Mese: Dicembre 2024

Immobili inagibili e IMU

Corte Suprema di Cassazione, Civile, Sez. Tributaria, 9 dicembre 2024, n. 31597

Enti locali – Tributi locali – IMU – Riduzione – Immobili inagibili – Buona fede

L’affermazione secondo cui la riduzione dell’IMU va riconosciuta, in base al principio di buona fede e di leale collaborazione tra le parti e anche in assenza di specifica dichiarazione, qualora lo stato di inagibilità sia noto al Comune, richiede la prova della conoscenza da parte dell’ente dello stato di inagibilità ed inutilizzabilità delle unità immobiliari oggetto dell’accertamento.

In tema di IMU e nell’ipotesi di immobile inagibile, l’imposta va ridotta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011 (conv. con modif. dalla l.n. 214 del 2011), nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune.

Rimborso spese legali e riparto di giurisdizione

Corte Suprema di Cassazione, Civile, Sezioni Unite, 5 dicembre 2024, n. 31137

Giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti – Proscioglimento nel merito del pubblico dipendente – Liquidazione delle spese defensionali – Giurisdizione del giudice contabile – Richiesta di liquidazione integrativa – Ammissibilità – Giurisdizione del giudice ordinario.

In relazione alla domanda di rimborso delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, la regolamentazione delle spese processuali, da porre a carico dell’amministrazione di appartenenza, spetta al giudice contabile, ma la parte ha diritto all’intero esborso sostenuto e la relativa statuizione – attinente al rapporto sostanziale fra amministrazione e dipendente – esula dalla giurisdizione contabile e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro e, quindi, di regola, al giudice ordinario.

Luoghi di culto e mutamento di destinazione d’uso

Consiglio di Stato, sez. III, 9 dicembre 2024. n. 9823

Intervento di nuova costruzione – Creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali Titolo edilizio – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Istruttoria – Legge regionale Lombardia – Oneri di urbanizzazione – Ratio

La legittima applicazione dell’art. 52, comma 3 -bis l. r. Lombardia n. 12 del 2005, secondo cui i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire, postula un accertamento concreto dell’aumento del carico urbanistico determinato dalla nuova destinazione d’uso rispetto a quella pregressa. Conseguentemente è illegittimo il provvedimento comunale che ordini il ripristino relativamente al cambio di destinazione d’uso senza opere, da laboratorio artigianale a luogo di culto, in assenza di adeguata istruttoria circa l’effettivo aumento del carico urbanistico.

L’accertamento del maggiore carico urbanistico, che giustifica la necessità del permesso di costruire e la corresponsione dei relativi oneri di urbanizzazione, assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.

Sala scommesse e delocalizzazione

Consiglio di Stato, sez. IV, 19 novembre 2024, n. 9301

Giochi e scommesse – Case da giuoco – Legge regionale Emilia-Romagna – Distanze da luoghi sensibili – Delocalizzazione – Legittimità

È legittimo il provvedimento dell’ente locale che imponga la delocalizzazione della sala scommesse situata a distanza inferiore dal limite minimo stabilito dalla legge regionale, laddove risulti comunque possibile l’apertura di detta sala giochi in aree alternative, anche se periferiche, del territorio comunale e le stesse siano dotate sia di buona viabilità che di parcheggi, non esclusivamente residenziali, che possano rendere ben fruibile il tutto da parte di una possibile utenza.

La regione può disciplinare la distanza delle sale gioco dai lughi sensibili, trattandosi di perseguire finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. Inoltre, la scelta del legislatore regionale di disincentivare la collocazione degli apparecchi da gioco e spingere alla loro collocazione lontano dai centri abitati, per contrastare il fenomeno della ludopatia, non contrasta con l’art. 3 Cost., non risultando discriminatoria la misura, avendo, anzi, il legislatore considerato tutti gli esercizi commerciali nei quali possono essere installati apparecchi da gioco. La legge che impone il distanziometro non contrasta infine con l’art. 41 Cost., esercitando un ragionevole e logico bilanciamento di interessi tra l’esercizio dell’attività economica e la tutela della salute.

