Consiglio di Stato/TAR

Abusi, sanatorie e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. VI, 7 marzo 2025, n. 1924

Abuso edilizio – Totale mancanza del titolo edilizio – Onere probatorio dell’ultimazione dei lavori – Sanatoria speciale – Temperamento secondo ragionevolezza – d.P.R. 380/2001 – Natura giuridica – Criteri e principi direttivi

Grava sul privato interessato l’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia realizzata sine titulo, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale, ovvero fra quelle realizzate legittimamente, in quanto ratione temporis non era richiesto un titolo; va, tuttavia, ammesso un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui, il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti (aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze importanti) e, dall’altro, il comune non analizzi debitamente tali dati e adduca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio.

Ai sensi dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, la natura e qualificazione dei testi unici misti – qual è il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – soddisfa, tra gli altri criteri e princìpi direttivi, i) la puntuale individuazione del testo vigente delle disposizioni, ii) l’esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni, iii) il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo. Pertanto, la formale vigenza del d.P.R., n. 380 del 2001, non è ostativa al suo richiamo in relazione a condotte poste in essere in data precedente alla sua entrata in vigore, le quali risultavano parimenti realizzabili e sanzionabili, nell’ipotesi in cui ostassero all’edificazione, secondo le analoghe – e omologhe – norme recate dalle disposizioni previgenti, prime fra tutte quelle sancite nella legge 28 febbraio 1985, n. 47.

Varianti al PRG e termini di conclusione del procedimento

Consiglio di Stato, sez. IV, 24 febbraio 2025, n. 1563

Pianificazione urbanistica – Procedimento di approvazione di varianti al PRG – Termine di conclusione del procedimento – Non applicabilità – Principi di efficacia e non aggravamento – Danno ingiusto

Non trova applicazione il termine di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 241 del 1990, in presenza di un procedimento amministrativo di approvazione di un programma di interventi in variante al PRG, connotato da intrinseca complessità, da discrezionalità particolarmente ampia e, conseguentemente, da scansioni temporali di istruttoria, approfondimento e delibazione necessariamente diverse e più ampie rispetto a quelle proprie di una domanda dal contenuto semplice. La non applicabilità della norma de qua non esclude il carattere comunque doveroso dell’azione amministrativa, che deve essere portata a conclusione; il necessario rispetto (verificabile in sede giurisdizionale sub specie di vizio di violazione di legge) dei principi di efficacia e non aggravamento, che si traduce nell’effettiva funzionalizzazione degli adempimenti procedimentali all’utile conseguimento del risultato finale; una sorta di licenza per l’amministrazione, comunque soggetta al dovere di correttezza, lealtà e rispetto dell’affidamento del privato, la cui violazione genera un obbligo risarcitorio.

L’art. 2-bis, comma 1, legge n. 241 del 1990, allorché parla di “danno ingiusto” (“cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”), rimanda alla lesione della situazione giuridica rilevante e al bene della vita sotteso ad essa.

Moschee, divieti e oneri di motivazione

Consiglio di Stato, sez. VII, 27 febbraio 2025, n. 1710

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione – Luogo di culto religioso – Provvedimento di diniego – Deficit istruttorio e motivazionale – Illegittimità – Diritto inviolabile di culto – Dovere delle autorità pubbliche di regolare il territorio senza frapporre ostacoli all’esercizio del culto –

A fronte di una domanda di un’associazione di promozione sociale volta all’individuazione e concessione da parte del comune di uno spazio da adibire in modo permanente e duraturo a luogo di culto religioso per la comunità musulmana, deve intendersi affetto da deficit istruttorio e motivazionale  il provvedimento di diniego fondato sul  rilievo dell’assenza di  un’area destinabile a culto, secondo la pianificazione urbanistica, laddove, al contrario, detta area non solo risulti esistente, ma il comune richieda contraddittoriamente adempimenti che ne presuppongono l’esistenza, evidenziando inoltre che, quando pure detta area fosse disponibile, sarebbe necessaria seguire una procedura ad evidenza pubblica. In siffatto modo il comune frappone un illegittimo e insormontabile ostacolo all’esercizio della libertà di culto da parte dell’associazione richiedente con un diniego che, nella sua perentorietà immotivata, blocca qualsiasi prospettiva e iniziativa

Secondo Corte cost., 5 dicembre 2019, n. 254, della libertà di religione, costituente diritto inviolabile, il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale, per cui l’esercizio pubblico e comunitario del culto va tutelato, e va assicurato ugualmente a tutte le confessioni religiose, a prescindere dall’avvenuta stipulazione o meno dell’intesa con lo Stato e dalla loro condizione di minoranza. La libertà di culto si traduce anche nel diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare (Corte cost. n. 67 del 2017) e comporta perciò più precisamente un duplice dovere a carico delle autorità pubbliche cui spetta di regolare e gestire l’uso del territorio (essenzialmente le regioni e i comuni): in positivo – in applicazione del principio di laicità – esso implica che le amministrazioni competenti prevedano e mettano a disposizione spazi pubblici per le attività religiose; in negativo, impone che non si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e che non si discriminino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici (Corte cost. n. 63 del 2016, n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993).

