di frizione con il principio di legalità dell’azione amministrativa, il suo esercizio legittimo è condizionato dall’esistenza dei presupposti tassativi, di stretta interpretazione di pericolo per l’igiene, sanità o incolumità pubblica; pericolo che deve essere dotato del carattere della eccezionalità tale da rendere indispensabili interventi immediati e indilazionabili.

La sussistenza, in concreto, di tali presupposti deve risultare dalla motivazione del provvedimento sindacale. Ciò vale anche in presenza di ordinanze adottate in tema di sistemi radianti di telefonia mobile.

Attività produttive e conformità urbanistico-edilizia

Consiglio di Stato, sez. VI, 25 giugno 2024, n. 5616

Attività produttive – Titolo abilitativo – Presupposti – Regolarità urbanistico-edilizia

Il legittimo esercizio di un’attività commerciale postula, sia in sede di rilascio del titolo abilitativo, che per l’intera durata del suo svolgimento, l’inziale e perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dei locali in cui l’attività è espletata, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati atti di accertamento e/o provvedimenti repressivi di abusi edilizi.

Nel rilascio di una autorizzazione commerciale, occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta.

Non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio, laddove la disciplina urbanistica è la prima a dover essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale e la sua legittima continuazione.

Canne fumarie e consenso dei condomini

Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 24 giugno 2024, n. 2036

Intervento di nuova costruzione – Installazione di canne fumarie in edificio condominiale – Condizioni – Titolo edilizio – Consenso dei condomini

La collocazione di canne fumarie sul muro perimetrale di un edificio o una corte interna salva la particolarità o la consistenza del manufatto, può essere effettuata anche senza il consenso degli altri condomini, purché non impedisca loro l’uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità. Il singolo condomino ha quindi titolo, anche se il condominio non abbia dato o abbia negato il proprio consenso, a ottenere la concessione edilizia per un’opera a servizio della sua abitazione e sita sul muro perimetrale comune, che si attenga ai limiti suddetti.

L’apposizione di una canna fumaria sull’esterno delle mura condominiali rappresenta una mera esplicazione del potere del singolo proprietario di uso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., soggetto quindi solo (ove non sussistano limitazioni dettate da un regolamento contrattuale) ai limiti posti dal medesimo. Essa infatti integra un mero uso della cosa comune, sostanziando, ancor più specificamente, una modifica della stessa conforme alla sua destinazione, che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, ma a condizione che non impedisca l’uso paritario delle parti comuni, non provochi pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico, ipotesi che si verifica non già quando mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’aspetto armonico dello stabile.

L’indispensabilità del consenso dei condomini per la realizzazione dell’opera diviene una questione relativa all’esercizio del diritto di proprietà o, comunque, inerente ai rapporti civilistici tra condomini. L’eventuale necessità del consenso, e la pretesa alla stessa connessa, sarà quindi nel caso tutelabile ad opera degli interessati dinanzi alla competente autorità giudiziaria ordinaria, ma non riguarderà l’esercizio del potere autorizzatorio o sanzionatorio del Comune in materia di governo del territorio e, in particolare, in materia urbanistica ed edilizia.