Consiglio di Stato/TAR

Convenzioni urbanistiche, accordi sostitutivi, inadempimento e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 marzo 2025, n. 1962

Convenzioni urbanistiche – Natura giuridica – Disciplina – Inadempimento dell’amministrazione – Rimedi civilistici – Riparto dell’onere probatorio – Risarcimento dei danni – Danno emergente – Lucro cessante – Natura giuridica – Tesi ontologica

La convenzione stipulata tra privato ed amministrazione volta a disciplinare le modalità di realizzazione di opere di urbanizzazione deve assimilarsi a un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ex articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 al quale si applicano, ove non diversamente previsto, i principi civilistici in materia di inadempimento delle obbligazioni. Pertanto, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 del codice civile.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al danno emergente, alle spese documentate direttamente imputabili, anche pro quota, alla attuazione della convenzione, a meno che non si tratti di spese che, per la loro natura indivisibile, il privato avrebbe comunque dovuto sostenere e che pertanto non risultano sine causa, nell’an o nel quantum, in conseguenza del venir meno in parte qua della convenzione urbanistica.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) non può ricomprendere, quanto al danno emergente, le spese relative al regime di tassazione dell’immobile rimasto invenduto in quanto indice di capacità contributiva, cui si correlano peraltro anche vantaggi in termini di solvibilità, ampiezza della garanzia patrimoniale e possibilità di ottenere finanziamenti. Difatti, non si tratta di un pregiudizio patrimoniale suscettibile di ristoro ma dell’insieme di diritti e di obblighi legali connessi in via ordinaria alla titolarità del bene.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al lucro cessante per perdita di chance, all’utile presuntivamente ritraibile dall’operazione (nella specie stimato nel 10% del prezzo di compravendita) sul quale poi va calcolata la percentuale corrispondente alla concreta possibilità di conseguimento della utilità finale attesa (nella specie, rappresentata dalla vendita del bene e stimata nel 30% dell’utile teorico) che deve tener conto di specifiche circostanze (nella specie, presenza di una o più proposte di acquisto, eventuali condizioni disincentivanti all’acquisto, assoggettamento della convenzione edilizia al potere di recesso dell’amministrazione, scelta processuale dell’operatore di chiedere la risoluzione della convenzione senza ricercare ulteriori chance di vendita).

In materia di risarcimento del lucro cessante, va accolta la tesi ontologica del danno da perdita di chance, qualificando la chance alla stregua di una posta attiva del patrimonio del danneggiato assistita da una consistenza probabilistica adeguata circa il conseguimento dell’utilità finale attesa e, in ordine alla quantificazione, può farsi applicazione del criterio del principio della liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile.

Istituzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco

Consiglio di Stato, sez. V, 3 febbraio 2025, n. 802

Disavanzo comunale e rilancio degli investimenti – Addizionale comunale sui diritti d’imbarco aeroportuale – Funzione di carattere compensativo – Onere istruttorio e motivazionale rafforzato

È legittima, in quanto accompagnata da congrua istruttoria e motivazione, l’istituzione, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, decreto legge 17 maggio 2022, n. 50, dell’addizionale comunale sui diritti d’imbarco, di cui all’articolo 1 comma 572, lettera a) della legge 30 dicembre 20221, n, 234, nella misura di 2,00 euro per passeggero, dovuta da tutti i passeggeri che si imbarcano dall’aeroporto di Napoli Capodichino, adottata all’esito della stipula del “Patto per Napoli” (id est l’“accordo tra lo Stato e il Comune di Napoli per il ripiano del disavanzo e per il rilancio degli investimenti”) stipulato ai sensi dell’art. 1, commi 567 e seguenti della citata legge n. 234 del 2021, per effetto di un significativo disavanzo pro-capite emerso con una condizione di c.d. predissesto dichiarato diversi anni prima, ai sensi degli artt. 243 bis e seg. del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, avendo il comune di Napoli assunto, in sede di accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’impegno ad introdurre una serie di misure atte al reperimento delle risorse, ricadenti in diverse delle fattispecie previste nelle lettere da a) ad i) dell’art. 1, comma 572, di detta legge e non la sola addizionale comunale ai diritti di imbarco. Né, a fronte della completezza dell’istruttoria e della motivazione degli atti presupposti, può esigersi ulteriore motivazione in ordine alle ragioni della mancata adozione di altre misure, non avendo la legge posto alcuna gerarchia tra le misure da adottare, ed avendone rimesso la scelta all’ente locale, per cui è sufficiente ed adeguata la giustificazione che dia conto dei caratteri – di certezza e di rilevanza – del gettito dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco, anche in ragione della “funzione di carattere compensativo” riservata all’addizionale sui diritti di imbarco.

