Mese: Dicembre 2024

Servizi di NCC, residenza e legislazione regionale

Corte costituzionale, 29 ottobre 2024 n. 183

Enti locali – Regione Umbria – Trasporti – Servizi locali – NCC – Taxi – Illegittimità – Requisito della residenza – Ruolo dei conducenti

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria n. 17 del 1994, che prevedeva il requisito «di essere residente in uno dei Comuni della Regione Umbria» come necessario al fine dell’iscrizione nel ruolo dei conducenti per il servizio di taxi e per quello di noleggio di veicoli con conducente.

La disposizione censurata interviene sull’assetto individuato dal legislatore statale, alterando quell’equilibrio – tra il libero esercizio dell’attività di trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea e gli interessi pubblici interferenti con tale libertà – individuato dalla legge statale nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva nella materia «tutela della concorrenza» (sentenze n. 36 del 2024, n. 56 del 2020, n. 265 e n. 30 del 2016). Tale assetto è capace di condizionare anche la potestà legislativa che le regioni possono esercitare nelle materie che ora sono di carattere residuale, «potendo influire su queste ultime fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro cui si estendono, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta» (così, ancora, sentenza n. 56 del 2020). La disposizione, infatti, esibisce una contraddittorietà intrinseca tra la regola concernente la residenza che essa introduce, preclusiva della stessa presentazione della domanda di partecipazione all’esame per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti, e la “causa” normativa che la deve assistere. Quest’ultima si ricava dall’esame della complessiva legge reg. Umbria n. 17 del 1994, che risulta improntata, conformemente alla legge quadro statale, alla strutturazione dell’esame come momento destinato ad accertare, anche a tutela dell’utenza, le specifiche idoneità tecniche (tra cui anche la conoscenza geografica e toponomastica del territorio) e le attitudini morali del soggetto aspirante al futuro svolgimento dell’attività in questione;

Il giudice costituzionale sull’autonomia differenziata

Corte Costituzionale, 3 dicembre 2024, n. 192

Legge n. 86 del 2024 – Autonomia differenziata – Regioni a statuto ordinario – Incostituzionalità parziale – Livelli essenziali dele prestazioni

La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.

L’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.

La distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.

Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.

La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale.

L’azione di ingiustificato arricchimento

Corte Suprema di Cassazione, Civile, Sez. III, 28 ottobre 2024 n. 27753

Pubblica amministrazione – Ingiustificato arricchimento – Azione ex art. 2041 c.c. – Assenza di utilitas della prestazione – Necessità di fornire la prova contraria – Insussistenza

Chi agisce a norma dell’art. 2041 cod. civ. il proprio depauperamento (e il contestuale arricchimento della Pubblica Amministrazione), l’accoglimento dell’iniziativa dallo stesso assunta incontra il solo “limite del divieto di arricchimento imposto”, giacché “il diritto fondamentale di azione del depauperato” deve “adeguatamente coniugarsi con l’esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell’attività amministrativa, affidando alla stessa pubblica amministrazione l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza”.

A stretto rigore, poi, non solo l’impoverito non deve provare alcuna utilità della P.A. in cui favore ha eseguito le sue prestazioni, ma neppure ha l’onere di dimostrare la regolarità dell’esecuzione di quelle, se non altro quando, come pare prospettato nella specie, quelle prestazioni pacificamente siano state rese: pertanto, i risultati di queste vanno valutati nella loro ontologica consistenza e, cioè, al fine di determinare l’entità concreta dell’arricchimento (benché una loro eventuale scorretta esecuzione possa diminuire tale entità); e sempre salvo il caso del cosiddetto arricchimento imposto, che non può riconoscersi.

Edilizia residenziale pubblica, concessione di alloggi e silenzio-assenso

Tar Lazio, Roma, sez. V ter, 26 novembre 2024, n. 21258

Edilizia residenziale pubblica – Concessione di alloggi – Silenzio assenzo – Esclusione – Ratio

La materia della concessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica non contempla il silenzio assenso come fattispecie provvedimentale, coerentemente alla natura sostanzialmente concessoria del provvedimento, in quanto espressione della comparazione dei rilevanti interessi pubblici connessi alla regolare gestione del patrimonio abitativo popolare con quelli privati, riconducibili all’accesso all’abitazione di individui e nuclei familiari svantaggiati.

