Mese: Settembre 2024

Impianti sportivi e autotutela esecutiva

Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2024, n. 7473

Funzione demaniale di un bene – Usucapione – Autotutela esecutiva ex art. 823 c. 2 c.c. – Presupposti – Impianti sportivi comunali – Segretario comunale – Funzione notarile dell’Ente – Obblighi connessi

La perdita di fatto della connaturale funzione demaniale di un bene, per effetto del suo utilizzo per scopi privati da parte di un soggetto diverso dall’Ente locale nel cui Demanio rientra, può portare all’accertamento della perdita della demanialità e del correlato acquisto della proprietà da parte dell’utilizzatore per usucapione.

L’art. 823, comma 2, c.c. soddisfa l’esigenza di tutela non connessa al possesso, né alla mera proprietà pubblica, ma dipendente dagli interessi pubblici che il bene può soddisfare.

I poteri di cui all’art. 823, comma 2, c.c. possono essere esercitati non soltanto in relazione ai beni del Demanio (necessario ed eventuale): l’autotutela amministrativa contemplata dalla disposizione indicata riguarda anche i beni del patrimonio indisponibile, al fine di impedire più efficacemente l’illecita sottrazione degli stessi alla loro destinazione, posto che, ai sensi dell’art. 828, comma 2, i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.

Resta alla pubblica amministrazione il potere di controllo e di intervento di imperio, sia per proteggere il bene da turbative, sia per eliminare ogni situazione di contrasto riguardo alle esigenze del pubblico interesse che devono ispirare l’utilizzazione dei beni destinati a pubblico servizio. Il che giustifica l’ampio ambito di operatività dell’autotutela amministrativa dei beni demaniali o del patrimonio indisponibile, tanto che è consentito all’Amministrazione emettere sia provvedimenti autoritativi di riduzione in pristino, sia provvedimenti di revoca e modificazione, aventi forza coattiva, degli atti e delle situazioni divenute incompatibili con la destinazione pubblica del bene.

Il potere di autotutela esecutiva, previsto all’art. 823, comma 2, c.c., presuppone il previo accertamento della natura di bene patrimoniale indisponibile del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria pubblicistica, poiché, diversamente, il bene pubblico ricompreso nel patrimonio disponibile dell’ente può costituire oggetto di tutela soltanto mediante l’esperimento delle azioni civilistiche possessorie o della rei vindicatio.

Gli impianti sportivi di proprietà comunale, quali ad esempio la piscina comunale, appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell’art. 826, ult. comma c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività e allo svolgimento delle attività sportive. Quindi l’Amministrazione è legittimata a tutelare il bene in via amministrativa, potendo adottare un’ordinanza di rilascio nei confronti di chi lo occupa abusivamente.

La tutela amministrativa di cui all’art. 823 c.c. non richiede né la prova del possesso anteriore, né la prova di un diritto di proprietà ininterrotto per oltre venti anni, non essendo i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile suscettibili di usucapione.

La destinazione a opera di urbanizzazione ne comporta l’uso pubblico al servizio della collettività e quindi la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione.

Il comma 4, lettera c) dell’art. 97 del d.lgs. n. 267 del 2000 postula che il Segretario ‘roga su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private e atti unilaterali nell’interesse dell’ente’, esprimendo un potere proprio e una indicazione di principio che lo pone come soggetto a cui compete, in via principale, la funzione notarile dell’Ente, rispetto alla precedente versione (riproduttiva dell’art. 17, comma 68, lettera b) della Bassanini bis) in cui si diceva ‘può rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente’.

Quindi il Segretario è tenuto a prestare la propria opera secondo le disposizioni della Legge notarile e, come il notaio, è obbligato a prestare il suo ministero, ogni qual volta ne viene richiesto l’intervento da parte dell’Ente, indipendentemente dalla competenza territoriale.

Orbene, ciò premesso, tenuto conto che il Segretario comunale svolge la sua funzione nell’interesse dell’Ente, l’esercizio della pubblica funzione rogatoria lo legittima a stipulare qualunque atto/contratto avendo come scopo unico il perseguimento dell’interesse pubblico a ricevere il negozio giuridico, strumentale ad assicurare la cura del citato interesse.

