Procedimenti e regimi amministrativi

Accesso difensivo

Tar Lazio, Roma, sez. II, 19 gennaio 2024, n. 990

Procedimento amministrativo – Potere di vigilanza – Accesso – Interesse qualificato – Riservatezza – Ammissibilità

Chi subisce gli effetti di un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti. Invero, l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività, e, di conseguenza, il denunciante perde consapevolmente la disponibilità sulla propria segnalazione. Quest’ultima, infatti, diventa un elemento del procedimento amministrativo e come tale nella disponibilità dell’Amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da generiche esigenze di tutela della riservatezza, giacché il già menzionato diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.

La pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso, ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.

Installazione stazione radio e silenzio-assenso

Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11203

Procedimenti amministrativi – Servizi pubblici – Installazione stazione radio per telefonia mobile – Silenzio assenso – Formazione

L’assenso tacito sull’istanza per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile si forma allorquando sulla domanda, se corredata di tutti gli elementi occorrenti alla valutazione della pubblica amministrazione, sia decorso il termine di legge senza che questa abbia provveduto, mentre non può essere escluso per difetto delle condizioni sostanziali per il suo accoglimento, ossia, per contrasto della richiesta con la normativa di riferimento.

Ove l’istanza non sia stata corredata da tutta la documentazione necessaria, ovvero si presenti imprecisa o foriera di possibili equivoci, in modo tale che l’amministrazione destinataria sia stata impossibilitata per il comportamento dell’istante a svolgere un compiuto accertamento di spettanza del bene, il silenzio assenso non può formarsi, per cui si avrà un’ipotesi di inesistenza dello stesso e non di sua illegittimità.

Farmacie e pianificazione comunale

Tar Marche, Ancona, sez. II, 20 gennaio 2024, n. 64

Servizi pubblici – Servizio farmaceutico – Pianificazione territoriale – Competenza comunale – Trasferimento – Concorso per assegnazione sedi

L’Amministrazione comunale dispone di poteri in materia di apertura, esercizio e trasferimento di farmacie ai sensi della legge n. 475 del 1968, come incisivamente modificata dal D.L. n. 1/2012, convertito dalla legge n. 27/2012. Inoltre, l’art. 2 di detta legge attribuisce ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. In particolare, tale norma prevede che il Comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifichi le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurarne un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate. La competenza comunale si estende inoltre, anche al trasferimento della farmacia all’interno della sede assegnata, disciplinato dall’art. 1 della medesima legge, che subordina l’autorizzazione al trasferimento all’unica condizione della distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (comma 4).

Il compito di individuare le zone ove collocare le farmacie è assegnato espressamente ai soli Comuni dall’articolo 11, commi 1 e 2, del dl 1/2012, a garanzia soprattutto dell’accessibilità del servizio farmaceutico ai cittadini. La decisione del legislatore statale di affidare ai Comuni il compito di individuare le zone risponde all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività alla quale concorrono plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l’individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, il correlato esame di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali – come si è detto – sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti all’area del merito amministrativo, rilevanti ai fini della legittimità soltanto in presenza di chiare ed univoche figure sintomatiche di eccesso di potere, in particolare sotto il profilo dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà. Inoltre, lo strumento pianificatorio (in passato denominato pianta organica) non è più configurato come atto complesso che si perfezioni con il provvedimento di un ente sovracomunale (la Regione ovvero la Provincia, o altro, a seconda delle legislazioni regionali), bensì come un atto di esclusiva competenza del Comune (e per esso della Giunta): e ciò tanto nella prima applicazione del D.L. n. 1 del 2012, quanto nelle future revisioni periodiche.

Mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune.

Nozione di bene culturale

Tar Liguria, Genova, sez. I, 11 gennaio 2024, n. 16

Beni culturali – Nozione – Vincoli – Discrezionalità

L’Amministrazione può assoggettare a tutela culturale i beni di proprietà di un ente pubblico in uno spettro di situazioni più ampio rispetto all’ipotesi di cespiti appartenenti a privati: infatti, per i beni del demanio e del patrimonio pubblico l’art. 10, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 42/2004 postula la sussistenza di un “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, vale a dire di un interesse culturale, per così dire, semplice; diversamente, per quelli in proprietà privata, l’art. 10, comma 3, richiede il riscontro di un interesse “particolarmente importante” o “eccezionale”.

