Tar Lombardia, Milano, sez. V, 21 novembre 22024, n.3291
Servizi sanitari – Strutture socio-sanitarie – Discrezionalità del cittadino – Compartecipazione al costo delle prestazioni sociosanitarie e sociali – Capacità economica dell’assistito – Parametro di valutazione in uso agli Enti locali
Il cittadino può scegliere liberamente la struttura socio-sanitaria cui affidarsi: le amministrazioni preposte alla gestione e alla erogazione dei servizi sanitari e socio-sanitari non possono, con propri provvedimenti, né coartare la decisione dell’assistito, né subordinare la presa in carico all’indicazione di una particolare struttura. Quindi, il Comune non può imporre, per ragioni economiche, la struttura alla persona bisognosa.
Riguardo all’esigenza di individuare un ragionevole punto di equilibrio tra l’interesse al contenimento della spesa pubblica e il principio di libera scelta dell’assistito circa la struttura sanitaria o socio-sanitaria cui affidarsi, il legislatore ha previsto che l’intervento finanziario pubblico sia ammissibile solo con riferimento agli operatori accreditati che abbiano stipulato appositi contratti con le ATS competenti, i quali quindi – oltre a garantire elevati standard qualitativi – sono tenuti ad attenersi al sistema tariffario definito dalla Regione.
L’art. 2-sexies introdotto nel d.l. n. 42/2016 dalla legge di conversione n. 89 del 2016 ha espressamente escluso i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell’IRPEF, dalla ridefinizione di “reddito disponibile” imposta dall’art. 5 del d.l. n. 201 del 2011 per la concessione di benefici assistenziali.
L’unico indicatore della situazione economica equivalente da applicare, non solo ai fini dell’accesso ma anche ai fini della compartecipazione al costo delle prestazioni sociosanitarie e sociali, resta quello ancora oggi disciplinato dal d.P.C.M. n. 159 del 2013, di modo che, in presenza di un ISEE dell’assistito pari a zero, è da escludersi che, all’interno di una disciplina di settore inerente ai livelli essenziali di assistenza, e che dunque deve ricevere uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale, vi possa essere l’uso da parte dei Comuni di criteri ulteriori o difformi, quanto a elementi reddituali e patrimoniali considerati, rispetto a quelli indicati nel decreto sopra citato, al fine di determinare il livello di capacità economica del beneficiario del contributo.
L’introduzione dell’ISEE quale parametro per la valutazione della condizione economica dei richiedenti benefici assistenziali è avvenuta, ad opera dell’art. 5 d.l. 201/2011 (seguito dal del d.p.c.m. 159/2013), in attuazione della competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost. in ordine alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Pertanto, gli enti locali non possono discostarsi da questo parametro esclusivo o introdurne altri di propria iniziativa, non avendo alcuna autonomia amministrativa o normativa sul punto, a tal fine non potendo addurre neppure esigenze legate ai vincoli di bilancio.