Indirizzo e gestione nei municipi

Consiglio di Stato, sez. VII, 23 agosto 2024, n. 7220

Enti territoriali – Municipi e Dipartimenti – Competenze gestionali – Funzioni di indirizzo politico-amministrativo e attività di gestione dell’Ente – Criteri di riparto – Competenza dirigenziale all’emanazione di un provvedimento

Il riparto delle competenze tra strutture dipartimentali e strutture municipali si ispira al criterio funzionale o a quello della materia o ancora a quello territoriale, ma, in molti casi, si sovrappone una duplicazione di competenze, potendo queste afferire sia alla sfera di gestione dei Municipi, sia a quella dei Dipartimenti, sicché il discrimine ultimo è dato dall’assegnazione del bene: se il bene non risulta assegnato al Municipio, le competenze gestionali sullo stesso vengono esercitate dal Dipartimento Patrimonio.

Con riferimento alla competenza dirigenziale all’emanazione di un provvedimento, si deve evidenziare la prevalenza delle disposizioni del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) sulle eventuali contrarie previsioni regolamentari del Comune, in forza del criterio di gerarchia.

L’art. 107 del TUEL stabilisce il principio della divisione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e l’attività di gestione dell’Ente. Il suddetto principio comporta che l’adozione di un provvedimento di gestione amministrativa, in cui si tratta di un atto di gestione del patrimonio immobiliare dell’Ente, debba intendersi riservata, anche qualora sia richiesto l’esperimento di accertamenti o valutazioni di natura discrezionale, alla competenza dei dirigenti dell’Ente locale o, nei Comuni privi di dirigenti, ai responsabili dei servizi e degli uffici.

Invero, dall’art. 107, commi 3 e 6, TUEL, emerge che ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e su di essi incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa di tale gestione.

Pianificazione urbanistica e programmazione commerciale

Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2024, n. 7457

Pianificazione urbanistica – Localizzazione – Pianificazione commerciale – Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato – Decorso temporale

La programmazione o pianificazione commerciale, così come quella della localizzazione delle attività artigianali o industriali, deve essere inserita nell’ambito della pianificazione urbanistica o di altro atto che sia destinato alla disciplina del governo del territorio. Pertanto, non possono essere autorizzati insediamenti di attività commerciali o produttive in contrasto con la disciplina urbanistica; né, di converso, possono essere mantenute quelle attività che prima dell’apertura o successivamente perdano il requisito della conformità alle prescrizioni urbanistiche o edilizie.

La demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.

Pianificazione urbanistica e modifiche ai piani

Consiglio di Stato, sez. VII, 4 settembre 2024, n. 7382

Pianificazione urbanistica – Ratio – Competenze comunali e regionali – Modifiche obbligatorie, concordate e facoltative – Discrezionalità – Onere motivazionale – Eccesso di potere

Il Piano regolatore generale comunale, così come qualsivoglia strumento urbanistico, discende dalla concorrente ma autonoma valutazione di due diverse autorità, quali il Comune e la Regione e, nell’ambito del relativo procedimento, il ruolo del Comune è, in linea di principio, preponderante, in quanto ad esso spetta l’iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l’adozione del progetto di piano; alla Regione, invece, spetta non solo di negare l’approvazione, ma anche di approvare il piano apportandogli, entro certi limiti e condizioni, modifiche non accettate dal Comune, così come prevede la disciplina di principio contenuta dall’art. 10 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modifiche.

L’art. 10 della L. n. 1150 del 1942 e successive modifiche di per sé prevede che la Regione, all’atto dell’approvazione dello strumento urbanistico, può apportare a quest’ultimo le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, le modifiche conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio comunale, nonché le modifiche riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale regionale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, nonché l’adozione di standard urbanistici minimi.