Classificazione delle aree e imposta sostitutiva di affrancamento

Consiglio di Stato, sez. IV, 5 novembre 2024, n. 8854

Pianificazione urbanistica – Classificazioni delle aree – Discrezionalità del Comune – Imposta sostituiva di affrancamento – Non rilevanza

È legittima la delibera del consiglio comunale che attribuisca ad un’area una classificazione che ne escluda l’originaria capacità edificatoria, a ciò non ostando che il privato abbia versato l’imposta sostituiva di affrancamento, prevista dall’art. 7 della legge n. 448 del 28 dicembre 2001, calcolata assumendo, “in luogo del costo o valore di acquisto” del terreno, “il valore a tale data determinato sulla base di una perizia giurata di stima”, in quanto, al tempo, detti beni possedevano la qualifica di edilizi ed erano soggetti al loro sfruttamento in quanto tali; in base ad una successiva scelta – da ritenersi razionale nel contemperamento degli interessi connessi alla riduzione del consumo di suolo ed al suo razionale sfruttamento – il Comune nella sua potestà pianificatoria ha fissato un criterio logico, quale quello temporale, per lo stralcio dal piano regolatore generale che ha comportato una modifica della destinazione.

Convenzioni urbanistiche e sopravvenienze

Consiglio di Stato, sez. IV, 11 novembre 2024, n. 9014

Convenzioni urbanistiche – Sopravvenienze – Rilevanza – Rinegoziazione – Buona fede – Obbligo di provvedere in capo alla parte pubblica

In presenza di un esercizio consensuale del potere pubblico, la legge o la buona fede possono imporre un obbligo di provvedere, senza che ciò escluda la natura bilaterale che connota gli accordi. L’accordo in questione è infatti stipulato nell’esercizio di un potere pubblico, con la conseguenza che l’attributo indefettibile di tale situazione giuridica non è quello della libertà, proprio della autonomia negoziale, bensì della doverosità cui si ricollega l’obbligo di provvedere nei casi in cui sussista una posizione differenziata e qualificata di pretesa ad una pronuncia espressa sulla proposta di stipula dell’accordo.

In presenza di circostanze sopravvenute rilevanti, il privato può chiedere al Comune di rinegoziare i contenuti della convezione urbanistica o di singole sue parti, in applicazione del principio di buona fede e correttezza ex art. 1375 c.c., richiamato dall’art. 11, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in forza del rinvio ivi contenuto ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti. Inoltre, avendo il privato una posizione qualificata e differenziata in quanto parte dell’accordo, in presenza di una istanza di riesame dei contenuti della convenzione, motivata in ragione di circostanze sopravvenute, è ben possibile configurare un obbligo di provvedere in capo alla controparte pubblica, che non necessariamente sarà tenuta ad assicurare il bene della vita cui aspira la parte privata ma che dovrà, in ogni caso, istruire l’istanza e motivare le proprie determinazioni nel rispetto del canone generale di ragionevolezza e di proporzionalità.

Non sussiste obbligo di provvedere del Comune sulla istanza di rinegoziazione di una convenzione di lottizzazione in presenza di circostanze sopravvenute rilevanti, qualora l’ente locale abbia in passato reiteratamente ribadito il proprio interesse alla piena e integrale attuazione dell’accordo, nei termini originariamente concordati, a fronte dell’inadempimento del lottizzante principale nella esecuzione delle opere di urbanizzazione. Difatti, in tale situazione non è configurabile alcun obbligo di buona fede e di cooperazione in capo al Comune che subisce una situazione di grave e persistente stallo, in pregiudizio dell’interesse pubblico alla corretta pianificazione dell’area. Peraltro, qualora le opere pubbliche dedotte in convenzione risultino funzionali alla urbanizzazione dei lotti di proprietà di altri contraenti (lottizzanti minori), è la stessa natura di accordo plurilaterale che osta ad una rinegoziazione della convenzione sui cui contenuti ed obblighi altre parti fanno, da tempo, affidamento per poter esercitare lo ius aedificandi inerente ai suoli in loro proprietà ricompresi nel medesimo comparto.