Le aree pubbliche per il commercio ambulante “riscora scarsa” come il demanio marittimo

Consiglio di Stato, sez. V, 19 novembre 2024, n. 9266

Concessioni amministrative – Scarsità risorse – Interpretazione – Direttiva Bolkestein – Efficacia – Ambito applicativo – Proroga automatica – Illegittimità – Commercio ambulante su aree pubbliche

La Direttiva sui servizi nel mercato interno, 2006/123/CE, ha un ambito di applicazione generalizzato, concernenti ‘i servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro (art. 1, par. 1)’, e in cui per converso sono tassative le esclusioni, elencate al par. 2 della disposizione richiamata.

L’art. 12, comma 1, della Direttiva prevede che: “Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Il livello di dettaglio che una direttiva deve possedere per potersi considerare self–executing dipende, come noto, dal risultato che essa persegue e dal tipo di prescrizione che è necessaria per realizzare tale risultato, pertanto, sotto tale profilo, l’art. 12 della Direttiva ha l’obiettivo di aprire al mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali scarse, sostituendo, nell’ambito di un sistema in cui tali risorse vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata, a chi è già titolare di concessioni risalenti, un regime di evidenza pubblica, che assicuri la par condicio tra i soggetti potenzialmente interessati.

Dall’analisi dell’articolato emerge che la Direttiva Bolkestein mostra un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

La Direttiva sui servizi del mercato interno è, pertanto, self-executing, come precisato dalla Corte di giustizia UE con la sentenza 30 gennaio 2018 (C- 360/15 e C- 31/16), la quale ha affermato il principio secondo cui la medesima Direttiva si applica ‘non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato’, e dunque, ‘anche in situazioni puramente interno’.

La fonte comunitaria, pertanto, è espressiva di norme immediatamente precettive, in particolare, sotto il profilo della precisa e puntuale ‘norma di divieto’ che si rivolge, senza che occorra alcuna disciplina attuativa di sorta da parte degli Stati membri, a qualunque ipotesi di proroga automatica, in assenza di una procedura di selezione tra i potenziali candidati.

E rispetto a tale ‘norma di divieto’, indiscutibilmente dotata di efficacia diretta, il diritto interno è tenuto a conformarsi.

Il commercio ambulante o il commercio su area pubblica è una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante, e tale attività rientra senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla Direttiva 2006/123, così come chiarito dalla Corte di giustizia UE, con la sentenza 30 gennaio 2018, C-360/15 e C-31/16.

La materia del commercio al dettaglio su aree pubbliche è riferita ad attività economica non salariata, fornita normalmente dietro retribuzione secondo la definizione fornita dall’art. 57 TFUE, che comprende, tra i servizi, le attività di carattere commerciale e non fa pare delle esclusioni dall’ambito di applicazione sufficientemente individuato della Direttiva 2006/123/CE, di cui all’art. 2, paragrafi 2 e 3.

Si tratta di una attività che, infatti, era stata originariamente inclusa nell’ambito di applicazione del citato decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata ‘Direttiva Servizi’ (art. 70 del decreto legislativo che aveva demandato a una intesa in sede di Conferenza unificata l’individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche).

La legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 686) ha escluso dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 il commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, abrogando il citato articolo 70 e introducendo una esclusione espressa con i modificati artt. 7, lett. f- bi e 16, comma 4 – bis dello stesso decreto legislativo.

L’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 e, quindi, della Direttiva Servizi, si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale fonte comunitaria, che, come sopra detto, prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e, tra esse, non rientra il commercio su aree pubbliche.

Gli Stati membri non hanno, quindi, alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva, e ogni questione sulle modalità di applicazione delle disposizioni della Direttiva Servizi si pone logicamente dopo la corretta definizione del suo ambito di applicazione.

Le attività di commercio su aree pubbliche, in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità, la quale ai sensi dell’art. 12 della direttiva servizi, giustifica la selezione per il mercato, in cui l’accesso al settore economico avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica.

Invero, il concetto di ‘scarsità’ va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della ‘quantità’ del bene disponibile, ma anche di suoi aspetti qualitativi. In questi termini, non tutte le aree commerciali sono uguali e fungibili, tenuto conto che ciascuna possiede una sua unicità, soprattutto in un contesto quale è quello di Roma Capitale.