NCC e obbligo di autorimessa

Consiglio di Stato, sez. V, 10 marzo 2025, n. 1957

Circolazione stradale – Servizio di noleggio con conducente (NCC) – Obbligo di autorimessa nel territorio del Comune che rilascia l’autorizzazione – Ratio – Legittimità – Non violazione della libertà di stabilimento

L’obbligo di utilizzare, nell’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC), esclusivamente una rimessa ubicata all’interno del territorio del comune che rilascia l’autorizzazione, è immediatamente finalizzato a garantire che il servizio stesso, pur potendosi svolgere senza limiti spaziali, cominci e termini presso la medesima rimessa, ovvero entro il territorio comunale. Ciò risponde all’esigenza di assicurare che il detto servizio sia svolto, almeno tendenzialmente, a favore della comunità locale di cui il comune è ente esponenziale. La prescrizione che la rimessa sia ubicata entro il territorio dell’ente è coessenziale alla natura stessa dell’attività da espletare, diretta principalmente ai cittadini del comune autorizzante cui si vuol garantire un servizio, non di linea, complementare e integrativo rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta. La verifica del rispetto del vincolo di territorialità non può prescindere dall’accertamento dell’effettivo utilizzo della rimessa, non essendo a tal fine sufficiente la mera disponibilità (per tale, anche potenzialmente fittizia) della stessa.

Il particolare regime della necessaria territorialità delle licenze del servizio di noleggio con conducente (NCC) non viola le regole di diritto eurounitario, atteso che l’art. 49 del TFUE, che tutela la libertà di stabilimento, è posto a presidio della libera circolazione delle imprese da uno Stato membro all’altro, valore che non è certo posto in discussione dalle disposizioni legislative, le quali si limitano a richiedere, quale requisito oggettivo del servizio, la localizzazione della rimessa in ambito comunale.

Impianti eolici e autorizzazione unica ambientale

Consiglio di Stato, sezione IV, 5 marzo 2025, n. 1877

Realizzazione ed esercizio di un impianto eolico – Autorizzazione unica ambientale – Illegittimità – Onere istruttorio e motivazionale rafforzato

È illegittimo il provvedimento di autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 qualora non siano state esplicitate le ragioni per le quali i pareri contrari della Soprintendenza e dell’unione dei comuni in ordine alla tutela del paesaggio e alla conformità agli strumenti di pianificazione siano stati ritenuti recessivi rispetto ai pareri di altre amministrazioni preposte alla tutela di interessi più settoriali che esprimono le proprie determinazioni da un angolo prospettico meno ampio rispetto alla tipologia di opera.

La previsione contenuta nell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 secondo cui l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico, non toglie rilevanza agli oneri di fornire una motivazione adeguata e di effettuare una istruttoria completa nel caso in cui siano state formalizzate, in conferenza di servizi e/o con appositi atti, argomentate obiezioni da parte delle amministrazioni locali, nel senso della non conformità del progetto da autorizzare agli strumenti urbanistici di pianificazione.

Inquinamento e responsabilità degli amministratori di società

Consiglio di Stato, sez. IV, 5 marzo 2025, n 1882

Doveri in materia ambientale contro il rischio di inquinamento – Obbligo di messa in sicurezza – Abbandono di rifiuti – Misure di ripristino – Persone fisiche e giuridiche – Srl – Rapporto di immedesimazione organica – Responsabilità degli amministratori – Solidarietà – Nesso di causalità – Onere probatorio rafforzato – Abuso della personalità giuridica

In linea di principio, non può ammettersi un’estensione automatica dei doveri in materia ambientale gravanti sulla persona giuridica anche alle persone fisiche che in essa hanno rivestito e svolto funzioni decisorie di amministrazione. In virtù del rapporto di immedesimazione organica, che lega l’amministratore di una società di capitali, avente autonoma personalità giuridica, alla medesima società, il destinatario dell’obbligo di messa in sicurezza va individuato nell’ente medesimo, salvo che l’amministratore abbia agito di propria ed esclusiva iniziativa ed in contrasto con gli interessi della società, ovvero abbia contribuito con il proprio anomalo comportamento ad aggravare (o male prevenire) il rischio di inquinamento, agendo quale inquinatore diretto.

