Procedimenti e regimi amministrativi

Procedimento amministrativo e obbligo di provvedere

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 30 gennaio 2024, n. 767

Procedimento amministrativo – Obbligo di provvedere – Silenzio inadempimento – Acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. 327/2001 – Discrezionalità

L’art. 2 della l. 241 del 1990 reca il principio generale in forza del quale, se il procedimento consegue obbligatoriamente dalla presentazione di un’istanza da parte del privato, ovvero deve essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione a ciò competente ha l’obbligo di concluderlo, mediante l’adozione di un provvedimento espresso nei termini di legge.

Sebbene l’art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001 non contempli espressamente un avvio del procedimento ad istanza di parte, il privato può sollecitare la p.a. ad avviare il relativo procedimento e quest’ultima ha l’obbligo di provvedere al riguardo, essendo l’eventuale inerzia configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo. L’amministrazione ha, dunque, l’obbligo giuridico di esaminare le istanze dei proprietari volte ad attivare il procedimento di cui all’art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto e facendo comunque venir meno la situazione di occupazione “sine titulo” dell’immobile, con il ripristino della legalità.

Resta, comunque, fermo che la valutazione comparativa degli interessi in gioco e la conseguente decisione in ordine all’acquisizione o alla restituzione del bene rimane riservata alla sfera di discrezionalità dell’amministrazione.

Titoli edilizi e atti presupposti

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 15 gennaio 2024, n. 91

Procedimento amministrativo – Atto presupposto – Invalidità ad effetto caducante e viziante – Piano urbanistico e successivi titoli autorizzatori edilizi – Rapporto di presupposizione

In presenza di vizi accertati di un atto amministrativo presupposto, deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente a quello consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato (o annullato d’ufficio), mentre, nel secondo, l’atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata e, pertanto, resta efficace ove non impugnato nel termine di rito (o non annullato d’ufficio). L’effetto caducante, che per la sua forza dirompente ha natura eccezionale, ricorre nella sola evenienza in cui il provvedimento successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale dell’atto anteriore, quale sua inevitabile conseguenza e senza ulteriori valutazioni della pubblica amministrazione; ciò comporta, dunque, la necessità di verificare l’intensità del rapporto di conseguenzialità che lega i due atti, con riconoscimento dell’effetto caducante solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario. In altri termini, il vizio caducante richiede che tra gli atti interessati via sia un rapporto di presupposizione necessaria, che tipicamente si instaura soltanto all’interno di una medesima sequenza procedimentale, sicché per l’adozione di quello successivo non residui alcun margine di ponderazione che non si traduca nel mero completamento dell’iter iniziato con il primo atto.

L’annullamento di un atto che non costituisca l’unico presupposto di quello successivo non svolge, rispetto a quest’ultimo, un’efficacia caducante, con automatico travolgimento di esso, ma semplicemente viziante, nel senso che consente soltanto l’eventuale impugnativa dell’atto ulteriore da parte degli interessati, ovvero l’eventuale annullamento d’ufficio, sussistendone tutti i presupposti di legge, da parte dell’Amministrazione.

È esclusa l’esistenza di un nesso di presupposizione immediato, diretto e necessario nel rapporto tra piano esecutivo convenzionato (i.e. uno strumento urbanistico non generale) e i successivi titoli autorizzatori edilizi che nel primo trovino fondamento, escludendo così il presupposto per il prodursi di un effetto caducante sul secondo in caso di annullamento del primo.

L’annullamento di strumenti urbanistici di pianificazione si ripercuote sui singoli atti applicativi a valle relativi a terzi in termini di invalidità non caducante, ma soltanto viziante.

Il permesso a costruire si colloca entro un procedimento amministrativo differente, seppur collegato, rispetto a quello di approvazione del piano particolareggiato presupposto: quindi, il permesso a costruire non può qualificarsi rispetto a quest’ultimo alla stregua di un atto meramente consequenziale, come tale suscettibile di perdere ipso iure validità o efficacia in seguito all’annullamento del primo.