La Corte di giustizia UE ha chiarito il concetto di ‘scarsità’ con la sentenza del 20.4.2023, nella causa C- 348/22 del 20.04.2023, affermando che ‘…risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 12, paragrafo I, della direttiva 2006/123 che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturale, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Il Collegio ravvisa, tra i due settori, un minimo comune denominatore, dato dall’esistenza di una domanda che dal mercato si rivolge a risorse pubbliche, la cui limitatezza esige di regolarne l’accesso attraverso modelli imparziali di selezione, quale quello dell’evidenza pubblica sancito dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE. Opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.

Affidamenti in house e trasporto pubblico

Consiglio di Stato, sez. V, 4 dicembre 2024, n. 9713

Servizi pubblici locali – Ratio e fondamento – Trasporti pubblici di passeggeri per ferrovia e su strada – Aggiudicazione tramite gare pubbliche – Deroghe – Affidamento diretto – Normativa comunitaria e interna – Avviso di preinformazione e avviso di indizione della procedura di affidamento diretto

Originariamente, il settore dei servizi pubblici locali era per la maggior parte appannaggio dei pubblici poteri, attraverso forme di gestione diretta ovvero tramite aziende municipalizzate, e di pochissimi operatori privati. La modifica di tale assetto – a partire dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (“Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”) – si è pertanto imposta, sia per ragioni di carattere finanziario, avendo il processo di integrazione europea precluso il ripianamento statale del deficit dei bilanci locali, sia per le criticità delle anzidette modalità di gestione, non in grado di rispondere pienamente alle moderne esigenze di sviluppo infrastrutturale.

I servizi di interesse economico generale nel settore dei trasporti pubblici di passeggeri per ferrovia e su strada trovano la loro principale disciplina nel Regolamento (CE) n. 1370/2007 adottato il 23 ottobre 2007 ed entrato in vigore il 3 dicembre 2009 (che abroga i Regolamenti del Consiglio n. 1191/69 e n. 1107/70), da ultimo modificato dal Regolamento 2338/2016 del 14 dicembre 2016.

Detto Regolamento, come regola generale, prevede che le autorità competenti assegnano contratti di servizio pubblico tramite procedure di aggiudicazione degli appalti, idonee a creare le condizioni di un’effettiva concorrenza (art. 5, paragrafo 3).

Deroghe alla procedura di gara sono previste dall’art. 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6.

In particolare, l’art. 5 par. 4, prevede che “A meno che sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti hanno facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio pubblico il cui valore annuo medio stimato è inferiore a 1 000 000 EUR, oppure che riguardano la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri inferiore a 300 000 chilometri l’anno.

Qualora un contratto di servizio pubblico sia aggiudicato direttamente a una piccola o media impresa che opera con non più di 23 veicoli, dette soglie possono essere aumentate o a un valore annuo medio stimato inferiore a 2 000 000 EUR oppure, qualora il contratto riguardi la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri, inferiore a 600 000 chilometri l’anno”.

Il legislatore nazionale ha recepito questa possibilità di ricorso all’affidamento diretto, prevedendo all’art. 61 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”) che «Al fine di armonizzare il processo di liberalizzazione e di concorrenza nel settore del trasporto pubblico regionale e locale con le norme comunitarie, le autorità competenti all’aggiudicazione di contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, possono avvalersi delle previsioni di cui all’articolo 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6 all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007. Alle società che, in Italia o all’estero, risultino aggiudicatarie di contratti di servizio ai sensi delle previsioni del predetto regolamento (CE) n. 1370/2007 non si applica l’esclusione di cui all’articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422».