Gestione dei rifiuti e principio della responsabilità condivisa

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 293

RSU – Gestione dello smaltimento – Principio della responsabilità condivisa fra i soggetti coinvolti in produzione, detenzione, trasporto e smaltimento – Posizione di garanzia – Esclusione di responsabilità – Requisito della continuità temporale – Responsabilità per abbandono e deposito incontrollati – Rapporti con la sentenza penale di proscioglimento per intervenuta prescrizione

In materia ambientale, in ragione delle prescrizioni di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, vige il principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti. Da esso discende il corollario secondo cui la corretta gestione dei medesimi grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. Ne segue che l’esclusione di responsabilità presuppone che il produttore sia in possesso del formulario di cui all’art. 193 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 controfirmato e datato dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore. Il requisito della continuità temporale ai fini dell’applicazione della scriminante in esame non può dirsi soddisfatto dalla produzione in giudizio da parte del produttore di un contratto stipulato per dare copertura a frazioni temporali pregresse in quanto detto titolo non è inidoneo ad assicurare le finalità di cui all’art. 188, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i. e a rispettare quanto prescritto dal successivo art. 193.

Il Sindaco del Comune può trarre elementi idonei ad accertare la responsabilità per l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 dalla sentenza penale che dichiari l’improcedibilità dell’azione per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p. Nell’ambito della generale categoria delle “sentenze di proscioglimento”, il codice di procedura penale pone, infatti, una fondamentale distinzione tra sentenza di non luogo a procedere, o di proscioglimento anticipato, e sentenza di assoluzione. La sentenza che dichiari l’improcedibilità dell’azione penale per intervenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p. contiene una formula procedurale che prevale su quella assolutoria di merito solo perché non è stata raggiunta la dimostrazione dell’evidenza della prova di circostanze che escludessero la colpevolezza degli imputati.

Conferenza di servizi e silenzio-assenso

Consiglio di Stato, sez. V, 14 febbraio 2025, n. 1236

Procedimento amministrativo – Silenzio-assenso – Conferenza di servizi avviata presso una Provincia – Intervenuto mutamento dei confini territoriali della Provincia – Sovrintendenza competente – Parere paesaggistico negativo – Opportunità dell’indicazione di modifiche necessarie ai fini dell’assenso

Non opera il silenzio-assenso, ai sensi degli artt. 14-bis e 17-bis della legge 7 agosto 1990, n.  241, sull’iniziale istanza di parere alla soprintendenza, ove la conferenza di servizi, iniziata presso una determinata provincia, inizialmente competente,  si sia  conclusa con la richiesta di rendere plurimi chiarimenti e di ripresentare il progetto,  laddove  nelle more, dopo detta comunicazione (e prima del riscontro da parte del privato-istante),  sia  intervenuta la modifica ordinamentale di cui alla legge  28 maggio 2021, n. 84, con cui sono stati modificati i confini della provincia, accorpando il Comune in cui ricade l’intervento progettato,  al territorio di una diversa regione ed  attribuendo conseguentemente  alla soprintendenza di una diversa provincia la competenza al rilascio del parere.  In forza della normativa transitoria di cui all’art. 2 comma 6 della citata legge n. 84 del 2021,  non può infatti  ritenersi che il decorso del termine sia avvenuto senza soluzione di continuità rispetto all’istanza inizialmente presentata, avendo per contro  il riscontro della società alla richiesta di chiarimenti e di ripresentazione del progetto svolto la funzione non solo di (ri)attivare il procedimento,  ma anche di incardinarlo presso la Soprintendenza competente, per cui deve aversi  riguardo, ai fini del computo del termine per la formazione del silenzio-assenso,  alla nuova convocazione della conferenza di servizi decisoria presso il nuovo comune in cui risulta incardinata la competenza a seguito della predetta modifica ordinamentale.

CILA e inesauribilità del potere amministrativo

Tar Sicilia, Catania, sez. II, 23 gennaio 2025, n. 260

Titoli edilizi – CILA – Natura giuridica – Legittimo affidamento – Provvedimenti sanzionatori – Principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Termini – Ordinatorietà e perentorietà – Tutela risarcitoria

La C.I.L.A., a differenza della S.C.I.A., non ingenera alcun legittimo affidamento per silentium – l’onere del cui previo superamento graverebbe sull’Amministrazione che intenda adottare, dopo il suo consolidamento, una ordinanza di demolizione -, ma si risolve in una mera dichiarazione di scienza, alla quale l’ente locale competente può sempre disconoscere la capacità di produrre effetti giuridici senza alcuna necessità di un intervento in autotutela sulla stessa.

I provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi ammettere l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione abusiva che il tempo non può legittimare, perché in questi casi vale il principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità dell’infrazione e il lasso temporale trascorso, salve le ipotesi di dolosa preordinazione o di abuso.

In assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio; il suo superamento non determina, perciò, l’illegittimità dell’atto, ma una semplice irregolarità non viziante, poiché non esaurisce il potere dell’Amministrazione di provvedere.

Termini fissati a pena di decadenza per l’esercizio del potere di cui all’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 possono sussistere solo a fronte di puntuali e specifiche previsioni normative: poiché, ove così non fosse, verrebbe violato il principio del buon andamento dell’azione amministrativa sub specie temporis – e quindi e di conseguenza: il primo comma dell’art. 97 Cost.

L’esercizio della funzione pubblica è connotato dai requisiti della doverosità e della continuità, cosicché i termini fissati per il suo svolgimento hanno giocoforza carattere acceleratorio, in funzione del rispetto dei principi di buon andamento (97 Cost.), efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (art. 1, comma 1, L. n. 241 del 1990), e non già perentorio. Conseguentemente, la loro scadenza non priva l’amministrazione del dovere di curare l’interesse pubblico, né rende l’atto sopravvenuto di per sé invalido.

È senz’altro lecito dubitare della totale carenza di tutela a fronte dell’assenza di limiti temporali per l’esercizio di poteri repressivi da parte del Comune competente nei confronti di interventi edilizi assoggettati a CILA. Infatti, il soggetto interessato potrà sempre cautelativamente avanzare una richiesta di rilascio di permesso di costruire anche a fronte di interventi edilizi assoggettati a CILA – analogicamente a quanto invece espressamente previsto per la SCIA dal comma 7 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001 (alla cui stregua “è comunque salva la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo”). Sarà poi il contenuto di accertamento dell’eventuale provvedimento di rigetto – proprio perché l’intervento edilizio di cui al presentato progetto doveva invece ritenersi assoggettato a CILA -, o comunque dell’atto doverosamente reso a fronte di un silenzio altrimenti giustiziabile a norma dell’art. 117 c.p.a., che tutelerà le ragioni dell’istante: consentendogli, ove successivamente l’Amministrazione interpellata ritenga di poter esercitare poteri repressivi per l’assenza di un previo titolo edilizio, di promuovere un’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. per danno da false informazione (per un importo che potrà totalmente coincidere con il valore dell’immobile che dovrà essere abbattuto – in base ad una ordinanza di demolizione legittima, ma a fronte di una complessiva condotta contra jus dell’ente locale che prima abbia ritenuto il relativo intervento assoggettato soltanto a CILA).

È da escludere che, pur nella mancanza di sistematicità dei controlli, quindi dei termini entro cui l’Amministrazione può intervenire, l’autore di un intervento edilizio assoggettato a CILA rimanga privo di qualunque tutela: essa continuerà invece a poter sussistere, ma in termini esclusivamente risarcitori, piuttosto che in quelli – certo più incisivi, ma costituzionalmente impraticabili – della tutela in forma specifica.

CILA e obblighi di controllo della PA

Tar Sicilia, Catania, sez. III, 21 gennaio 2025, n. 243

Titolo edilizio – CILA – Nozione – Controllo sulla conformità tecnico-giuridica – Non previsione – Omessa presentazione – Sanzione pecuniaria – Poteri di controllo – Assenza – Effetti pregiudizievoli sul privato –

La c.d. comunicazione d’inizio lavori asseverata (CILA) rappresenta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la SCIA o il permesso di costruire, ovvero che non rientrano ai sensi dell’art. 6 nell’attività edilizia libera; ne deriva che sono ricondotte alla medesima opere qualitativamente rilevanti come, a titolo puramente esemplificativo, gli interventi di manutenzione straordinaria leggera ovvero quelli che, pur comportando cambi di destinazione d’uso urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti strutturali dell’edificio e non incidono sui prospetti.

Diversamente da quanto disposto per la SCIA, sulla conformità tecnico-giuridica della CILA non è, però, previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato, in quanto la norma si limita a introdurre una sanzione pecuniaria “secca” in caso di omessa presentazione, senza in alcun modo disciplinare l’ipotesi in cui la stessa si profili contra legem.