Nelle società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio ai sensi dell’art. 2462 c.c. Pertanto, l’esistenza di un mero rapporto di immedesimazione organica, che lega gli amministratori alla società, e che consente alla seconda di operare nel mondo giuridico attraverso i primi, non può implicare, in via automatica, una concorrente responsabilità degli amministratori per tutti gli illeciti posti in essere dalla società, pena il dissolvimento stesso del particolare regime di separazione patrimoniale in cui il concetto stesso di persona giuridica si risolve. Pertanto in linea generale la legittimazione passiva relativamente alle misure di ripristino in materia ambientale, salva la ricorrenza di ipotesi eccezionali, grava sulla società e non sugli amministratori.

Anche con riferimento ai doveri ambientali, affinché si possa ipotizzare una concorrente responsabilità degli amministratori della società proprietaria del sito, l’amministrazione pubblica deve compiere uno sforzo probatorio aggiuntivo e ulteriore, diretto a dimostrare che la condotta delle persone fisiche amministratrici abbia aggiunto un sovrappiù di efficienza causale, tale da aggravare (o male prevenire) il rischio di inquinamento, oltre che l’imputabilità di tale anomalo contegno quanto meno alla colpa del singolo amministratore.

La circostanza che in materia ambientale la responsabilità gravi sulla società di capitali e non sugli amministratori si evince anche dall’art. 192, comma 4, decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (c.d. t.u. ambiente) che, pur nel quadro della diversa fattispecie relativa al divieto di abbandono di rifiuti, dopo aver disciplinato al comma 3 gli obblighi di rimozione e di ripristino a carico del soggetto responsabile, prende espressamente in considerazione la posizione degli amministratori di persone giuridiche, responsabili dell’abbandono, e della società, prevedendo la correlativa responsabilità solidale, rinviando alle previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni. Detto disposto si riferisce infatti a comportamenti, per così dire, ultra vires degli amministratori, rispetto ai quali non opera il normale regime dell’immedesimazione organica, come evincibile dal fatto che il legislatore è dovuto intervenire con una disposizione espressa al fine di estendere, in via solidale, anche alla persona giuridica le conseguenze patrimoniali delle condotte degli amministratori.

In caso di inosservanza dell’obblighi relativi alla gestione dei rifiuti, la società risponde sotto il profilo patrimoniale, mentre, solo con riferimento alla responsabilità penale (rispetto al quale ovviamente viene in rilievo il principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost.) essa grava su colui che ha poteri di gestione dell’ente al momento consumativo del reato. A ciò fa eccezione il caso di macroscopico uso distorto dello schema societario che, con riferimento ai soci, prende, come è noto, il nome di “abuso dello schermo della personalità giuridica”.

Anche in materia ambientale è configurabile la responsabilità degli amministratori laddove si sia in presenza di un “abuso della personalità giuridica” (c.d.“piercing the corporale veil” ossia “perforamento del velo societario”), che implica l’abuso dei diritti nascenti dalle norme (rectius del regime normativo) che la legge riassume nel concetto di persona giuridica. Infatti, il rimedio contro gli abusi della personalità giuridica va identificato nel superamento da parte del giudice dello schermo della personalità giuridica, con l’imputazione degli atti o delle condotte illecite direttamente a coloro che si sono avvalsi strumentalmente di tale istituto.

Ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p., applicabili sia pure con alcuni adattamenti relativi allo standard probatorio, all’accertamento del rapporto di causalità relativo all’illecito civile e all’illecito ambientale, il subentrare di una successiva posizione di garanzia elide la rilevanza causale del precedente contributo solo quando integra una condotta di per sé idonea a provocare l’evento, mentre nei casi di illecito permanente in materia ambientale ricorre un unico evento di danno che ciascun soggetto garante, con la propria condotta inerte, concorre ad aggravare e per il quale, dunque, in base all’art. 2055, c.c. dovrà essere chiamato a risponderne. Una interruzione del nesso causale è, di contro, configurabile solo quando la condotta successiva crea un rischio nuovo e molto diverso rispetto a quello originario attivato dalla condotta iniziale del primo garante.

Pannelli fotovoltaici e autorizzazione paesaggistica

Consiglio di Stato, sez. IV, 18 febbraio 2025, n. 1341

Beni culturali paesaggistici e ambientali – Vincolo paesaggistico – Area sorrentino-amalfitana – Energie alternative – Pannelli fotovoltaici – Autorizzazione paesaggistica – Necessità – Deroga – Presupposti

Ai fini della collocazione di pannelli fotovoltaici su di un immobile inserito nel perimetro del P.U.T. dell’area sorrentino-amalfitana e vincolata per effetto dei decreti del Ministro della pubblica istruzione 16 febbraio 1957 e 16 giugno 1966, che hanno imposto il vincolo paesaggistico sul territorio del comune di Ravello, sia quale bellezza panoramica ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. d), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, sia quale complesso di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c), del medesimo decreto legislativo, occorre il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. L’autorizzazione paesaggistica non occorre con riferimento ai vincoli di cui all’art.136, comma 1, lettera c), ai soli fini dell’installazione di pannelli integrati nelle coperture, non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici, eccettuate le coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale, ai sensi dell’art. 7-bis, comma 5, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.

CILA e soccorso istruttorio

Consiglio di Stato, sez. II, 25 febbraio 2025, n. 1651

Titolo edilizio – CILA – Declaratoria di irricevibilità/inefficacia – Condizioni – Soccorso istruttorio – Ratio

In relazione ai provvedimenti, variamente adottati dagli enti locali sotto la qualificazione di declaratorie di irricevibilità/inefficacia ovvero archiviazione  o  simili della comunicazione inizio lavori asseverata-CILA (che con il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222,  è divenuta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongano la SCIA o il permesso di costruire ovvero che non rientrino nell’attività edilizia libera), trovano applicazione, in analogia a quanto previsto relativamente alla SCIA i limiti di tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6-bis e 6-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, in combinato disposto con il richiamo alle “condizioni” di cui all’art. 21-nonies della medesima normativa; conseguentemente tali atti, seppure non espressivi di poteri tipizzati, non sussistendo alcuna previsione normativa che li disciplini, in quanto dotati del carattere di lesività, sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo.

Carenze prettamente documentali negli elaborati a corredo della comunicazione d’inizio lavori asseverata (CILA) possono essere ovviate attraverso l’attivazione del generale dovere di soccorso istruttorio, contemplato dall’art. 6 della l. 7 agosto 1990 n. 241, istituto generale del procedimento amministrativo che ha la sua massima applicazione al di fuori dei procedimenti di tipo comparativo; pertanto, laddove non emerga alcuna esigenza di par condicio o necessità di accelerazione della procedura, il soccorso istruttorio può  essere utilizzato come parametro di legittimità dell’azione amministrativa, dovendo tra l’altro l’autorità amministrativa assumere nei confronti del privato una condotta ispirata a buona fede e collaborazione, onde pervenire alla soddisfazione della comune esigenza alla compiuta definizione del procedimento amministrativo, nel rispetto dell’affidamento dei soggetti coinvolti dall’esercizio del potere.

Pre-esistenze edilizie, stato legittimo e rappresentazioni grafiche

Consiglio di Stato, sez. VII, 18 febbraio 2025, n. 1382

Titolo edilizio – Stato legittimo delle preesistenze edilizie – Estensibilità ad altre opere in caso di novella legislativa – Esclusione

Lo stato legittimo delle preesistenze edilizie ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – come modificato dal d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2024, n. 120 – non può estendersi alle opere meramente rappresentate nell’elaborato grafico prodotto a corredo del titolo edilizio per altre e diverse opere.

Acquisto di un immobile, titoli edilizi pregressi e legittimo affidamento

Consiglio di Stato, sez. VI, 9 dicembre 2024, n. 9877

Titolo edilizio – Rilascio previa verifica della legittimità dei titoli pregressi – Presunzione – Legittimo affidamento del privato sulla regolarità edilizia

L’art. 9-bis, comma 1-bis, d.P.R. 380/2001 – come novellato dal d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 luglio 2024, n. 105 – valorizza, modificando il precedente assetto normativo, il legittimo affidamento del privato sulla regolarità di un immobile purché, l’amministrazione, in sede di rilascio del titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi.

La verifica della legittimità dei titoli pregressi da parte dell’amministrazione competente può essere presunta qualora nella modulistica relativa all’ultimo titolo edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare siano stati indicati gli estremi dei titoli pregressi sulla base del presupposto che, in sede di rilascio di ciascun titolo, l’Amministrazione è chiamata a verificare.