Mese: Ottobre 2024

Crediti retributivi e termine di prescrizione

Corte di Cassazione, Civile, Sez. Unite, 28 dicembre 2023, n. 36197

Lavoro pubblico – Prescrizione – Termine – Crediti retributivi

E’ noto il consolidato orientamento del giudice di legittimità, secondo cui nel pubblico impiego, anche quello contrattualizzato, anche se a tempo determinato, la prescrizione dei diritti retributivi decorre in corso di rapporto mano a mano della loro insorgenza o alla cessazione del rapporto per i diritti che da essa traggono origine. In un giudizio promosso dal dipendente stabilizzato di un ente pubblico per ottenere, ai fini degli scatti stipendiali, il riconoscimento dell’anzianità pregressa nell’ambito di una serie di contratti a termine, la sezione lavoro della Corte, essendo stata eccepita la prescrizione degli scatti maturati nel periodo di precariato, aveva proposto alle sezioni unite una rimeditazione del tema della decorrenza della prescrizione nel pubblico impiego alla luce dell’evoluzione della legislazione (in particolare, nel pubblico impiego una legge del 2017 ha limitato l’ammontare del risarcimento danni in caso di licenziamento illegittimo) e della giurisprudenza in materia (importante su questo piano, la recente sentenza della Corte che è tornata a ritenere che nell’impiego privato – alla luce delle modifiche legislative intervenute nella disciplina degli effetti del licenziamento dichiarato illegittimo, nel senso di una tutela prevalentemente indennitaria – la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto). Le sezioni unite optano ancora una volta per la conferma della decorrenza della prescrizione in corso di rapporto, anche a tempo determinato (per la cui utilizzazione, nel pubblico impiego vige anche una disciplina legale limitativa), sulla base di considerazioni che valorizzano la maggiore stabilità del rapporto pubblico rispetto a quello privato, derivante soprattutto dal fatto che la P.A. è tenuta, in base alla legge e alla stessa alla Costituzione, a rispettare principi e vincoli che allontanerebbero dal lavoratore il timore di ritorsioni a fronte di azioni a difesa dei suoi diritti nonché dall’esistenza di una giurisdizione efficace di tutela del dipendente nel caso di compimento di atti illegittimi.

La questione del rimborso delle spese legali alle Sezioni Unite

Corte di Cassazione, Lavoro, 11 gennaio 2024, n. 1178

Enti locali – Pubblico impiego – Responsabilità contabile – Dipendente pubblico – Diritto al rimborso – Spese legali – Rimessione alle Sezioni Unite

Si rimette alle Sezioni Unite il quesito se il dipendente pubblico, che sia stato prosciolto all’esito di un giudizio contabile, abbia diritto, ai sensi degli artt. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 543 del 1996 conv., con modif., dalla legge n. 639 del 1996, 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 1997 e 10-bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, ad ottenere, dalla PA di appartenenza, il rimborso di tutte le spese legali da lui sostenute per la difesa, eventualmente anche in eccesso rispetto a quelle liquidate a carico della stessa P.A. dalla Corte dei conti o qualora dette spese siano state integralmente o in parte compensate, e, in caso affermativo, se vi siano dei limiti a tale diritto e se questo sussista ancora dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016.

Scarico acque tossiche e responsabilità penale del Sindaco

Corte di Cassazione, Penale, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 1451

Sindaco – Responsabilità – Scarico acque reflue – Depuratore comunale – Reato art. 674 c.p.

La decisione consapevole di fare funzionare e gestire un impianto fognario difettoso implica una condotta positiva di disturbo e molestia a livello igienico e non una mera condotta omissiva dell’adozione di cautele idonee ad impedire il versamento. Quello di cui all’articolo 674 cod. pen. è reato di pericolo per la cui integrazione non occorre un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente «l’attitudine a cagionare effetti dannosi», sussistente nel caso di uno scarico di acque altamente tossiche e maleodoranti, avvenuto in luogo pubblico (fattispecie relativa alla condotta di un sindaco, il quale non aveva evitato che i reflui provenienti dall’impianto di depurazione comunale finissero in mare in assenza di idonea depurazione, così imbrattando le acque marine).

