Mese: Febbraio 2025

Abuso edilizio, zona sismica e provvedimenti di sussistenza

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 20 dicembre 2024, n. 4182

Abuso edilizio – Zone sismiche – Decreto di sussistenza – Accertamento di conformità – Rapporti – Autonomia – Procedimento ex art. 100, d.P.R. 380/2001 – Natura giuridica – Ratio – Normativa Regione Sicilia

Il procedimento previsto dall’art. 100 del d.P.R. n. 380 del 2001 costituisce, di regola, l’esito di un’attività di accertamento d’ufficio ex art. 96 del d.P.R. n. 380 del 2001, cosicché la richiesta di parte si traduce in una forma di autodenuncia che, seppure funzionale alla definizione del procedimento ex 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, assurge a mera dichiarazione di scienza (e non già di volontà) del privato che non può disporre degli effetti, ritirandola o revocandola.

L’art. 100 del d.P.R. n. 380 del 2001 non individua i soggetti titolari della legittimazione attiva a richiedere il provvedimento di sussistenza, poiché il relativo procedimento non implica il necessario impulso di parte, ma costituisce espressione di un potere volto alla cura di un interesse pubblico (la tutela della pubblica incolumità) che impone alla P.A. di attivarsi d’ufficio su eventuale segnalazione del privato.

Il procedimento di cui all’art. 100, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 16, comma 4, della l.reg. Sicilia n. 16 del 2016 è sostanzialmente informato dall’interesse pubblico alla eliminazione – tramite demolizione o conformazione – dei pregiudizi alla pubblica incolumità di opere eseguite in contrasto (o in difformità) con la disciplina antisismica. Interesse pubblico che può convergere con quello del privato (che può attivarsi per la sua instaurazione) nella misura in cui quest’ultimo riesca a comprovare la sostanziale rispondenza dell’intervento edilizio realizzato alla disciplina edilizia, così evitandone la demolizione anche tramite la sua conformazione.

Repressione degli abusi edilizi e partecipazione al procedimento

Tar Puglia, Bari, sez. III, 7 gennaio 2025, n. 9

Abuso edilizio – Parziale difformità dal titolo edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Comunicazione di avvio del procedimento – Necessità – Presupposti – Ratio

Qualora la fattispecie concreta richieda particolare approfondimento, non vi siano ragioni di alcuna urgenza e la repressione dell’illecito edilizio non sia, perlomeno in toto, ineluttabile, l’amministrazione è tenuta a dar corso alle doverose comunicazioni partecipative, onde assicurare il rispetto dei principi di collaborazione e buona fede, come introdotti dall’art. 12, comma 1, lett. 0a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modif., dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 («Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali») all’art. 1 (Principi generali dell’attività amministrativa) della legge n. 241 del 1990, al comma 2-bis, secondo cui “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

In special modo, ma non soltanto, per gli abusi risalenti nel tempo, la comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7 legge n. 241 del 1990, consente di meglio approfondire l’epoca della costruzione, sia al fine di comprendere meglio qual sia il regime giuridico in ordine al titolo edilizio assente o carente del caso di specie, sia allo scopo di applicare il regime repressivo predicabile in concreto, per come esso è mutato e si è evoluto nel tempo, a partire dalla fondamentale legge 17 agosto 1942, n. 1150 (“Legge urbanistica”), passando oltre per le successive modifiche intervenute, fino a giungere alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (“Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”), e per terminare con il testo unico di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Il principio giurisprudenziale, secondo cui l’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, considerando che la partecipazione al procedimento non potrebbe determinare alcun esito diverso, conosce un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del titolo edilizio, ma) per parziale difformità (dal medesimo), ovvero per variazione essenziale, ove fosse controversa e controvertibile in punto di fatto (e/o di diritto) l’entità della stessa variazione e fosse indi necessario condurre un apposito accertamento specifico, in primis nella sede amministrativa, meglio se, per l’appunto, in contraddittorio, o rectius garantendo la partecipazione. Un tal dialogo nel procedimento è inoltre funzionale a ottimizzare la comprensione stessa dei fatti e del diritto, da applicarsi nel processo, senza debordare, nell’interesse pubblico, in inutili misure repressive nei confronti dei soggetti ingiunti e senza compromettere il canone della proporzionalità. Va infatti avvertito che, nella materia, opera il principio, di cui all’art. 1, Protocollo n. 1, Cedu, sul diritto al rispetto dei beni di proprietà privata, il quale impone allo Stato contraente, la cui legislazione preveda una sanzione gravante sugli stessi, alla constatazione di illiceità o di illegittimità, la necessità di modulare l’obbligatorietà dell’inflizione della misura punitiva, in modo proporzionato, ossia attagliato al caso concreto, tal da renderla cioè non smisurata o eccessivamente invasiva.

