Patrimonio pubblico/Demanio

Occupazione abusiva di suolo pubblico e poteri pubblici

Consiglio di Stato, sez. VII, 12 marzo 2024, n. 2408

Occupazione abusiva di suolo pubblico – Potere di autotutela possessoria iuris publici – Disciplina speciale – Ratio – Termini – Natura giuridica – Autotutela petitoria – Termini

Quello regolato dall’art. 378 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F) è un potere di autotutela possessoria iuris publici, inteso all’immediato ripristino dello stato di fatto preesistente e non sottoposto a limiti temporali, attesa la specialità della disciplina che lo contempla e stante l’inapplicabilità della normativa sulla tutela possessoria di cui all’art. 1168 del c.c., secondo cui, chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di questo la reintegrazione del possesso medesimo.

I poteri di autotutela iuris publici che discendono dall’articolo 378 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), e mediatamente dall’articolo 823 del codice civile non presentano la medesima identità, né stessa ratio delle azioni di cui dispone il privato e possono essere esercitati anche dopo che sia decorso un anno dalla alterazione, o dalla turbativa. In particolare, si tratta di un potere autoritativo con cui vi è il doveroso ripristino della disponibilità del bene in favore della collettività (poco importando se per trascuratezza o connivenza, o per mera mancata conoscenza delle circostanze di fatto, o per esigenze di approfondimento delle questioni, gli organi pro tempore non abbiano emanato gli atti di autotutela).

La disciplina speciale sul potere pubblicistico di autotutela possessoria non si pone su un piano di parallelismo con le azioni possessorie previste dal codice civile, in quanto il «potere», per i principi di legalità e di tipicità, è disciplinato nel suo esercizio dai principi generali del diritto amministrativo e non è sottoposto a termini di decadenza, a meno che il legislatore – con una espressa disposizione – disponga il contrario, a tutela di particolari interessi. In particolare, non si può invocare l’analogia per applicare la normativa sul termine annuale, previsto dal codice civile per l’esercizio dell’azione possessoria, poiché nessuna lacuna vi è da colmare.

L’art. 823 c.c. attribuisce alla P.A. il potere di agire a tutela non solo del possesso, ma anche della proprietà dei beni pubblici e in questa evenienza non è ravvisabile alcun termine decadenziale. Invero, la natura del bene oggetto di tutela, quale bene facente parte del demanio o del patrimonio indisponibile, fa sì che, ai sensi dell’art. 823, secondo comma c.c., la P.A. possa agire anche in via di autotutela petitoria, senza limiti di tempo.

Concessioni di bene pubblico e rinnovo automatico

Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 23 febbraio 2024, n. 3637

Concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche – Rinnovo automatico – Non applicazione – Principio di legalità e certezza del diritto – Roma Capitale – Libera concorrenza – Scarsità della risorsa – Interpretazione – Gare pubbliche – Principi di trasparenza e non discriminazione

Le disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni sono illegittime per contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; il dovere di disapplicazione delle stesse si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, anche in caso di direttiva “self executing”. Opinare diversamente, infatti, significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.

I posteggi per l’esercizio del commercio, nel comune di Roma Capitale, sono un bene limitato, considerato anche il ristretto carattere territoriale del Comune concedente, l’attuale assenza di concorrenzialità del settore e l’elevata attrattività che rivestono per gli operatori tali attività, specie nel contesto caratterizzato da profili di unicità e assoluta particolarità, quale è quello di Roma.

Il concetto di scarsità della risorsa parcheggi va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato.

La direttiva 2006/123/CE “Bolkestein” è “self executing” e il settore del commercio in aree pubbliche rientra nell’ambito di applicazione della stessa: pertanto, si impone l’indizione di gare pubbliche a tutela della concorrenza per il mercato, materia “trasversale”, che è suscettibile di trovare applicazione in vari settori dell’ordinamento nazionale, tra cui deve senz’altro farsi rientrare quello delle concessioni di parcheggi a rotazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche caratterizzati dalla scarsità delle concessioni assentibili.

La sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione.