Limitazioni al traffico

Tar Campania, Napoli, sez. V, 20 novembre 2024, n. 6388

Circolazione stradale – Limitazioni al traffico – Inquinamento e tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale – Veicoli di interesse storico e collezionistico

È illegittimo per difetto di istruttoria e di motivazione il provvedimento adottato dal Comune nell’esercizio del potere previsto dall’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada) che, in punto di inibizione alla circolazione per esigenze di prevenzione dell’inquinamento e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale, equipara de plano i veicoli di interesse storico e collezionistico iscritti nei registri di cui all’art. 60 del codice della strada ai veicoli inquinanti appartenenti alle classi di omologazione inferiori ad “euro 4”, non dotati di alcuna iscrizione in registri né muniti di alcun certificato attestante la storicità, omettendo di tenere conto del numero esiguo di veicoli di interesse storico o collezionistico e del loro ontologico utilizzo limitato nel tempo, circostanze che richiedono un regime differenziato e peculiare che coniughi il valore dell’ambiente con quello della tutela dei valori storico-culturali e del collezionismo storico.

Mancato esercizio della concessione amministrativa

Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 14 novembre 2024, n. 916

Concessioni amministrative – Decadenza del concessionario per mancato esercizio – Potere autoritativo di accertamento – Contraddittorio – Provvedimento motivato

La decadenza della concessione per mancato esercizio non costituisce un effetto che si verifica ex lege al ricorrere del presupposto normativo, richiedendo, viceversa, l’intermediazione del potere pubblico attraverso l’emanazione di un provvedimento motivato, all’esito di un procedimento necessariamente preceduto dalla contestazione al concessionario delle circostanze che giustificano la decadenza. La posizione soggettiva che si fa valere in giudizio riveste la consistenza di interesse legittimo e non di diritto soggettivo; per cui la domanda giudiziale ha ad oggetto l’esercizio di un potere autoritativo di accertamento dell’intervenuta decadenza del rapporto di concessione, spettante all’amministrazione ed avente natura costitutiva.

Sale da gioco

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 8 novembre 2024, n. 3083

Sale da gioco – Disciplina degli orari di apertura – Potere sindacale – Regolamento consiliare – Istruttoria – Onere motivazionale

È legittima l’attività di un Comune che, con regolamento consiliare, individui restrizioni orarie all’apertura degli esercizi autorizzati o limitazioni agli orari di accensione delle macchinette. Questo perché il potere sindacale di coordinare e riorganizzare gli orari degli esercizi commerciali interviene sulla base degli indirizzi del consiglio comunale, il quale può esprimersi anche tramite un preciso atto regolamentare. A fronte di una significativa riduzione dell’orario di apertura delle apparecchiature, l’amministrazione comunale non può limitarsi a un’apodittica e indimostrata enunciazione dei rischi collegati al gioco lecito, ma deve dare atto di ragioni specifiche, da esplicitare e documentare in modo puntuale. Va, in buona sostanza, dimostrata la necessità che uno specifico territorio abbisogni di una maggior tutela di quello nazionale; fermo restando che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indesiderati, tra cui il “dirottamento” della domanda verso il gioco illegale. E ciò deve avvenire con una specifica istruttoria effettuata in relazione al territorio di competenza.

Impianti solari fotovoltaici sugli edifici e titolo edilizio

Consiglio di Stato, sez. VII, 9 ottobre 2024, n. 8113

Intervento di nuova costruzione – Installazione di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici – Titolo edilizio – Regime derogatorio ex art. 9 d. l. n. 17/2022 – Condizioni – Ratio

L’art. 9 del decreto legge 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 – secondo cui l’installazione “con qualunque modalità” di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – non prevede una illimitata facoltà di deroga a tutte le norme del testo unico sull’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 che sarebbe contraria ai criteri previsti in tema di concorso fra norme di pari grado che regolano la medesima fattispecie e all’interesse pubblico al corretto sviluppo dello sfruttamento edilizio del territorio. Pertanto, la tendenziale derogabilità alle norme in materia edilizia prevista dall’articolo 9 vale solo: i) allorquando l’interessato dimostri di non avere possibilità alternative, cioè tecnicamente equivalenti, di installazione in altri luoghi; ii) a condizione che non si ottengano indebiti incrementi di volumetrie e superfici utilizzabili per altri scopi, che non siano strettamente connessi ad esigenze tecniche perché, in quest’ultimo caso, l’intervento comunque richiede il necessario titolo edilizio.

L’art. 9 del decreto legge 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 – secondo cui l’installazione “con qualunque modalità” di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – mira a consentire la semplificazione dell’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili su edifici già esistenti e non può essere inteso nel senso di ammettere la realizzazione di qualunque intervento di nuova edificazione alla sola condizione che la stessa ospiti tra l’altro un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili.