Procedimenti e regimi amministrativi

Unioni di comuni, estromissione e recesso

Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2023, n. 376

Servizi pubblici – Gestione associativa – Convenzioni fra Enti locali – Natura giuridica – Istituzione – Modifiche – Unione fra Comuni – Estromissione e recesso

Le convenzioni previste al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, disciplinate in termini generali dall’art. 30 del T.u.e.l., ove opzionate quale forma di gestione associata dai Comuni obbligati, devono avere una durata almeno triennale, termine che comunque indica l’unità di tempo minimo trascorsa la quale si dovrebbe procedere a misurare l’effettività dei risparmi conseguiti, secondo modalità demandate ad apposito provvedimento attuativo (v. ancora l’art. art. 14, comma 31-bis, del d.l. n. 78 del 2010).

Rispetto alla gestione associativa in Unione, i Comuni in convenzione mantengono la titolarità giuridica delle funzioni, delle risorse e del personale e non si avvalgono degli organi amministrativi colà appositamente previsti. Essa, pertanto, costituisce un modello connotato da maggiore flessibilità, tanto da risultare la forma associativa largamente più diffusa tra i piccoli Comuni. Al contrario, la natura di Ente di secondo livello dell’Unione fa sì che le modalità organizzative della stessa siano rimesse agli atti adottati dai relativi organi, in particolare lo Statuto e i regolamenti, ferma restando, una volta che la stessa si sia costituita, l’applicabilità dei principi previsti per l’ordinamento dei Comuni, «con particolare riguardo allo status degli amministratori, all’ordinamento finanziario e contabile, al personale e all’organizzazione» (art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000).

In fase di prima istituzione, lo Statuto deve essere approvato dai consigli dei Comuni partecipanti; le successive modifiche invece sono rimesse alla competenza di quello dell’Unione.

Le convenzioni ex art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 sono una species del più ampio genus di accordi contemplati dall’art. 15 della l. n. 241 del 1990. A ciò consegue la necessità che la loro stipula soddisfi i requisiti di forma previsti da ridetta disposizione a carattere generale quale, a far data dal 30 giugno 2014, la sottoscrizione con firma digitale (art. 15, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dal d.l. n. 104 del 2013, successivamente modificato dal d.l. n. 145 del 2013). Essi, inoltre, sono sottoposti ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili, ove non diversamente previsto.

Nell’ambito della disciplina dell’Unione, invece, solo i commi 2 e 5-bis dell’art. 32 del T.u.e.l. fanno riferimento all’utilizzo della convenzione: la prima ipotesi (comma 2), quale esercizio da parte dell’Unione, al pari di qualsiasi altra amministrazione, della sua capacità negoziale, estrinsecantesi nella possibilità di sottoscrivere accordi con altre Unioni o con singoli Comuni, aderenti o meno alla stessa; la seconda (comma 5-bis, introdotto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), per consentire ai Sindaci dei Comuni aderenti di delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell’Unione o dei singoli Comuni associati.

L’Unione fra Comuni si concretizza in un Ente distinto dai Comuni che la compongono, a finalità normalmente settoriale, dotato di propri organi e competenze esclusive, nell’ambito dell’oggetto della gestione condivisa. Per contro, l’accordo gestionale cui si addiviene con una mera convenzione può risolversi in una delega, ma non spoglia mai il Comune che la conferisce della titolarità in astratto della relativa funzione.

Il potere di estromettere con decisione unilaterale uno dei Comuni che compongono un’Unione non è previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000. Il recesso del singolo partecipante può avvenire solo ad iniziativa dello stesso, ferma restando l’effettiva presa d’atto da parte dell’Unione.

Autorizzazioni e principi di diritto pubblico

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 3 gennaio 2024, n. 1

Attività economica privata – Soggetti autorizzati – Applicabilità normativa sui contratti pubblici – Gara pubblica – Clausole illegittime – Atti amministrativi – Criteri interpretativi

Ove la procedura avviata dal Comune non sia riconducibile né a un appalto né a una concessione di servizi, avendo l’ente inteso soltanto individuare i soggetti autorizzati a esercitare un’attività economica privata nuova, non oggetto di assunzione pubblica, la normativa sui contratti pubblici è applicabile solo  limitatamente ai principi generali di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità, in quanto ugualmente riconducibili alla comune matrice dell’art. 81 TFUE.

L’accettazione delle regole di partecipazione ad una gara non comporta l’inoppugnabilità di clausole ritenute illegittime, in quanto l’amministrazione non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e, 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale.

Agli atti amministrativi si applicano le regole per l’interpretazione del contratto dettate dagli artt. 1362 e ss. Cod. Civ., con priorità dei criteri soggettivi su quelli oggettivi.

Interdittiva antimafia e titolo edilizio

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 8 gennaio 2024, n. 35

Titolo edilizio – SCIA – Interdittiva antimafia

In seguito ad un’informazione antimafia interdittiva emessa dal prefetto ai sensi dell’art. 89 bis d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, il Comune è tenuto ad adottare il provvedimento di inibizione dell’attività oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) presentata dal destinatario dell’informazione.

Suolo pubblico e canone di occupazione

Consiglio di Stato, sez. V, 5 gennaio 2024, n. 222

Procedimento amministrativo – Concessione di occupazione di suolo pubblico – Canone – Natura giuridica – Criteri e aggiornamenti tariffari

Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche è un’entrata non tributaria la cui tariffa è determinata tenendo conto oltre che delle esigenze del bilancio, del valore economico, della disponibilità dell’area in relazione al tipo di attività per cui l’occupazione è concessa, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico dell’area stessa, e dell’aggravamento degli oneri di manutenzione derivante dall’occupazione del suolo e del sottosuolo. Maggiore è il pregio dell’area e maggiore è il beneficio che l’operatore economico trae dall’occupazione.

L’aggiornamento tariffario del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche rientra nella ordinaria e oculata gestione dei beni pubblici.

Accordi fra pubbliche amministrazioni

Consiglio di Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9842

Procedimento amministrativo – Accordi fra Pubbliche Amministrazioni – Convenzioni – Forma digitale ad substantiam

Le convenzioni tra enti locali ex art. 30 d.lgs. n. 267 del 2000 rappresentano una species dell’ampio genus degli accordi fra pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 15 l. n. 241 del 1990.

Premesso che in base all’art. 15, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990 le convenzioni fra enti pubblici devono essere stipulate mediante sottoscrizione digitale, sono nulli e quindi improduttivi di effetti gli accordi conclusi da enti locali, ex art. 30 d.lgs. n. 267 del 2000, privi della forma digitale richiesta ad susbstantiam.

Suolo pubblico e impedimento all’uso collettivo

Consiglio di Stato, sez. V, 3 gennaio 2024, n. 113

Occupazione permanente di suolo stradale – Impedimento all’uso collettivo – Canone di concessione non ricognitorio – Interramento condutture

L’art. 27 del codice della strada fonda l’imposizione del canone non ricognitorio su di un provvedimento di autorizzazione o concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica; a livello sistematico, si desume dal codice che l’imposizione del canone presuppone la sottrazione, in tutto od in parte, all’uso pubblico della res, a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.

Avendo il codice operato il richiamo alla sola “sede stradale” (vale a dire, alla superficie, e non anche al sottosuolo o al soprasuolo), deve intendersi che l’imposizione del canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima, solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico; ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi o tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione. Resta inteso che l’imposizione del canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tempo durante il quale le lavorazioni di posa in opera e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale; ma non si rinviene una base normativa per ammettere una siffatta imposizione nel periodo successivo durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della rete stradale.

Il canone non ricognitorio di cui all’art. 27, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 285 del 1992 è una prestazione patrimoniale che si applica in correlazione con l’uso singolare della risorsa stradale, e dunque in funzione della limitazione od esclusione dell’ordinaria funzione generale. In linea di principio, dunque, alle occupazioni finalizzate all’interramento di condutture non si applica il canone ricognitorio, in quanto si tratta di una modalità di utilizzo della sede stradale che non preclude la generale fruizione della risorsa pubblica, limitandosi alla presenza nel sottosuolo dell’infrastruttura di servizio a rete.

Commercio ambulante e la Direttiva Servizi

Consiglio di Stato, sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9104

Enti locali – Commercio – Suolo pubblico – Aree pubbliche – Direttiva servizi

Il commercio ambulante, o commercio su area pubblica, è una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante e tale attività rientra senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla direttiva 2006/123.

Si tratta di una attività che, infatti, era stata originariamente inclusa nell’ambito di applicazione del citato decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata “direttiva servizi”. L’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 e, quindi, della direttiva servizi si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale direttiva, che, come sopra detto, prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e tra esse non rientra il commercio su aree pubbliche.