Concessioni demaniali marittime, rinuncia e subentro

Consiglio di Stato, sez. VII, 25 gennaio 2024, n. 796

Concessioni demaniali marittime – Rinuncia da parte dell’originario concessionario – Subingresso – Silenzio assenso

In caso di rinuncia alla concessione da parte dell’originario concessionario e di contestuale richiesta al subentro di altra società, è esclusa l’operatività del silenzio assenso, ma deve essere seguita la procedura di cui all’art. 46 del R.D. n.327 del 1942 (cd. “codice della navigazione), che prevede, in occasione del subingresso, la necessità dell’espressa autorizzazione del concedente. Ciò è coerente con la ratio del provvedimento concessorio, che è basato sul cd. “rapporto fiduciario” che deve sussistere tra concedente e concessionario e che sarebbe frustrata laddove si ritenesse applicabile il procedimento semplificato di cui all’art.20 della legge sul procedimento alle ipotesi di subingresso nel rapporto. Né – per gli evidenti aspetti pubblicistici sottesi al rapporto – sarebbe applicabile la disciplina civilistica in tema di cessione del contratto, di cui all’art. 1406 c.c.

Il comma 2 dell’art. 46 cod. nav. regola la fattispecie dell’aggiudicazione con subingresso dell’aggiudicatario, (non solo) nel rapporto concessorio, ma anche nella titolarità degli impianti e delle opere costruiti dal concessionario su suolo demaniale. La norma, in previsione dell’esercizio del potere di riscatto da parte del concedente, regola la fattispecie subordinando l’efficacia del trasferimento all’espresso consenso del proprietario del bene demaniale su cui l’opera è costruita, il quale potrebbe volere mantenere il relativo potere nei confronti dell’originario concessionario, quanto meno come obbligato in solido alla restituzione, con il subentrante. Anche il primo comma dell’art. 46 citato prevede la necessità dell’autorizzazione del concedente per il subingresso.

Al di là del nomen iuris utilizzato dalla norma (autorizzazione), la disciplina relativa al subingresso nella concessione demaniale marittima delinea un istituto sui generis, contemporaneamente diverso dal rilascio della concessione (artt. 36 e ss. cod. nav.), ma anche dalla mera autorizzazione; si tratta, infatti, della sostituzione di un soggetto nell’ambito di un rapporto concessorio preesistente (del quale permangono le condizioni e scadenze), e dunque di una novazione soggettiva, che necessariamente partecipa della natura della concessione demaniale, configurando una sorta di fenomeno derivativo, rispetto al quale non opera il silenzio assenso, occorrendo invece un provvedimento espresso; tale soluzione trova indiretta conferma, sul piano sistematico, nella disposizione dell’art. 30 del reg. nav. mar., il cui comma 3 stabilisce che « qualora l’amministrazione, in caso di vendita o di esecuzione forzata, non intenda autorizzare il subingresso dell’acquirente o dell’aggiudicatario nella concessione, si applicano, in caso di vendita, le disposizioni sulla decadenza e in caso di esecuzione forzata le disposizioni sulla revoca»; in particolare, la previsione di una revoca dell’originaria concessione sembra escludere che il subingresso si fondi su di un mero provvedimento di rimozione di un limite ad un diritto preesistente.

L’intervenuto fallimento dell’originario concessionario, avendo inciso sulla sussistenza degli originari requisiti soggettivi, esclude, a monte, la capacità di quest’ultimo di disporre del suddetto rapporto.

Concessioni demaniali marittime e disapplicazione proroghe automatiche

Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200

Concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – Proroga automatica – Contrasto diritto eurounitario – Abuso edilizio e paesaggistico – Valutazione

Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici, né dalla pubblica amministrazione.

La valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall’insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni.

Nozione di bene culturale

Tar Liguria, Genova, sez. I, 11 gennaio 2024, n. 16

Beni culturali – Nozione – Vincoli – Discrezionalità

L’Amministrazione può assoggettare a tutela culturale i beni di proprietà di un ente pubblico in uno spettro di situazioni più ampio rispetto all’ipotesi di cespiti appartenenti a privati: infatti, per i beni del demanio e del patrimonio pubblico l’art. 10, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 42/2004 postula la sussistenza di un “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, vale a dire di un interesse culturale, per così dire, semplice; diversamente, per quelli in proprietà privata, l’art. 10, comma 3, richiede il riscontro di un interesse “particolarmente importante” o “eccezionale”.