Le modifiche cc.dd. “obbligatorie” dello strumento urbanistico (e, cioè, quelle indispensabili per la tutela del territorio), modifiche cc.dd. “concordate” (ossia conseguenti all’accoglimento di osservazioni da parte della Regione) e modifiche cc.dd. “facoltative”, le quali ultime, ai sensi del medesimo art. 10 della L. n. 1150 del 1942 e successive modifiche, non possono incidere sulle caratteristiche essenziali del piano stesso e sui suoi criteri di impostazione.

Alla Regione è consentito, all’atto di approvazione dello strumento urbanistico, apportare modifiche allo stesso per assicurare il rispetto di altri strumenti di pianificazione regionali e per la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici.

La disciplina urbanistica persegue non solo la ristretta finalità di regolamentare il profilo dell’edificazione dei suoli relativamente ai tipi di edilizia distinti per finalità, ma si prefigge obiettivi di più ampio respiro che guardano agli interessi economico-sociali della comunità locale. Il concetto di urbanistica non è strumentale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in relazione alle diverse tipologie di edificazione, ma è volto funzionalmente alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente tutelati.

Se così è, lo strumento di pianificazione generale contiene scelte inerenti l’organizzazione edilizia del territorio da riguardarsi non soltanto nel suo aspetto statico (la possibilità e la quantità di costruire edifici) ma anche nel suo aspetto più dinamico, qual è il possibile sviluppo del territorio dal punto di vista socio-economico. Per tale ragione costituisce estrinsecazione di un potere, quello pianificatorio, connotato da ampia discrezionalità al punto che il sindacato del giudice ammnistrativo non può estendersi alle valutazioni di merito, salvo che risultino inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, irragionevolezze e/o insufficienze motivazionali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate.

Tendenzialmente, all’ampia discrezionalità si accompagna un generale onere di motivazione delle scelte urbanistiche, soddisfacibile con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che le hanno ispirate senza necessità di una motivazione puntuale e mirata.

Invero, il carattere più o meno blando della motivazione viene a dipendere dalla portata delle previsioni di zonizzazione, dovendosi infatti operare un distinguo tra disposizioni pianificatorie che realizzino una nuova e complessiva definizione dell’intero territorio comunale, o della gran parte di esso, e quelle che mutino la destinazione di un’area determinata, a maggior ragione se ledendo legittime aspettative dei privati. Solo nel primo caso, venendo in discussione il complessivo disegno di governo del territorio da parte dell’ente locale (com’è tipico nei casi di adozione di un nuovo strumento urbanistico generale o di una sua variante integrale), la motivazione non può riguardare ogni singola previsione, ma deve avere riguardo, secondo criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall’amministrazione.

La programmazione e pianificazione urbanistica è caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella prospettiva di un ordinato e funzionale assetto del territorio comunale; per la programmazione degli assetti del territorio, l’amministrazione gode, invero, di un ampio potere discrezionale, sicché le scelte dell’amministrazione non sono censurabili se non per manifesti errori di fatto e abnormità delle scelte; non è peraltro configurabile in questo ambito il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento riguardo alla destinazione impressa a immobili vicini.

Sale da gioco, distanze, tutela della salute e competenza delle regioni

Consiglio di Stato, sez. V, 12 agosto 2024 n. 7099

Apertura sale da gioco – Attività di gestione delle scommesse lecite – Parificazione – Distanza da luoghi sensibili – Tutela della salute – Normativa Regione Umbria – Interpretazione logica e sistematica

L’art. 6 c. 1 della legge della Regione Umbria n. 21 del 2014 (come modificato dall’art. 3, comma 1, della legge Regione Umbria n. 7 del 2016), prevede che «[a]l fine di tutelare i soggetti maggiormente vulnerabili e di prevenire fenomeni di gioco d’azzardo patologico, è vietata l’apertura di sale da gioco e la nuova collocazione di apparecchi per il gioco lecito in locali che si trovino a una distanza inferiore a cinquecento metri da istituti scolastici di ogni ordine e grado, strutture residenziali o semi-residenziali operanti in ambito sanitario o socio-sanitario, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi, centri di aggregazione giovanile o altre strutture frequentate principalmente da giovani»; il comma 2 del medesimo articolo statuisce che «[i] comuni possono individuare altri luoghi sensibili in cui si applicano le disposizioni di cui al comma 1, tenuto conto dell’impatto dell’apertura delle sale da gioco e della collocazione degli apparecchi per il gioco sul contesto e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l’inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica». Dal riferimento testuale alle «sale da gioco» e agli «apparecchi per il gioco» se ne dovrebbe dedurre che il divieto di apertura dei locali, cui fa riferimento la legge regionale, riguardi esclusivamente le slot machine regolate dall’art. 110, comma 6, lett. a) del T.U.L.P.S., non bensì l’esercizio di attività di scommesse ippiche e sportive disciplinate dall’art. 88, T.U.L.P.S.