Enti locali e azione di arricchimento

Corte di Cassazione, Civile, Sez. Unite, 5 dicembre 2023, n. 33954

Enti locali – Responsabilità – Azione di arricchimento P.A. – Titolo – Sussidiarietà in astratto – Esperibilità dell’azione

Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.

Campi da padel e “nuova costruzione”

Corte di Cassazione, Penale, sez. III, 22 marzo 2024, n. 11999

Impianti sportivi – Campi di padel – Campi da tennis- Permesso di costruire – Testo Unico dell’Edilizia – Aumento carico urbanistico – Interventi di ristrutturazione – Ristrutturazioni edilizie

La realizzazione di un campo di padel costituisce intervento che, per le sue caratteristiche complessive, connotate per l’installazione su apposita superficie, funzionale alla peculiare attività sportiva, di carpenteria e lastre di vetro perimetrali, incide sul territorio in termini di modifica del medesimo, e come tale rientra nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. I campi di padel si differenziano dai campi da tennis e da calcio in quanto, mentre in questi ultimi occorre un mero movimento terra, senza mutare le caratteristiche originarie di permeabilità del suolo, per la realizzazione dei campi di padel è necessaria la realizzazione di un massetto di cemento (di circa 10/12 cm) ove allocare il tappeto in fibra sintetica e la posa in opera delle barriere in vetro temperato (alte oltre 3 mt.). Va pertanto espresso il principio secondo cui la realizzazione di un campo di padel, così come la conversione di un campo da tennis in un campo da padel, costituisce una “nuova costruzione”, per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire.

Affidamento delle concessioni demaniali e principi dell’evidenza pubblica

Tar Lazio, Roma, sez. II bis, 16 ottobre 2024, n. 17933

Concessioni demaniali – Affidamento mediante gara pubblica – Principi di par condicio, imparzialità e trasparenza – Piano comunale delle coste

Convenzione urbanistica e scadenza dei termini di validità

Consiglio di Stato, sezione IV, 17 ottobre 2024, n. 8327

Convenzione urbanistica – Validità – Scadenza – Effetti – Prescrizione per decorso dei termini – Mancata ultimazione delle opere nei termini – Principio di legalità sostanziale – Occupazione abusiva di beni immobili – Danni da perdita subita – Valutazione equitativa – Nesso di causalità

Una volta scaduti i termini di validità della convenzione urbanistica o il diverso termine stabilito dalle parti, l’esercizio di ogni azione legale per l’adempimento delle obbligazioni ivi contenute risulta prescritto se non esercitato entro il successivo termine di dieci anni. Le obbligazioni del privato relative alla convenzione di lottizzazione divengono esigibili con la scadenza della convenzione relativa al piano di lottizzazione, in caso di mancata ultimazione delle opere nei termini, o con l’ultimazione delle opere medesime, se avvenuta prima di detta scadenza, entro e non oltre il successivo termine decennale di prescrizione. Pertanto, la scadenza del termine per l’ultimazione dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da tale momento inizia a decorrere l’ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 del c.c.

La scadenza della convenzione di lottizzazione riguarda l’efficacia del regime urbanistico introdotto dalla convenzione e non anche gli effetti obbligatori che la stessa convenzione produce tra le parti. Tuttavia, ciò non significa che l’amministrazione resti vincolata sine die alle scelte urbanistiche trasfuse nella convenzione, ma soltanto che le parti possono anche oltre il termine di scadenza suindicato esigere l’adempimento degli obblighi (ad esempio, la corresponsione di somme a titolo di oneri, la realizzazione di opere di urbanizzazione) che la controparte si è assunta con la convenzione stessa.