La nozione di bene culturale non si presta ad una definizione tassativa e puntuale, ma costituisce un concetto aperto, il cui contenuto viene riempito dalle elaborazioni di diversi campi del sapere, afferenti alle scienze non esatte. In ragione delle peculiarità epistemologiche insite nell’apprezzamento della qualitas culturale di un bene, il giudizio che presiede alla dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnica, poiché implica l’applicazione di cognizioni specialistiche proprie di settori scientifici della storia, dell’arte, dell’architettura, dell’archeologia e di altre discipline caratterizzate da canoni elastici e mobili e, quindi, da lati margini di opinabilità. Ne consegue che la valutazione dell’Amministrazione può essere censurata soltanto se la decisione risulti in contrasto con la realtà fattuale, ovvero sia irragionevole, incoerente o inattendibile sotto il profilo tecnico, ponendosi al di fuori della naturale ed intrinseca opinabilità del sapere che definisce il carattere culturale del bene.

Beni demaniali marittimi e sdemanializzazione

Tar Campania, Napoli, sez. VII, 8 gennaio 2024, n. 216

Demanio marittimo – Sdemanializzazione – Discrezionalità

È esclusa la possibilità di sdemanializzazione tacita del demanio marittimo, essendo sempre necessario un atto formale, legislativo o amministrativo, ai sensi dell’art. 35 c. nav., che ha efficacia costitutiva, essendo basato su una valutazione tecnico-discrezionale in ordine ai caratteri naturali dell’area ed alle esigenze locali, finalizzata a verificare la sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare. E ciò a differenza di quanto previsto per il demanio, in genere, dall’art. 829 c.c., secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può dunque avvenire anche tacitamente e per facta concludentia.

Se ne ricava che i beni che fanno parte del demanio marittimo, e sono quindi sottoposti al relativo regime speciale, si definiscono per un atteggiamento specifico della demanialità, in quanto essa trova la sua peculiare ragione e, nel contempo, i suoi stessi limiti, nell’essere codesti beni immancabilmente collegati con i pubblici usi del mare. Infatti, la nozione dogmatica di demanio necessario è da connettere all’elemento della necessarietà del bene ad una funzione esclusiva dell’ente cui esso appartiene, perciò se questa viene meno, il bene cessa la possibilità dell’esercizio della funzione.

I beni demaniali marittimi sono beni aventi una destinazione pubblica specifica; essi possiedono la qualità di beni pubblici per riserva originaria ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 e 29 cod. nav., ovvero in ragione delle loro caratteristiche naturali, senza necessità di un provvedimento formale della P.A. marittima, che è invece richiesto ai fini della perdita della demanialità, quando venga meno l’idoneità dei beni a soddisfare l’uso pubblico cui erano destinati.

Demanio marittimo e gara per l’affidamento

Consiglio di Stato, sez. VII, 5 gennaio 2023, n. 232

Demanio marittimo – Affidamento in concessione – Gara pubblica – Vincoli archeologici – Risarcimento del danno

La preesistenza di ragioni di tutela archeologica dell’area demaniale marittima rispetto alla decisione comunale di suo affidamento in concessione per finalità turistico-ricreative giustifica un ristoro pecuniario nei confronti dell’operatore economico, a carico dell’amministrazione, per i soli costi inutilmente sopportati per partecipare ad una procedura di gara per la quale era preclusa in radice la possibilità di un risultato utile, ma non anche delle ulteriori spese sostenute per dotarsi delle attrezzature necessarie per esercitare l’attività sull’area affidata in concessione.