Noleggio di monopattini elettrici e Codice dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 3 novembre 2023, n. 9541

Servizio di noleggio di monopattini elettrici – Natura – Attività imprenditoriale – Applicabilità Codice dei contratti pubblici – Limiti al numero operatori

In mancanza di assunzione del servizio da parte dell’amministrazione, presupposto anche dell’eventuale affidamento a terzi, il servizio di noleggio di monopattini elettrici non costituisce servizio pubblico, rientrando, pertanto, tra le attività imprenditoriali svolte da privati tendenzialmente liberalizzate in ossequio alla Direttiva 2006/123/CE sui servizi liberalizzati nel mercato europeo. In questa prospettiva, in quanto servizio rivolto al pubblico indistinto degli utenti, può trovare applicazione l’art. 9, Dir. 2006/123/CE, in base al quale queste attività sono soggette alla previa autorizzazione qualora lo richiedano ragioni imperative d’interesse generale, che possono anche essere rappresentate dalla tutela della sicurezza della circolazione stradale e dalla tutela degli stessi utenti che noleggiano i monopattini elettrici. La conseguenza rilevante è che la procedura mediante la quale il Comune intenda limitare – per i fini di interesse generale cui sopra si è accennato – il numero degli operatori privati abilitati a svolgere il servizio non rientra nell’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, non essendo qualificabile né come affidamento di un appalto di servizi, né come affidamento di una concessione di servizio pubblico.

Impianti telefonia mobile e disciplina edilizia

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 17 ottobre 2023, n. 764

Installazione impianti telefonia mobile – Autorizzazione – Assenza titolo edilizio – Diniego

Gli impianti di trasmissione radiomobile non sono soggetti all’applicazione della normativa edilizia generale, ma solamente alle norme speciali di cui agli artt. 87 [ora art. 43] e ss. D.lgs. 259/2003, le quali comprendono e assorbono anche le verifiche di tipo edilizio.

Gli artt. 86 e 87, d.lgs. n. 259/2003, nel disciplinare il rilascio dell’autorizzazione all’installazione di impianti di telefonia mobile, prevedono un procedimento autorizzatorio tendenzialmente unico, capace di assorbire ogni giudizio di conformità urbanistica, assolvendo anche alle funzioni del relativo titolo abilitativo edilizio. Pertanto, il Comune non può pretendere che l’istante sottoponga il progetto a un separato procedimento autorizzatorio ai fini della verifica della conformità edilizia della stazione radio base. Solo nel caso in cui sia necessario, per la presenza di un vincolo paesaggistico, l’azienda interessata è onerata di munirsi del parere della preposta autorità sulla compatibilità paesaggistica. Ciò non comporta che non siano applicabili, ai fini della validità dell’autorizzazione, valutazioni edilizie ed urbanistiche da parte del Comune, bensì che queste ultime sono ricomprese nel procedimento unico di cui all’art. 87 D.lgs. n. 259/2003, in concordanza con la semplificazione del procedimento autorizzatorio che caratterizza la fattispecie a tutela dell’interesse pubblico alla sollecita definizione del procedimento.

Concorsi e presentazione tardiva dei titoli

Consiglio di Stato, sez. V, 11 ottobre 2023, n. 8864

Procedure concorsuali – Graduatoria definitiva – Presentazione titoli dopo la conclusione delle prove concorsuali

In tema di procedure concorsuali per l’assunzione di pubblici dipendenti, l’amministrazione non può valutare titoli che, seppure sussistenti, non siano stati dichiarati nella domanda di partecipazione ad un pubblico concorso (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 dicembre 2019, n. 6935; Id., 19 febbraio 2019, n. 1148; Sez. III, 4 gennaio 2019, n. 96).

La soluzione si impone non solo sulla base del tenore letterale dell’art. 16, comma 1, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (secondo cui l’amministrazione procedente valuta i titoli preferenziali o i titoli di riserva nella nomina quando questi siano stati «già indicati nella domanda» di ammissione al concorso), ma anche per il convergere di ulteriori considerazioni; è stato sottolineato, infatti, che l’indicazione dei titoli in un momento successivo alla presentazione della domanda, e quindi quando il termine di presentazione sia scaduto, implicherebbe non tanto una regolarizzazione quanto un’integrazione della domanda di partecipazione, non consentita in materia di procedure concorsuali in ragione della perentorietà dei termini e del necessario rispetto del principio della par condicio dei candidati.