Il principio di legalità costituisce il fondamento ed il limite dell’intera attività amministrativa, anche di quella che si avvale di strumenti consensuali di esercizio del potere, venendo anche in tale ultimo caso in rilievo la necessità di soggiacere alle regole generali dell’attività amministrativa, diverse da quelle che disciplinano l’attività privatistica. Tale conclusione trova puntuale riscontro nel disposto di cui all’art. 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, per quanto riguarda le convenzioni urbanistiche, anche in quello di cui all’art. 11 della medesima legge, secondo cui l’intera attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge, il che equivale ad affermare che l’amministrazione non può stabilire essa stessa i fini da perseguire.

In relazione alla fattispecie dell’occupazione abusiva di beni immobili, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso può essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato. Posto che l’evento di danno riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa, il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall’occupazione abusiva, del diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.

Titolo edilizio e diritti dei terzi

Consiglio di Stato, sez. II, 11 settembre 2024, n. 7523

Titolo edilizio – Condizioni per il rilascio – Relazione qualificata col bene – Oneri verificatori del Comune – Effetti sui rapporti interprivati

Il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria.

È onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma ciò non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.

Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.

In sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto.

Il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o l’esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d’intervento.

Con l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia, nel circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia, si intende ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.

Il provvedimento autorizzatorio in materia edilizia inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio; per converso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.

Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce, una volta realizzato, illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.

Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendano tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.

Né, in quella sede, vi è necessità di disapplicazione dell’atto amministrativo, poiché ciò che il Giudice ordinario accerta è – direttamente – la lesione del diritto reale, che non interviene “per il tramite” del provvedimento amministrativo, ma per effetto dell’attività edilizia del privato, legittimata sul piano amministrativo dal provvedimento, ma da questo non “coperta” sul piano civilistico.

In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto, se non nei limiti in cui la violazione della norma civilistica si risolva (anche) in un pregiudizio per l’interesse pubblico.

Diversamente opinando, si perviene ad una “sovrapposizione” delle forme di tutela, poiché, di fatto, si determina una tutela dell’interesse legittimo per il tramite delle norme direttamente poste a tutela del diritto soggettivo, con una conseguente attribuzione al giudice amministrativo di ambiti giurisdizionali che, invece, sono propri del giudice ordinario (in pratica, un fenomeno di “doppia giurisdizione”). E ciò, per di più, in presenza di una “estraneità”, espressamente (e correttamente) affermata, del titolo edilizio ai “diritti dei terzi” e, dunque, ai rapporti dominicali interprivati.

Iscrizione alla white list

Tar Marche, Ancona, sez. I, 12 ottobre 2024, n. 799

Contratti pubblici – Servizio di assistenza sociosanitaria domiciliare – Requisiti di ordine generale – Iscrizione alla white list ex art. 1, c, 52, L. n. 190 del 2012 – Assenza – Legittimità – Contrasto della lex specialis con una norma imperativa – Segnalazione ex ante

Nelle procedure di gara, è legittima l’aggiudicazione del servizio di assistenza sociosanitaria domiciliare alla popolazione anziana, disposta in favore di un operatore economico risultato privo del requisito di ordine generale dell’iscrizione alla white list ex art. 1, c, 52, L. n. 190 del 2012, nel caso in cui, dalla disamina della lex specialis, emerga chiaramente che le prestazioni richieste ai concorrenti riguardino precipuamente il governo della casa dell’anziano destinatario del servizio, comprensive altresì dello smaltimento dei rifiuti e della preparazione dei pasti.

Il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR)

Consiglio di Stato, sez. IV, 11 giugno 2024, n. 5241

Provvedimento amministrativo – Conferenza di servizi – Provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) – Natura giuridica – Effetti – Rapporti con VIA e titoli abilitativi

Il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) di cui all’art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) non assorbe i singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell’opera e non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi. Esso include in un unico atto i singoli titoli abilitativi che vengono rilasciati all’interno della conferenza di servizi, non rappresenta un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle singole autorizzazioni.

Nel procedimento delineato dall’art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), i provvedimenti di valutazione di impatto ambientale e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto mantengono la propria autonomia formale rispetto al provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) che non realizza un effetto sostitutivo pieno e, pertanto, qualora risultino lesivi devono costituire oggetto di espressa impugnazione.