Pertanto, non è configurabile un’automatica caducazione del permesso di costruire, quale conseguenza dell’annullamento del piano sulla cui base è stato rilasciato, trattandosi di atti collocati in sequenze procedimentali differenti.

Impianti di distribuzione dei carburanti

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 30 gennaio 2024, n. 12

Servizi pubblici – Distribuzione carburanti – Razionalizzazione – Competenze regionali, provinciali, comunali – Localizzazione impianti – Titolo edilizio per la realizzazione dell’impianto

Il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32 recante “Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59” è preposto alla razionalizzazione della rete dei distributori di carburante, sì da ridurre i punti vendita, per raggiungere l'”erogato medio europeo”, contenendo in tal modo i prezzi ed efficientando la distribuzione. Detto altrimenti, lo scopo della disciplina in questione, che ha sottratto l’installazione e la gestione degli impianti al regime concessorio, rendendole attività esercitabili previa autorizzazione, non è riconducibile alla liberalizzazione (della collocazione) degli impianti di distributori di carburante, obiettivo che effettivamente postulerebbe la tutela della concorrenza e la difesa dei consumatori, bensì alla razionalizzazione del sistema.

L’aver riconosciuto che la realizzazione e la gestione delle stazioni carburanti si configura quale esercizio di un diritto già esistente, consentito appunto dall’autorizzazione e non quale attribuzione di un nuovo diritto, soggetto pertanto a concessione, da un lato non vale di per sé a definire la regolamentazione della rete distributiva dei carburanti in termini di “liberalizzazione”, al più ravvisabile solo nel passaggio dal regime di concessione a quello di autorizzazione; dall’altro tale pretesa “liberalizzazione” non ha del tutto eliminato, in questo settore, la potestà pianificatoria dell’ente territoriale, volta a consentire una dislocazione equilibrata, sul proprio territorio, degli impianti di distribuzione dei carburanti e non confliggente con le destinazioni urbanistiche assegnate alle varie parti del territorio medesimo. D’altra parte, e ancora per quanto attiene nello specifico la lettera della legge, l’art. 2, comma 1 bis, del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, non va letto isolatamente, bensì in combinato disposto con l’art. 1 del medesimo decreto, nonché con il comma 1 del citato art. 2: il richiamato art. 1, nel prevedere che l’installazione e l’esercizio di impianti di distribuzione dei carburanti sono attività liberamente esercitate, sulla base dell’autorizzazione di cui al comma 2 e con le modalità dello stesso decreto, fa salve le prerogative di autonomia della Provincia di Trento, disponendo che “Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono a quanto disposto dal presente decreto secondo le previsioni dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione”. Il comma 1 del citato art. 2 affida poi ai Comuni il compito di definire i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree su cui possono essere installati gli impianti di distribuzione carburanti, mediante la predisposizione di un apposito atto di raccordo con la disciplina urbanistica, così disponendo: “1. Per consentire la razionalizzazione della rete di distribuzione e la semplificazione del procedimento di autorizzazione di nuovi impianti su aree private i Comuni, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individuano criteri, requisiti e caratteristiche delle aree sulle quali possono essere installati detti impianti. Contestualmente, i Comuni dettano le norme applicabili a dette aree, ivi comprese quelle sulle dimensioni delle superfici edificabili, in presenza delle quali il Comune è tenuto a rilasciare la concessione edilizia per la realizzazione dell’impianto. I Comuni dettano, altresì, ogni altra disposizione che consenta al richiedente di conoscere preventivamente l’oggetto e le condizioni indispensabili per la corretta presentazione dell’autocertificazione di cui all’articolo 1, comma 3, del presente decreto, anche ai fini del potenziamento o della ristrutturazione degli impianti esistenti.”