È poi successivamente intervenuto il decreto legislativo 23 dicembre 2022 n. 201 (“Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”) che all’art. 14 (Inserito nel titolo III) ha previsto, in via generale, quanto alle modalità di gestione del sevizio pubblico locale, ai commi 1/3 che “1.Tenuto conto del principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi e dei principi di cui all’articolo 3, l’ente locale e gli altri enti competenti, nelle ipotesi in cui ritengono che il perseguimento dell’interesse pubblico debba essere assicurato affidando il servizio pubblico a un singolo operatore o a un numero limitato di operatori, provvedono all’organizzazione del servizio mediante una delle seguenti modalità di gestione:

a) affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica, secondo le modalità previste dal dall’articolo 15, nel rispetto del diritto dell’Unione europea;

b) affidamento a società mista, secondo le modalità previste dall’articolo 16, nel rispetto del diritto dell’Unione europea;

c) affidamento a società in house, nei limiti fissati dal diritto dell’Unione europea, secondo le modalità previste dall’articolo 17;

d) limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o mediante aziende speciali di cui all’ articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.

2. Ai fini della scelta della modalità di gestione del servizio e della definizione del rapporto contrattuale, l’ente locale e gli altri enti competenti tengono conto delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio e agli investimenti infrastrutturali, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti, dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili, nonché dei risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati. Nella valutazione di cui al presente comma, l’ente locale e gli altri enti competenti tengono altresì conto dei dati e delle informazioni che emergono dalle verifiche periodiche di cui all’articolo 30.

3. Degli esiti della valutazione di cui al comma 2 si dà conto, prima dell’avvio della procedura di affidamento del servizio, in un’apposita relazione nella quale sono evidenziate altresì le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta, nonché illustrati gli obblighi di servizio pubblico e le eventuali compensazioni economiche, inclusi i relativi criteri di calcolo, anche al fine di evitare sovracompensazioni”.

Il richiamato art. 15 a sua volta prevede che “Gli enti locali e gli altri enti competenti affidano i servizi di interesse economico generale di livello locale secondo la disciplina in materia di contratti pubblici, favorendo, ove possibile, in relazione alle caratteristiche del servizio da erogare, il ricorso a concessioni di servizi rispetto ad appalti pubblici di servizi, in modo da assicurare l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo all’operatore”.

L’art. 32, precipuamente dedicato al traporto pubblico locale, peraltro prevede, ai commi 1 e 2 che “Fermo restando quanto previsto dal titolo I e dal diritto dell’Unione europea, al settore del trasporto pubblico locale trovano diretta applicazione le disposizioni di cui al titolo III, fatto salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, nonché gli articoli 29, 30 e 31.

2. Ai fini della scelta delle modalità di gestione e affidamento del servizio, si tiene anche conto di quelle indicate dalla normativa europea di settore, nei casi e nei limiti dalla stessa previsti, ferma restando l’applicabilità dell’articolo 14, commi 2 e 3 e dell’articolo 17” (il quale prevede l’affidamento in house)”.

Dalla disamina della normativa comunitaria, non emerge un quadro normativo nel quale l’affidamento diretto debba essere preferito alle altre forme di affidamento.

Infatti, se è vero che il considerando n. 23 del Regolamento (CE) 1370/2007prevede che “è opportuno che la gara d’appalto per l’aggiudicazione di contratti di servizio pubblico non sia obbligatoria quando il contratto abbia per oggetto somme o distanze di modesta entità”, detto considerando, nel consigliare (è opportuno) la non obbligatorietà della gara, non dà alcuna indicazione in ordine alla prevalenza della modalità dell’affidamento diretto sulle altre forme di affidamento ed in particolare sulla procedura ad evidenza pubblica.

Peraltro, l’indicazione del considerando n. 23 non è vincolante per il legislatore nazionale, che ben può per contro imporre l’obbligatorietà della gara, senza con ciò violare il diritto eurounitario.

Ciò è confermato claris verbis dall’art. 5 par. 4 del Regolamento, secondo il quale, come innanzi precisato “A meno che sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti hanno facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio pubblico il cui valore annuo medio stimato è inferiore a 1 000 000 EUR oppure che riguardano la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri inferiore a 300 000 chilometri l’anno […]”.

