Consiglio di Stato, sez. II, 11 settembre 2024, n. 7523

Titolo edilizio – Condizioni per il rilascio – Relazione qualificata col bene – Oneri verificatori del Comune – Effetti sui rapporti interprivati

Il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria.

È onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma ciò non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.

Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.

In sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto.

Il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o l’esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d’intervento.

Con l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia, nel circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia, si intende ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.

Il provvedimento autorizzatorio in materia edilizia inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio; per converso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.

Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce, una volta realizzato, illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.

Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendano tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.

Né, in quella sede, vi è necessità di disapplicazione dell’atto amministrativo, poiché ciò che il Giudice ordinario accerta è – direttamente – la lesione del diritto reale, che non interviene “per il tramite” del provvedimento amministrativo, ma per effetto dell’attività edilizia del privato, legittimata sul piano amministrativo dal provvedimento, ma da questo non “coperta” sul piano civilistico.

In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto, se non nei limiti in cui la violazione della norma civilistica si risolva (anche) in un pregiudizio per l’interesse pubblico.

Diversamente opinando, si perviene ad una “sovrapposizione” delle forme di tutela, poiché, di fatto, si determina una tutela dell’interesse legittimo per il tramite delle norme direttamente poste a tutela del diritto soggettivo, con una conseguente attribuzione al giudice amministrativo di ambiti giurisdizionali che, invece, sono propri del giudice ordinario (in pratica, un fenomeno di “doppia giurisdizione”). E ciò, per di più, in presenza di una “estraneità”, espressamente (e correttamente) affermata, del titolo edilizio ai “diritti dei terzi” e, dunque, ai rapporti dominicali interprivati.