Centro abitato e limitazioni alla circolazione stradale

Consiglio di Stato, sez. V, 9 gennaio 2024, n. 282

Circolazione stradale – Libertà di locomozione e iniziativa economica – Limitazioni in centro abitato – Discrezionalità – Tutela di ambiente, paesaggio e salute

L’art. 16 Cost. non preclude l’adozione di misure che, per ragioni di pubblico interesse, influiscano sul movimento della popolazione; è pertanto costituzionalmente legittima una previsione come quella dell’art. 7 del Codice della strada, in quanto l’art. 16 Cost. consente limitazioni giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela. Conseguentemente, non sono utilmente proponibili, contro atti amministrativi attuativi della norma, doglianze di violazione degli artt. 16 e 41 Cost., quando non sia vietato tout court l’accesso e la circolazione all’intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell’abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico.

La parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica è giustificata, laddove derivi dall’esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali e ambientali, specie di rilievo mondiale o nazionale; la gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario e assoluto che la Costituzione riconosce all’ambiente, al paesaggio, alla salute.

È legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione e alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando una nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzione di continuità.

I provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all’interno dei centri abitati sono espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che vanno contemperati secondo criteri di ragionevolezza, la cui scelta è rimessa all’autorità competente.

L’uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengano al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare e alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere.

La tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi rilevanti: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’uso indiscriminato del mezzo privato, trattandosi di disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela e alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza il cui sindacato va compiuto dal giudice amministrativo in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, ab externo, nei limiti della abnormità.

Accesso difensivo

Tar Lazio, Roma, sez. II, 19 gennaio 2024, n. 990

Procedimento amministrativo – Potere di vigilanza – Accesso – Interesse qualificato – Riservatezza – Ammissibilità

Chi subisce gli effetti di un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti. Invero, l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività, e, di conseguenza, il denunciante perde consapevolmente la disponibilità sulla propria segnalazione. Quest’ultima, infatti, diventa un elemento del procedimento amministrativo e come tale nella disponibilità dell’Amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da generiche esigenze di tutela della riservatezza, giacché il già menzionato diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.

La pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso, ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.

Installazione stazione radio e silenzio-assenso

Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11203

Procedimenti amministrativi – Servizi pubblici – Installazione stazione radio per telefonia mobile – Silenzio assenso – Formazione

L’assenso tacito sull’istanza per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile si forma allorquando sulla domanda, se corredata di tutti gli elementi occorrenti alla valutazione della pubblica amministrazione, sia decorso il termine di legge senza che questa abbia provveduto, mentre non può essere escluso per difetto delle condizioni sostanziali per il suo accoglimento, ossia, per contrasto della richiesta con la normativa di riferimento.

Ove l’istanza non sia stata corredata da tutta la documentazione necessaria, ovvero si presenti imprecisa o foriera di possibili equivoci, in modo tale che l’amministrazione destinataria sia stata impossibilitata per il comportamento dell’istante a svolgere un compiuto accertamento di spettanza del bene, il silenzio assenso non può formarsi, per cui si avrà un’ipotesi di inesistenza dello stesso e non di sua illegittimità.

Farmacie e pianificazione comunale

Tar Marche, Ancona, sez. II, 20 gennaio 2024, n. 64

Servizi pubblici – Servizio farmaceutico – Pianificazione territoriale – Competenza comunale – Trasferimento – Concorso per assegnazione sedi

L’Amministrazione comunale dispone di poteri in materia di apertura, esercizio e trasferimento di farmacie ai sensi della legge n. 475 del 1968, come incisivamente modificata dal D.L. n. 1/2012, convertito dalla legge n. 27/2012. Inoltre, l’art. 2 di detta legge attribuisce ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. In particolare, tale norma prevede che il Comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifichi le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurarne un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate. La competenza comunale si estende inoltre, anche al trasferimento della farmacia all’interno della sede assegnata, disciplinato dall’art. 1 della medesima legge, che subordina l’autorizzazione al trasferimento all’unica condizione della distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (comma 4).