La nozione di bene culturale non si presta ad una definizione tassativa e puntuale, ma costituisce un concetto aperto, il cui contenuto viene riempito dalle elaborazioni di diversi campi del sapere, afferenti alle scienze non esatte. In ragione delle peculiarità epistemologiche insite nell’apprezzamento della qualitas culturale di un bene, il giudizio che presiede alla dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnica, poiché implica l’applicazione di cognizioni specialistiche proprie di settori scientifici della storia, dell’arte, dell’architettura, dell’archeologia e di altre discipline caratterizzate da canoni elastici e mobili e, quindi, da lati margini di opinabilità. Ne consegue che la valutazione dell’Amministrazione può essere censurata soltanto se la decisione risulti in contrasto con la realtà fattuale, ovvero sia irragionevole, incoerente o inattendibile sotto il profilo tecnico, ponendosi al di fuori della naturale ed intrinseca opinabilità del sapere che definisce il carattere culturale del bene.

Titoli edilizi e legittimazione all’istanza

Consiglio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2024, n. 527

Titolo edilizio – Legittimazione all’istanza – Oneri istruttori del Comune

Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 380/2001, il permesso di costruire (o altro titolo edilizio) può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza ed è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio. Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente.

Dicatio ad patriam

Tar Lombardia, Milano, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 67

Pianificazione urbanistica – Costituzione di diritti reali – Onere probatorio – Servitù di uso pubblico – Dicatio ad patriam

Lo strumento urbanistico non vale a costituire diritti reali (salvo le ipotesi, ovviamente, di vincoli espropriativi), sicché un’area privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico.

Per la costituzione di un diritto reale su bene privato equivalente a servitù prediale, è necessario un titolo idoneo a detto scopo. In particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento. Dunque, affinché una strada privata possa essere gravata da servitù di parcheggio, non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario.

L’istituto della “dicatio ad patriam”, quale modalità di costituzione di una servitù di uso pubblico, è connotato da elementi di fatto: il proprietario, in particolare, deve mettere, in modo univoco, il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l’effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico; oppure, il proprietario deve mettere il bene a disposizione della collettività indifferenziata dei cittadini, per il tempo necessario al perfezionamento dell’usucapione.

Unioni di comuni, estromissione e recesso

Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2023, n. 376

Servizi pubblici – Gestione associativa – Convenzioni fra Enti locali – Natura giuridica – Istituzione – Modifiche – Unione fra Comuni – Estromissione e recesso

Le convenzioni previste al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, disciplinate in termini generali dall’art. 30 del T.u.e.l., ove opzionate quale forma di gestione associata dai Comuni obbligati, devono avere una durata almeno triennale, termine che comunque indica l’unità di tempo minimo trascorsa la quale si dovrebbe procedere a misurare l’effettività dei risparmi conseguiti, secondo modalità demandate ad apposito provvedimento attuativo (v. ancora l’art. art. 14, comma 31-bis, del d.l. n. 78 del 2010).

Rispetto alla gestione associativa in Unione, i Comuni in convenzione mantengono la titolarità giuridica delle funzioni, delle risorse e del personale e non si avvalgono degli organi amministrativi colà appositamente previsti. Essa, pertanto, costituisce un modello connotato da maggiore flessibilità, tanto da risultare la forma associativa largamente più diffusa tra i piccoli Comuni. Al contrario, la natura di Ente di secondo livello dell’Unione fa sì che le modalità organizzative della stessa siano rimesse agli atti adottati dai relativi organi, in particolare lo Statuto e i regolamenti, ferma restando, una volta che la stessa si sia costituita, l’applicabilità dei principi previsti per l’ordinamento dei Comuni, «con particolare riguardo allo status degli amministratori, all’ordinamento finanziario e contabile, al personale e all’organizzazione» (art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000).

In fase di prima istituzione, lo Statuto deve essere approvato dai consigli dei Comuni partecipanti; le successive modifiche invece sono rimesse alla competenza di quello dell’Unione.