Se per un verso non può ritenersi che la previsione, contenuta nel comma 5 dell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001, della sanzione pecuniaria per la mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori esaurisca il novero dei poteri che l’Amministrazione può spendere a seguito della presentazione della CILA, deve, comunque, affermarsi che il potere di controllo, oltre che al dato formale della sola presentazione, possa unicamente ricondursi all’accertamento che l’opera ricada effettivamente nell’ambito dell’edilizia sottoposta a tale strumento di semplificazione, senza che possano trovare ingresso altre questioni, in quanto estranee alla fattispecie disciplinata dal legislatore.

La mancata previsione di controlli sistematici rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe, in sostanza, l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull’istanza di permesso.

L’attività assoggettata a CILA non solo è libera, ma deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un modesto impatto sul territorio e non dissimulino interventi edilizi necessitanti di specifica autorizzazione.

Istanza di SCIA in sanatoria e silenzio dell’amministrazione

Consiglio di Stato, sez. II, 19 febbraio 2025, n. 1394

Titolo edilizio – SCIA – Istanza in sanatoria – Silenzio della P.A. – Strumentalizzazione – Effetti – Ius superveniens – Disciplina

Sussiste, in linea generale, un obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di S.C.I.A. in sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 con la correlativa legittimazione del privato ad agire in giudizio a fronte del silenzio serbato dall’amministrazione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. non potendosi predicare l’avvenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza presentata, poiché l’art. 37 d.P.R. n. 380/2001 (nel testo applicabile ratione temporis), a differenza dell’art. 36 che lo precede (relativo al silenzio-rigetto sull’istanza di permesso di costruire in sanatoria), non assegna al silenzio serbato dall’amministrazione alcun valore provvedimentale.

La strumentalizzazione dell’istituto di cui all’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 (nella formulazione antecedente al d.l. n. 69/2024 convertito con modificazioni dalla l. n. 105 del 2024), utilizzato scientemente e sistematicamente per uno scopo concreto diverso e antitetico rispetto alla finalità a cui è per legge deputato (id est la sanatoria in via eccezionale di abusi formali minori e non quella di sottrarre l’intervento al rilascio del titolo edilizio ex ante e all’accertamento di compatibilità urbanistica ex post), ha immediate ricadute sul piano procedimentale e processuale con riguardo: i) all’insussistenza di un obbligo dell’amministrazione di provvedere poiché l’utilizzo reiterato dell’istituto in esame ne determina un ingiustificato sviamento dal fine tipico ed integra una fattispecie di abuso del diritto, nonché di violazione degli obblighi di collaborazione e buona fede; ii) alla conseguente inconfigurabilità, in capo alla ditta ricorrente, di una situazione soggettiva suscettibile di tutela nelle forme del rito del silenzio ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., per la natura illegittima, emulativa ed elusiva dell’interesse rivendicato.

Deve escludersi – in ragione del principio tempus regit actum – l’applicabilità dello ius superveniens costituito dall’art. 36-bis d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dal d.l. n. 69/2024 (convertito con modificazioni dalla l. n. 105 del 2024), entrato in vigore il 30 maggio 2024, alle S.C.I.A. in sanatoria presentate in precedenza, giacché non si rinviene nel testo del d.l. n. 69/2024 (né la ditta ricorrente ha indicato) alcuna disposizione transitoria intesa a consentire l’applicazione in via retroattiva della nuova disciplina alle istanze presentate prima della sua entrata in vigore, sicché, in difetto di un’espressa statuizione di retroattività, non può che trovare applicazione la regola generale sancita dall’art. 11 disp. prel. c.c.

Sospensione dei lavori e ordinanza di demolizione

Consiglio di Stato, sez. II, 17 febbraio 2025, n. 1256

Titolo edilizio – SCIA – Poteri inibitori – Mancato esercizio nei termini di legge – Successiva ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Illegittimità – Provvedimento di sospensione dei lavori di cui all’art. 27, comma, 3 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Natura giuridica – Efficacia

È illegittima l’ordinanza di demolizione di opere edilizie già oggetto di segnalazione certificata di inizio attività cui non ha fatto seguito – nei termini perentori di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241 – alcun provvedimento inibitorio con conseguente consolidamento degli effetti, ai sensi degli artt. 19, comma 3, l. n. 241/1990.

In ragione della sua natura cautelare e temporanea, il provvedimento di sospensione dei lavori di cui all’art. 27, comma, 3 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, perde efficacia una volta decorso il termine senza l’adozione del provvedimento definitivo.

Il provvedimento di sospensione dei lavori ove riconducibile – per il suo chiaro contenuto e il suo tenore letterale – all’art. 27 comma 3 d.P.R. n. 380/2001, non può qualificarsi come atto di inibizione definitiva dell’attività segnalata ex art. 19, commi 3 e 6-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa

Tar Lazio, Roma, sez. I, 25 febbraio 2025, n. 4128

Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso – Iter procedimentale – Momento istruttorio e decisorio – Provvedimento di scioglimento – Natura giuridica – Interessi rilevanti – Motivazione rafforzata – Comunicazione avvio procedimento – Non necessarietà

Il decreto presidenziale di cui all’art. 143 Tuel è l’esito di un articolato iter procedimentale che si avvia con l’azione della Prefettura territorialmente competente la quale nomina un’apposita commissione d’accesso presso gli uffici dell’ente locale, finalizzata ad acquisire tutti gli elementi concernenti eventuali collegamenti (ovvero influenze) tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata. L’esito degli accertamenti viene vagliato dalla Prefettura la quale trasmette un’apposita relazione al Ministro dell’interno che, a sua volta, propone al Consiglio dei ministri lo scioglimento dell’ente locale e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dello stesso. Una volta deliberato dal Consiglio dei Ministri lo scioglimento, esso è disposto con decreto del Presidente della Repubblica. L’attività degli organi statali periferici è di natura istruttoria, mentre il momento decisorio è rimesso al Governo (nella sua composizione collegiale) in base alla proposta del Ministro dell’interno la quale, ovviamente, può recepire in tutto o in parte quanto evidenziato nella relazione prefettizia.

Il provvedimento di scioglimento è una misura straordinaria, di carattere non sanzionatorio bensì preventivo, per affrontare una situazione emergenziale e finalizzata alla salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. L’interesse curato dall’amministrazione statale è di rango talmente elevato che il potere nell’apprezzamento degli elementi fattuali posti a base della decisione di scioglimento di un ente locale democraticamente eletto è particolarmente ampio, andando anche oltre le responsabilità personali dei singoli amministratori: ciò si traduce, indi, in una valutazione complessiva dello stato dell’apparato burocratico mediante un giudizio globale e sintetico che deve però evidenziare degli elementi «concreti, univoci e rilevanti» di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso, non potendosi ricorrere al commissariamento nei casi di gestione meramente inefficiente o inefficace.

La decisione di commissariare un ente ai sensi dell’art. 143 Tuel è (quasi) sempre basata su una molteplicità di percorsi argomentativi che si fondono tra loro, pur mantenendo una loro unitarietà potendo (spesso) anche autonomamente costituire ragione sufficiente a giustificare lo scioglimento: pertanto, gli interessati debbono dimostrare l’erroneità della totalità (o quanto meno della gran parte) degli iter logico-motivazionali impiegati dall’amministrazione quale spiegazione della propria decisione.

È esclusa la necessità di garantire la piena partecipazione degli interessati, in considerazione della «natura di misura straordinaria di prevenzione che ha il provvedimento di scioglimento e della funzione ritenuta prevalente dall’ordinamento, di salvaguardia della funzionalità dell’amministrazione pubblica e di rimedio a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale, dovuto al condizionamento da parte della criminalità organizzata». Conseguentemente, la lamentata mancanza di una formale comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990) e l’omissione di un reale contraddittorio, sono perfettamente legittimi tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento e della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone, riguardando piuttosto la complessiva operatività dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale.

Formazione della giunta comunale e parità di genere

Tar Campania, Napoli, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 1087

Giunta comunale – Designazione componenti – Parità di genere – Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti – Onere sindacale di ricerca di componenti di genere femminile anche esterni al Consiglio – Mancata disponibilità – Onere motivazionale attenuato

Ai fini del rispetto della parità di genere nell’ambito della giunta comunale, ai sensi dell’art. 6 comma 3 e 46 comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli enti locali), spetta al sindaco svolgere l’attività volta ad acquisire la disponibilità di soggetti femminili, anche esterni al consiglio per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, ai sensi dell’art. 47, comma 4, del medesimo decreto legislativo, motivando adeguatamente l’eventuale impossibilità di adeguamento alla legge; incombe pertanto sul sindaco l’onere di provare di non essere riuscito ad acquisire la disponibilità allo svolgimento della funzione assessorile da parte di un rappresentante del genere femminile.

Ai fini del rispetto della parità di genere la natura fiduciaria della carica assessorile non può giustificare la limitazione di un eventuale interpello alle sole persone appartenenti alla stessa lista o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco; ciò a maggior ragione in realtà locali non particolarmente estese.