Pertanto occorre porre attenzione alla normativa interna vigente ratione temporis che, in via generale e anche nel settore del trasporto pubblico, assegna rilievo prioritario agli strumenti individuati dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 201 del 2022 che al riguardo prevede “1.Tenuto conto del principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi e dei principi di cui all’articolo 3, l’ente locale e gli altri enti competenti, nelle ipotesi in cui ritengono che il perseguimento dell’interesse pubblico debba essere assicurato affidando il servizio pubblico a un singolo operatore o a un numero limitato di operatori, provvedono all’organizzazione del servizio mediante una delle seguenti modalità di gestione:

a) affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica, secondo le modalità previste dal dall’articolo 15, nel rispetto del diritto dell’Unione europea;

b) affidamento a società mista, secondo le modalità previste dall’articolo 16, nel rispetto del diritto dell’Unione europea;

c) affidamento a società in house, nei limiti fissati dal diritto dell’Unione europea, secondo le modalità previste dall’articolo 17;

d) limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o mediante aziende speciali di cui all’ articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000”.

Premesso che l’avviso di preinformazione non serve ex se ad indagare il mercato, ma solo a rendere conto degli elementi del futuro appalto o della concessione e delle modalità scelte per il relativo affidamento, affinché gli operatori siano resi edotti della caratteristiche dell’affidamento per tempo utile, detto documento non può essere confuso con l’avviso di indizione della procedura di affidamento diretto, con richiesta di manifestazione di interesse, all’esito del quale soltanto gli operatori del settore possono chiedere di essere consultati.

Danno all’immagine e rapporti di occasionalità

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, 6 dicembre 2024, n. 190

Comune – Sindaco – Danno erariale – Danno all’immagine – Reati – Occasionalità necessaria

Il sindaco che pone in essere un’attività illecita penalmente rilevante, anche se indirizzata a far ottenere un beneficio economico al proprio Comune, risponde del danno erariale derivante dal pagamento dovuto dall’ente a seguito di condanna risarcitoria e del danno all’immagine ad esso arrecato solo se i reati accertati possono essere messi in relazione con il servizio svolto in qualità di Sindaco del Comune almeno in termini di occasionalità necessaria.

Società in house, aumenti tariffari illegittimi e responsabilità erariale

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, 5 dicembre 2024, n. 234

Danno erariale – Società in house – Amministratori – Rifiuti – Tariffe – Rimodulazione – Costi operativi – Capitale investito

Gli amministratori di una società in house, creata per la gestione di un impianto di termovalorizzazione interamente partecipata da enti locali, che deliberano una rideterminazione in diminuzione delle tariffe di conferimento in violazione della normativa in materia non devono rispondere di alcun danno erariale allorquando non si è reso necessario nessun intervento economico dei soci pubblici a soccorso della società in quanto la nuova tariffa non si è rivelata essere insufficiente a coprire i costi operativi o a remunerare il capitale investito dai Comuni soci.

Piano attuativo di lottizzazione e responsabilità erariale

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l’Umbria, 29 novembre 2024, n. 53

Danno erariale – Urbanistica – Lottizzazione – Piano attuativo – PRG – Convenzione – Permesso di costruire – Risarcimento

I Responsabili dell’Area Assetto del Territorio-Urbanistica e dell’Area Lavori Pubblici di un Comune, che consentono l’approvazione di un piano attuativo di lottizzazione senza segnalare l’incompatibilità dello stesso con il PRG e che, sollecitati formalmente più volte dalla parte privata firmataria della Convenzione, non si adoperano per porre in essere le azioni necessarie per consentire alla stessa di realizzare le opere a sua carico, necessarie per procedere alle richieste di Permesso di costruire, rispondono del danno erariale derivante dalla condanna risarcitoria a carico del Comune.

Danno erariale da occupazione abusiva di immobile

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Campania, 29 ottobre 2024, n. 529

Danno erariale – Locazione – Occupazione abusiva – Indennità di occupazione – Prescrizione – Dirigenti – Notifica – Risarcimento danni

I Dirigenti comunali dei settori competenti alla gestione del patrimonio immobiliare rispondono del danno erariale causato dalla  prescrizione della pretesa creditoria del Comune per lesione del diritto al godimento di un immobile che l’ente conduceva in locazione, ma era stato occupato abusivamente da terzi, quando ben consapevoli che le notifiche relative all’ingiunzione di pagamento delle indennità di occupazione non erano andate a buon fine, perché il destinatario era sconosciuto, non si sono attivati disponendo i necessari sopralluoghi ad opera della competente Unità operativa territoriale della Polizia locale al fine di individuare gli effettivi occupanti.