Abuso edilizio, ordinanza di demolizione e responsabilità del proprietario di immobile occupato

Tar Campania, Napoli, sez. II, 20 gennaio 2025, n. 497

Abuso edilizio – Natura giuridica – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Condizioni – Legittimazione passiva – Carenza della disponibilità materiale del bene – Responsabilità – Occupazione abusiva – Esecuzione – Sgombero – Onere di ripristino della legalità violata

L’ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario dell’immobile anche qualora lo stesso non sia responsabile della realizzazione dell’abuso, in quanto gli abusi edilizi integrano illeciti permanenti sanzionati in via ripristinatoria. Tale principio trova il proprio fondamento nella circostanza che il proprietario conservi la materiale e giuridica disponibilità del bene ed abbia quindi poteri effettivi di intervento sullo stesso avvalendosi di tutti i mezzi concessi dall’ordinamento.

È illegittima l’ordinanza di demolizione adottata nei confronti del proprietario del suolo che dimostri di essersi attivato con tutti i mezzi che l’ordinamento appresta in sede civile, penale ed amministrativa, per sgomberare l’area dagli occupanti responsabili delle costruzioni abusive, avendo quindi dimostrato la non eseguibilità del comportamento atteso. Difatti, la palese carenza della disponibilità materiale del bene da parte del proprietario, ben nota all’amministrazione comunale sin dal momento della adozione della diffida a demolire, rappresenta un elemento ostativo all’adozione dell’atto repressivo, in quanto difetta una condizione costituiva dell’ordine e cioè l’imposizione di un dovere esigibile da parte del destinatario del comando.

L’amministrazione ha l’obbligo, in caso di inottemperanza dei responsabili, di curare l’esecuzione dell’ordine di demolizione in via amministrativa, anche mediante lo sgombero dell’area, seppure la stessa possa risultare particolarmente complessa, atteso che il ripristino della legalità violata e la cura dell’ordinato sviluppo urbanistico del territorio non possono essere abdicati o subire una deminutio in presenza di fenomeni di illegalità di vaste proporzioni, pena la sconfitta dello Stato di diritto.

TARI: metodo “normalizzato” e metodo “puntuale”

Consiglio di Stato, sez. V, 7 gennaio 2025, n. 81

Servizi pubblici – RSU – TARI – Natura giuridica – Ratio – Delibere tariffarie – Metodo “normalizzato” e “puntuale” – Discrezionalità – Onere motivazionale

In materia di tari (tassa sui rifiuti), rientra nella facoltà dell’ente comunale dare applicazione al “metodo normalizzato” (applicazione della tariffa sulla base di parametri predeterminati dal legislatore) oppure al “metodo puntuale” (applicazione della tariffa sulla base di una valutazione quantitativa dei rifiuti effettivamente producibili), purché vengano adeguatamente giustificate le ragioni per cui si ritiene di optare per un metodo in luogo dell’altro e non derivino conseguenze manifestamente sproporzionate per i contribuenti. La scelta deve essere il frutto di adeguata ponderazione che induca l’amministrazione a scegliere uno dei due modelli non solo per ragioni di opportunità organizzativa, ma anche per le ricadute in termini pratici ed economici nei confronti degli utenti.

La tari (tassa sui rifiuti) è stata istituita con legge 27 dicembre 2013, n. 147, è destinata a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. Le tariffe devono assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti e sono determinate con delibera del consiglio comunale sulla base dei costi individuati e classificati nel piano finanziario approvato dallo stesso consiglio.

Toponomastica e riparto di competenze

Consiglio di Stato, sez. I, parere 7 gennaio 2025, n. 4

Toponomastica – Competenza comunale – Procedimento di intitolazione di nuove strade – Deliberazione di Giunta comunale – Necessarietà

Da una lettura sistematica del quadro normativo vigente – legge 23 giugno 1927, n. 1188; legge 24 dicembre 1954, n. 1228; decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 – si desume che il Comune è l’esclusivo titolare della funzione amministrativa di toponomastica, mentre il Prefetto è chiamato a rilasciare o meno l’autorizzazione basandosi su ragioni di tutela dell’ordine pubblico o esigenze di regolarità anagrafica. Ne consegue che il corretto procedimento per l’intitolazione di nuove strade si articola in due fasi, la prima delle quali consta della delibera di giunta comunale e, la seconda, del nulla osta del Prefetto, di guisa che, in assenza di una preventiva deliberazione di giunta non vi sarebbe alcuna ipotesi di intitolazione da sottoporre al vaglio prefettizio.