Il compito di individuare le zone ove collocare le farmacie è assegnato espressamente ai soli Comuni dall’articolo 11, commi 1 e 2, del dl 1/2012, a garanzia soprattutto dell’accessibilità del servizio farmaceutico ai cittadini. La decisione del legislatore statale di affidare ai Comuni il compito di individuare le zone risponde all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività alla quale concorrono plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l’individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, il correlato esame di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali – come si è detto – sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti all’area del merito amministrativo, rilevanti ai fini della legittimità soltanto in presenza di chiare ed univoche figure sintomatiche di eccesso di potere, in particolare sotto il profilo dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà. Inoltre, lo strumento pianificatorio (in passato denominato pianta organica) non è più configurato come atto complesso che si perfezioni con il provvedimento di un ente sovracomunale (la Regione ovvero la Provincia, o altro, a seconda delle legislazioni regionali), bensì come un atto di esclusiva competenza del Comune (e per esso della Giunta): e ciò tanto nella prima applicazione del D.L. n. 1 del 2012, quanto nelle future revisioni periodiche.

Mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune.

Nozione di bene culturale

Tar Liguria, Genova, sez. I, 11 gennaio 2024, n. 16

Beni culturali – Nozione – Vincoli – Discrezionalità

L’Amministrazione può assoggettare a tutela culturale i beni di proprietà di un ente pubblico in uno spettro di situazioni più ampio rispetto all’ipotesi di cespiti appartenenti a privati: infatti, per i beni del demanio e del patrimonio pubblico l’art. 10, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 42/2004 postula la sussistenza di un “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, vale a dire di un interesse culturale, per così dire, semplice; diversamente, per quelli in proprietà privata, l’art. 10, comma 3, richiede il riscontro di un interesse “particolarmente importante” o “eccezionale”.

La nozione di bene culturale non si presta ad una definizione tassativa e puntuale, ma costituisce un concetto aperto, il cui contenuto viene riempito dalle elaborazioni di diversi campi del sapere, afferenti alle scienze non esatte. In ragione delle peculiarità epistemologiche insite nell’apprezzamento della qualitas culturale di un bene, il giudizio che presiede alla dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnica, poiché implica l’applicazione di cognizioni specialistiche proprie di settori scientifici della storia, dell’arte, dell’architettura, dell’archeologia e di altre discipline caratterizzate da canoni elastici e mobili e, quindi, da lati margini di opinabilità. Ne consegue che la valutazione dell’Amministrazione può essere censurata soltanto se la decisione risulti in contrasto con la realtà fattuale, ovvero sia irragionevole, incoerente o inattendibile sotto il profilo tecnico, ponendosi al di fuori della naturale ed intrinseca opinabilità del sapere che definisce il carattere culturale del bene.

Titoli edilizi e legittimazione all’istanza

Consiglio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2024, n. 527

Titolo edilizio – Legittimazione all’istanza – Oneri istruttori del Comune

Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 380/2001, il permesso di costruire (o altro titolo edilizio) può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza ed è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio. Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente.

Dicatio ad patriam

Tar Lombardia, Milano, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 67

Pianificazione urbanistica – Costituzione di diritti reali – Onere probatorio – Servitù di uso pubblico – Dicatio ad patriam

Lo strumento urbanistico non vale a costituire diritti reali (salvo le ipotesi, ovviamente, di vincoli espropriativi), sicché un’area privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico.

Per la costituzione di un diritto reale su bene privato equivalente a servitù prediale, è necessario un titolo idoneo a detto scopo. In particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento. Dunque, affinché una strada privata possa essere gravata da servitù di parcheggio, non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario.

L’istituto della “dicatio ad patriam”, quale modalità di costituzione di una servitù di uso pubblico, è connotato da elementi di fatto: il proprietario, in particolare, deve mettere, in modo univoco, il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l’effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico; oppure, il proprietario deve mettere il bene a disposizione della collettività indifferenziata dei cittadini, per il tempo necessario al perfezionamento dell’usucapione.