Ai fini della tutela della salute (art. 32 Cost.), l’attività di gestione delle scommesse lecite, prevista dall’art. 88 del R.D. n. 773 del 1931, è parificata alle sale da gioco invece disciplinate dal precedente art. 86. Le norme attuative della singola legge regionale, pertanto, devono essere interpretate secondo una interpretazione logica e sistematica e, malgrado le espressioni letterali impiegate, non possono che essere riferite «ad entrambe le attività, fonti entrambi di rischi di diffusione della ludopatia».

Dunque i limiti distanziometrici si applicano anche alle agenzie delle scommesse, non essendo decisivo né discretivo, in senso contrario, il fatto che la legge regionale e il regolamento comunale sembrino riferirsi letteralmente alle sole sale da gioco e non alle agenzie per le scommesse ai fini delle distanze dai luoghi sensibili perché, se il legislatore regionale, per ipotesi (e irragionevolmente), avesse voluto davvero circoscrivere l’applicabilità di cui all’art. 2 della L.R. n. 17 del 2012 alle sole sale da gioco, avrebbe menzionato solo le sale da gioco al comma 2 dell’art. 1 e non anche il “gioco lecito”, più in generale, e avrebbe usato una dizione non equivoca utilizzando espressioni come “esclusivamente”, “unicamente”, riferite alle sale da gioco».

Una diversa interpretazione porrebbe, inoltre, seri dubbi di costituzionalità derivanti non solo dall’apparente contrasto tra la legislazione regionale e quella nazionale (art. 7, comma 10, del decreto-legge, 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189), ma anche con l’art. 32 Cost. e con il diritto alla salute, che ovviamente prevale sul pur rilevante valore dell’art. 41 Cost., in quanto le attività economiche non possono svolgersi in contrasto con la tutela della dignità umana e con l’applicazione delle distanze rispetto ai luoghi sensibili proprio a tutela della salute dei soggetti più esposti al rischio della ludopatia, che costituisce una minaccia grave alla dignità della persona umana, meritevole della massima protezione proprio a difesa dell’integrità psicofisica dei soggetti più vulnerabili e, in quanto tali, esposti al rischio del gioco d’azzardo patologico.

Trasferimento di funzioni ai Comuni e risorse: questione di legittimità costituzionale

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sez. giurisdizionale, 5 agosto 2024, n. 620

Principio dell’autonomia finanziaria dei Comuni – Normativa Regione siciliana – Trasferimento di funzioni ad ente territoriale – Principio di correlazione fra funzioni e risorse – Trasferimento in concessione d’uso temporaneo degli impianti idrici, fognari e depurativi di proprietà dei consorzi ASI in liquidazione – Questione di legittimità costituzionale

Nel nostro ordinamento vige il principio di autonomia finanziaria dei Comuni, espressamente declinato sia dall’art. 119 Cost. sia dai singoli statuti delle Regioni speciali e, con specifico riferimento alla Regione Siciliana, dall’art. 15, secondo comma, del relativo Statuto, secondo cui “l’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”.

È rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’articolo 119, commi primo, quarto, quinto e sesto, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, lett. c-bis), della l.r. siciliana n. 8 del 2012, laddove il predetto articolo 19, comma 2, lett. c-bis), secondo periodo, prevede il trasferimento, in concessione d’uso temporaneo, degli impianti idrici, fognari e depurativi di proprietà dei consorzi ASI in liquidazione, prioritariamente al Comune nel cui territorio è ubicato l’impianto di depurazione, o al Comune che risulti maggior utilizzatore del relativo impianto, con i connessi obblighi di gestione e manutenzione dei predetti impianti, senza prevedere una contestuale e adeguata provvista finanziaria in favore del medesimo comune concessionario.

Cimiteri comunali e cappelle private o “gentilizie”

Tar Puglia, Bari, sez. III, 19 luglio 2024, n. 878

Cimitero comunale – Uso diretto e indiretto – Manutenzione, ordine e vigilanza sanitaria – Competenza – Cappelle private o gentilizie – Ratio – Concessione – Diritto di sepolcro nella cappella di famiglia – Successione – Incommerciabilità

Il cimitero comunale è bene demaniale (art. 824 c.c.), in ordine al quale, dato il connaturato carattere della inalienabilità, i possibili utilizzi dello stesso “non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano” (art. 823, comma 1°, c.c.); mentre spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni, che fanno parte del demanio, anche a mezzo di poteri di polizia demaniale (art. 823, comma 2° c.c.), atti a garantire il corretto uso degli stessi, mediante l’intimazione di ordini o di divieti e, se del caso, di autotutela, idonei a darne esecuzione coattiva, anche in danno dei soggetti inottemperanti.

Di conseguenza, l’uso non diretto del bene demaniale è possibile, per principio generale, solo in via d’eccezione e previa concessione, alla stregua della legge vigente, nella quale sono stabiliti, in modo tassativo, modalità e limitazioni, che consentono, per l’appunto, il c.d. uso eccezionale del demanio.

Gli appellativi di cappelle “private” o “famigliari” o “gentilizie” sono evocativi della natura di simili piccole strutture, edificate sul cimitero demaniale, in base ad atti concessori in favore di soggetti privati, volte essenzialmente ad accogliere le spoglie di coloro che siano appartenuti alla “familia” o alla “gens”, ossia in senso generale ai discendenti o ai parenti di una famiglia legata ad un antenato comune, al fine di serbare il culto dei defunti, che sono appartenuti appunto ad un’unica famiglia.

La «cappella» di famiglia o gentilizia è dunque quella eminentemente destinata dal fondatore – sulla scorta della tradizione romanistica e del diritto intermedio – a persone legate fra loro da rapporti di sangue o di affinità; talché, in assenza di una volontà espressa del fondatore, la cappella si presume familiare o gentilizia e riservata in primis ai familiari più prossimi e, via via, agli altri; indubbiamente, la c.d. tomba di famiglia trova il suo fondamento nell’esigenza di conservazione e trasmissione del culto nell’ambito della familia. L’individuazione dei familiari, titolari del diritto d’uso del sepolcro, non può che essere effettuata, secondo il modello di famiglia racchiuso in norme civilistiche, quali l’art. 230-bis, comma 3°, o l’art. 1023 (Ambito della famiglia) del codice civile oppure in norme penalistiche, come l’art. 307, comma 4°, del codice penale, che usualmente richiamano il coniuge o il convivente, i discendenti, gli affini, gli ascendenti, in via ulteriore i parenti collaterali, semmai coloro che hanno prestato servizi nella famiglia. Particolarmente significativa è la disposizione normativa di cui all’art. 1023 del codice civile, che “nella famiglia” comprende anche “le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi”.

La concessione di un’area cimiteriale è, come tutte le concessioni amministrative, un atto che conferisce una posizione giuridica soggettiva predeterminata nel contenuto, che si atteggia a diritto nei confronti dei soggetti privati terzi, ma anche nei riguardi della pubblica amministrazione. La concessione di aree cimiteriali consta di un atto amministrativo unilaterale, con cui la pubblica amministrazione delibera di concedere l’area al privato, unito ad un coevo contratto, con cui si stabiliscono le condizioni della concessione e dal quale scaturiscono reciproci diritti e obblighi.

Il diritto di sepolcro nella cappella di famiglia si risolve nella deposizione della salma e si estingue, per tutti, o con l’esaurimento della cerchia familiare rilevante nel caso di specie, tenuto conto del termine di scadenza della concessione, o con l’esaurimento della capienza del sepolcro, quale stabilita nell’atto di approvazione del progetto. Dopo la morte del concessionario, il sepolcro «familiare» viene ereditato dai membri della famiglia del defunto, intesa l’espressione in senso molto ristretto, quindi il coniuge e i discendenti e ascendenti in linea retta: spettando il diritto solo a tali soggetti non tanto in quanto eredi, ma in quanto familiari del defunto; esso è, per principio, incommerciabile.

Minori disabili, piano educativo individualizzato e risorse comunali

Consiglio di Stato, sez. III, 12 agosto 2024, n. 7089

Assistenza scolastica – Alunno minore disabile – Piano educativo individualizzato – Risorse disponibili – Discrezionalità – Ore di sostegno didattico e misure di sostegno ulteriori

È legittimo il provvedimento del Comune che assegni un numero di ore di assistenza scolastica per la promozione dell’autonomia e della comunicazione dell’alunno minore con disabilità in misura inferiore a quanto indicato nel piano educativo individualizzato (P.E.I.) e richiesto dal dirigente scolastico, non essendo il P.E.I. vincolante per l’ente locale, in capo al quale residua un margine di apprezzamento discrezionale, da esercitarsi con prudente equilibrio, a mente del rango fondamentale dei diritti sottesi alle misure di inclusione scolastica, in relazione al complesso delle risorse disponibili.

In relazione alle ore di sostegno didattico, il P.E.I. non vincola il dirigente scolastico, seppure il suo apprezzamento non involga l’indisponibilità di insegnanti di sostegno e di risorse economiche, ma solo ragioni obiettive che possono consistere nella manifesta irragionevolezza, erroneità, contraddittorietà della documentazione, o nella possibilità che a fronte di due o più alunni disabili nella stessa classe, sia concretamente sufficiente un unico insegnante di sostegno per tutti.

Pianificazione urbanistica e discrezionalità amministrativa

Consiglio di Stato, sez. VII, 2 settembre 2024, n. 7331

Pianificazione urbanistica – Discrezionalità – Onere motivazionale – Modifiche – Rielaborazione complessiva

In materia di pianificazione urbanistica sussiste un ampio margine di discrezionalità in capo all’amministrazione, tenuta a contemperare e bilanciare plurimi interessi divergenti. Le scelte di pianificazione del territorio, dunque, costituiscono un apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento di fatti. Si tratta di un sindacato giurisdizionale di carattere c.d. estrinseco e limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità ed irrazionalità apprezzabili ictu oculi, restando ad esso estraneo l’apprezzamento della condivisibilità delle scelte, profilo già appartenente alla sfera del merito.

Rispetto alla destinazione attribuita alla singola area non è necessaria una motivazione puntuale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni sembrano meritevoli di specifiche considerazioni.

Deve escludersi la necessità di ripubblicazione del piano a fronte di modifiche “facoltative” e “concordate” del piano (frutto dell’accoglimento di osservazioni presentate), che non superano il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato.

Deve escludersi che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano, quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree; in altri termini, l’obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree.

L’eventualità che le previsioni del piano urbanistico comunale possano subire, in sede di approvazione definitiva, delle modifiche rispetto a quelle contenute nel piano adottato, è un effetto connaturale al procedimento di formazione dello strumento urbanistico.

Ritardi nei pagamenti dei contributi concessori

Consiglio di Stato, sez. IV, 28 agosto 2024, n. 7298

Titolo edilizio – Oneri di urbanizzazione e contributi di costruzione – Polizza fideiussoria – Inadempimento – Potere sanzionatorio del Comune

In tema di contributo concessorio, nessuna norma condiziona il potere sanzionatorio del Comune, che si inserisce nell’ambito di un rapporto pubblicistico, alla previa sollecitazione di pagamento del fideiussore. L’amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il garante, ma ove ciò non accada, essa ha comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all’aumentare del ritardo.