Abuso edilizio e oneri di ripristino

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 20 dicembre 2024, n. 4183

Abuso edilizio – Onere di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Riconducibilità di opere residue ad edilizia libera – Non ammissibilità

Qualora sia incontestata l’abusività di un intervento edilizio, l’amministrazione è tenuta a ripristinare l’esatto stato legittimo del fabbricato, non potendo – tramite demolizioni parziali o incomplete – ricondurre le opere residuate o porzioni delle stesse nell’ambito dell’edilizia libera né tantomeno può tollerarne la persistenza adducendo ragioni o valutazioni avulse dall’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Disabilità, sostegno e danno non patrimoniale

Consiglio di Stato, sez. VI, 15 gennaio 2025, n. 306

Assistenza scolastica – Alunni disabili – Insegnante di sostegno – Necessarietà – Danno non patrimoniale – Presupposti

La presenza dell’insegnante di sostegno è fondamentale per l’attuazione dei principi costituzionali relativi all’istruzione, all’inclusione di tutti i soggetti anche quelli con diversità, all’eguaglianza dei cittadini, secondo l’interpretazione dell’art. 3 Cost., che legittima il trattamento differenziato quando serve a evitare situazioni penalizzanti per certe categorie di cittadini, ossia quando è la non applicazione a determinare le osteggiate discriminazioni.

Il danno non patrimoniale, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, purché la lesione dell’interesse superi una soglia minima di tollerabilità (imponendo il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., di tollerare le intrusioni minime nella propria sfera personale, derivanti dalla convivenza) e purché il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi.

La valutazione dell’interesse culturale

Consiglio di Stato, sez. VII, 17 dicembre 2024, n. 10140

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Valutazione dell’interesse culturale – Discrezionalità tecnico-valutativa

La valutazione dell’interesse culturale di un bene è un’esclusiva prerogativa dell’amministrazione responsabile del relativo vincolo e comporta un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché richiede l’applicazione di conoscenze tecniche specialistiche in settori scientifici come storia, arte e architettura.

Elezioni e principio di “strumentalità delle forme”

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 20 dicembre 2024, n. 1023

Procedimento elettorale – Principio di strumentalità delle forme – Ratio – Illegittimità non invalidante – Irregolarità sostanziali e non sostanziali – Rilevanza

Nel procedimento elettorale vige il principio di strumentalità delle forme, che, in correlazione con la regola di conservazione delle operazioni elettorali, mira finalisticamente alla stabilità del risultato elettorale nonché al rispetto della volontà espressa dagli elettori. In ragione dell’operatività dell’istituto della illegittimità non invalidante, sono rilevanti soltanto le irregolarità sostanziali, influenti, cioè, sulla libera espressione del voto e sulla complessiva attendibilità del risultato finale. Sono invece irrilevanti le irregolarità non sostanziali, ovvero i vizi nella compilazione dei verbali delle sezioni elettorali, inerenti la corrispondenza tra il numero degli iscritti e i votanti, il numero delle schede autenticate, il riepilogo dei voti relativi allo scrutinio, la congruenza tra i voti di preferenza e i voti di lista. È, in ogni caso, sempre onere di chi agisce in giudizio avverso gli atti elettorali dimostrare in che modo le presunte irregolarità, alterando la manifestazione del voto, comportino l’illegittimità del risultato proclamato e l’ottenimento di quello auspicato.

Società in house e controllo analogo “congiunto”

Consiglio di Stato, sez. IV, 21 gennaio 2025, n. 416

Servizi pubblici – In house providing – Natura giuridica – Presupposti – Controllo analogo – Controllo analogo congiunto – In house pluripartecipato – Condizioni

In linea con gli artt. 12 della direttiva 2014/24/UE e 5 del codice dei contratti pubblici, affinché il requisito del controllo analogo in caso di società in house pluripartecipata sia soddisfatto, occorre che le Amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possano comunque esercitare il controllo analogo in modo congiunto e che:

a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;

b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato, secondo le regole generali elaborate con riguardo all’in house providing tradizionale sin dalla sentenza della Corte di Giustizia Teckal (8 novembre 1999, C-107/98);

c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.

Dal complesso di tali previsioni emerge in definitiva l’esistenza di rilevanti deroghe ai meccanismi tipici di funzionamento delle società di capitali, tali da assicurare ai soci pubblici, collettivamente considerati, un’influenza determinante e un controllo effettivo sulla gestione dell’ente partecipato, attraverso poteri di condizionamento sull’operato del management in grado di conformare l’azione di quest’ultimo agli interessi pubblici di cui il singolo ente pubblico partecipante è portatore.

Premessa la natura ordinaria e non eccezionale del cosiddetto “in house”, i presupposti necessari ai fini della legittimità dell’affidamento diretto sono: la totale partecipazione pubblica del capitale della società incaricata della gestione del servizio; la realizzazione, da parte della suddetta società, della parte preponderante della propria attività con gli enti controllanti; il controllo analogo sulla società partecipata da parte dei medesimi enti (cosiddetto controllo frammentato o congiunto). A quest’ultimo riguardo, è ammesso il controllo analogo “congiunto”, in cui non si richiede certo che ciascuno degli enti pubblici partecipanti possa esercitare un potere individuale su tale entità, bensì che ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta.

A proposito nell’in house pluripartecipato le Amministrazioni pubbliche, in possesso di partecipazioni di minoranza, possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;

b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;

c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.