Concessione di beni demaniali e rischio operativo

Consiglio di Stato, sez. VII, 5 gennaio 2024, n. 225

Concessione di beni demaniali – Rischio operativo – Selezione del concessionario – Condizioni di gestione imprenditoriale e di uso del bene pubblico

Le concessioni di beni demaniali legittimano il concessionario allo svolgimento di un’attività economica in un’area demaniale, con assunzione del relativo rischio operativo e non vertono su una prestazione di servizi o di lavori affidata dall’ente aggiudicatore; ne deriva, dunque, la loro inclusione tra i contratti attivi, con conseguente esclusione dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, ferma la necessaria applicazione di procedure imparziali e trasparenti e salvi gli auto vincoli eventualmente stabiliti dall’amministrazione nella selezione del concessionario. Da tale qualificazione deriva, altresì, maggiore libertà economica del concessionario di determinare, nella propria offerta, le condizioni di gestione imprenditoriale e di uso del bene pubblico.

L’affidamento della gestione degli impianti sportivi

Tar Lombardia, Milano, sez. V, 4 gennaio 2024, n. 26

Servizio pubblico – Gestione di impianti sportivi – Finalità – Vigilanza e controllo dell’Amministrazione – Concessione di immobili ad uso sportivo – Natura giuridica – Patrimonio indisponibile

La gestione di impianti sportivi comunali è un servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, per cui l’utilizzo del patrimonio si fonda con la promozione dello sport che, unitamente all’effetto socializzante ed aggregativo, assume in ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita, a beneficio non solo per la salute dei cittadini, ma anche per la vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio, etc.). Ne discende che l’affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici – appartenenti al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826 del c.c., quando siano o vengano destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive – non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura una concessione di servizi.

Gli impianti sportivi comunali appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell’art. 826, ult. comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, sicché, qualora tali beni siano dati in concessione a privati, restano devolute al giudice amministrativo le controversie sul rapporto concessorio, inclusa quella sull’inadempimento degli obblighi concessori e la decadenza del concessionario.

Soltanto nella concessione, la pubblica amministrazione concedente, esplicando le sue funzioni di vigilanza e controllo nei confronti del gestore (sulle quali l’art. 133 estende la giurisdizione esclusiva), svolge la sua attività autoritativa in funzione di regolazione del rapporto concessorio per tutta la sua durata, al fine di verificare costantemente la rispondenza dell’attività svolta dal concessionario ai canoni del servizio pubblico. In questa fase, si coglie quella commistione indissolubile tra posizioni giuridiche – di diritto soggettivo in capo al concessionario esecutore della prestazione ed esercizio di potere autoritativo in funzione di regolazione da parte dell’Amministrazione concedente – che rappresenta la ragione stessa della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle questioni che sorgono in tale ambito.

Suolo pubblico e impedimento all’uso collettivo

Consiglio di Stato, sez. V, 3 gennaio 2024, n. 113

Occupazione permanente di suolo stradale – Impedimento all’uso collettivo – Canone di concessione non ricognitorio – Interramento condutture

L’art. 27 del codice della strada fonda l’imposizione del canone non ricognitorio su di un provvedimento di autorizzazione o concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica; a livello sistematico, si desume dal codice che l’imposizione del canone presuppone la sottrazione, in tutto od in parte, all’uso pubblico della res, a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.

Avendo il codice operato il richiamo alla sola “sede stradale” (vale a dire, alla superficie, e non anche al sottosuolo o al soprasuolo), deve intendersi che l’imposizione del canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima, solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico; ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi o tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione. Resta inteso che l’imposizione del canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tempo durante il quale le lavorazioni di posa in opera e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale; ma non si rinviene una base normativa per ammettere una siffatta imposizione nel periodo successivo durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della rete stradale.

Il canone non ricognitorio di cui all’art. 27, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 285 del 1992 è una prestazione patrimoniale che si applica in correlazione con l’uso singolare della risorsa stradale, e dunque in funzione della limitazione od esclusione dell’ordinaria funzione generale. In linea di principio, dunque, alle occupazioni finalizzate all’interramento di condutture non si applica il canone ricognitorio, in quanto si tratta di una modalità di utilizzo della sede stradale che non preclude la generale fruizione della risorsa pubblica, limitandosi alla presenza nel sottosuolo dell’infrastruttura di servizio a rete.