Le convenzioni ex art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 sono una species del più ampio genus di accordi contemplati dall’art. 15 della l. n. 241 del 1990. A ciò consegue la necessità che la loro stipula soddisfi i requisiti di forma previsti da ridetta disposizione a carattere generale quale, a far data dal 30 giugno 2014, la sottoscrizione con firma digitale (art. 15, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dal d.l. n. 104 del 2013, successivamente modificato dal d.l. n. 145 del 2013). Essi, inoltre, sono sottoposti ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili, ove non diversamente previsto.

Nell’ambito della disciplina dell’Unione, invece, solo i commi 2 e 5-bis dell’art. 32 del T.u.e.l. fanno riferimento all’utilizzo della convenzione: la prima ipotesi (comma 2), quale esercizio da parte dell’Unione, al pari di qualsiasi altra amministrazione, della sua capacità negoziale, estrinsecantesi nella possibilità di sottoscrivere accordi con altre Unioni o con singoli Comuni, aderenti o meno alla stessa; la seconda (comma 5-bis, introdotto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), per consentire ai Sindaci dei Comuni aderenti di delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell’Unione o dei singoli Comuni associati.

L’Unione fra Comuni si concretizza in un Ente distinto dai Comuni che la compongono, a finalità normalmente settoriale, dotato di propri organi e competenze esclusive, nell’ambito dell’oggetto della gestione condivisa. Per contro, l’accordo gestionale cui si addiviene con una mera convenzione può risolversi in una delega, ma non spoglia mai il Comune che la conferisce della titolarità in astratto della relativa funzione.

Il potere di estromettere con decisione unilaterale uno dei Comuni che compongono un’Unione non è previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000. Il recesso del singolo partecipante può avvenire solo ad iniziativa dello stesso, ferma restando l’effettiva presa d’atto da parte dell’Unione.

Autorizzazioni e principi di diritto pubblico

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 3 gennaio 2024, n. 1

Attività economica privata – Soggetti autorizzati – Applicabilità normativa sui contratti pubblici – Gara pubblica – Clausole illegittime – Atti amministrativi – Criteri interpretativi

Ove la procedura avviata dal Comune non sia riconducibile né a un appalto né a una concessione di servizi, avendo l’ente inteso soltanto individuare i soggetti autorizzati a esercitare un’attività economica privata nuova, non oggetto di assunzione pubblica, la normativa sui contratti pubblici è applicabile solo  limitatamente ai principi generali di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità, in quanto ugualmente riconducibili alla comune matrice dell’art. 81 TFUE.

L’accettazione delle regole di partecipazione ad una gara non comporta l’inoppugnabilità di clausole ritenute illegittime, in quanto l’amministrazione non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e, 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale.

Agli atti amministrativi si applicano le regole per l’interpretazione del contratto dettate dagli artt. 1362 e ss. Cod. Civ., con priorità dei criteri soggettivi su quelli oggettivi.

Interdittiva antimafia e titolo edilizio

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 8 gennaio 2024, n. 35

Titolo edilizio – SCIA – Interdittiva antimafia

In seguito ad un’informazione antimafia interdittiva emessa dal prefetto ai sensi dell’art. 89 bis d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, il Comune è tenuto ad adottare il provvedimento di inibizione dell’attività oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) presentata dal destinatario dell’informazione.

Suolo pubblico e canone di occupazione

Consiglio di Stato, sez. V, 5 gennaio 2024, n. 222

Procedimento amministrativo – Concessione di occupazione di suolo pubblico – Canone – Natura giuridica – Criteri e aggiornamenti tariffari

Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche è un’entrata non tributaria la cui tariffa è determinata tenendo conto oltre che delle esigenze del bilancio, del valore economico, della disponibilità dell’area in relazione al tipo di attività per cui l’occupazione è concessa, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico dell’area stessa, e dell’aggravamento degli oneri di manutenzione derivante dall’occupazione del suolo e del sottosuolo. Maggiore è il pregio dell’area e maggiore è il beneficio che l’operatore economico trae dall’occupazione.

L’aggiornamento tariffario del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche rientra nella ordinaria e oculata gestione dei beni pubblici.