Procedimenti e regimi amministrativi

Autorizzazione integrata ambientale, conferenza dei servizi e legittimazione dei Comuni

Consiglio di Stato, sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 215

AIA – Conferenza di servizi – Interessi rilevanti – Legittimazione alla partecipazione – Comune

L’art. 29 quater del D. L.vo n. 152/2006 impone, all’autorità procedente, di invitare alla conferenza di servizi solo i soggetti titolari di competenze in materia ambientale e il Comune non rientra tra queste ultime.

La partecipazione al procedimento ed alla conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale è prevista esclusivamente nei confronti dei soggetti direttamente interessati al provvedimento da emanare; gli altri soggetti istituzionali o meno, che non hanno un interesse diretto nel procedimento in corso, possono essere facoltativamente invitati, senza che gli stessi possano incidere sulle decisioni da trattare.

Nell’ambito di una conferenza di servizi per il rilascio di un’autorizzazione integrata ambientale (a.i.a.), avente a oggetto un impianto già esistente per il trattamento di rifiuti pericolosi e per la rigenerazione di olii usati, in un caso nel quale le Amministrazioni istituzionalmente preposte alla tutela della salute hanno espresso parere positivo al rilascio del suddetto titolo, per di più basato su una articolata e adeguata motivazione, non sussiste prevalenza del parere contrario del Comune, le cui contestazioni poggiano, peraltro, su motivazioni di carattere sostanzialmente urbanistico, in quanto trattasi di Amministrazione non specificamente preposta alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute (con possibile devoluzione del caso alla Presidenza del Consiglio): la conferenza di servizi, infatti, è retta da un criterio maggioritario e, comunque, non conosce poteri di veto in capo alle singole Amministrazioni partecipanti.

Sale da gioco, interessi economici e tutela della salute

Consiglio di Stato, sez. V, 20 dicembre 2024, n. 10252

Sale da gioco – Limitazioni orarie – Presupposti – Tutela della salute

La regolazione degli orari delle sale da gioco non può considerarsi viziata da deficit di istruttoria o di motivazione soltanto perché il numero dei giocatori ludopatici non sia in assoluto elevato, poiché ciò che massimamente va considerato è la tendenza registrata nel periodo considerato, la quale, da sola, induce allarme negli enti pubblici preposti alla tutela della salute e giustifica, pertanto, l’adozione di misure restrittive.

L’interesse pubblico alla tutela della salute deve ritenersi prevalente su quello economico dei gestori delle sale gioco, per cui l’eventuale riduzione degli introiti di questi ultimi, dipendente dalla riduzione dell’orario di funzionamento degli apparecchi di gioco e di apertura delle sale gioco, che non sia tale da determinare la chiusura di tali attività, è da considerare proporzionale allo scopo e tale da contemperare gli interessi in conflitto, che, in ogni caso, hanno una diversa tutela.

Abuso, ordine di demolizione e acquisizione gratuita al patrimonio

Consiglio di Stato, sez. II, 18 dicembre 2024, n. 10180

Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Natura giuridica – Impossibilità di ripristino – Altruità dell’area esterna all’immobile abusivo – Non rilevanza – Notifica ai comproprietari – Natura giuridica – Istanza di accertamento di conformità – Effetti giuridici

L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale configura una sanzione – in senso proprio – conseguente per legge all’inosservanza dell’ordine di demolizione, cui il proprietario può sottrarsi solo dimostrando che non avrebbe potuto provvedervi; peraltro, detta impossibilità non può essere ravvisata nella mera onerosità.

La circostanza che l’area esterna alle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione sia di proprietà condominiale non conduce all’illegittimità dell’ordinanza di demolizione o dell’atto di acquisizione, ma solo alla loro inefficacia nei confronti degli altri comproprietari che non ne sono stati destinatari.

Affinché un bene immobile abusivo possa formare legittimamente oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 del testo unico dell’edilizia, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo; tuttavia il soggetto che sia stato effettivamente destinatario di tali notifiche non ha interesse a dolersi del fatto che i due atti non siano stati inviati anche agli altri comproprietari, dato che la mancata formale notificazione dell’ingiunzione di demolizione dell’opera edilizia, abusivamente realizzata da tutti i comproprietari, non costituisce vizio di legittimità dell’atto, che rimane quindi valido ed efficace, in quanto la notificazione costituisce una condizione legale di efficacia dell’ordinanza demolitoria, trattandosi di atto recettizio impositivo di obblighi, ai sensi dell’art. 21 bis, legge n. 241 del 1990, finalizzato ad ottenere la collaborazione dei suoi diretti destinatari. Pertanto, l’omissione della notifica, costituendo un presupposto di operatività dell’ordinanza di demolizione nei confronti dei suoi destinatari, è censurabile esclusivamente dal soggetto nel cui interesse la comunicazione stessa è posta.

La presentazione dell’istanza di accertamento di conformità non ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione, ma ne determina solo la temporanea inefficacia e ineseguibilità fino all’eventuale rigetto della domanda, a seguito del quale riprende a decorrere il termine per l’esecuzione e, in caso d’inottemperanza, può essere disposta l’acquisizione dell’opera abusiva senza necessità dell’adozione di una nuova ingiunzione o concessione di un nuovo termine di 90 giorni.

Illegittimo diniego dell’autorizzazione all’attività di noleggio con conducente (NCC)

Tar Campania, Salerno, sez. III, 7 novembre 2024, n. 2094

Autorizzazione amministrativa – Noleggio con conducente – Diniego – Non legittimità – Registro informatico delle imprese esercenti i servizi di taxi e noleggio con conducente – Operatività – Libertà di iniziativa economica e di stabilimento

È illegittimo il diniego di autorizzazione per il servizio di noleggio da rimessa con conducente che sia fondato sulla previsione contenuta nell’articolo 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, in legge 11 febbraio 2019, n. 12 – in virtù del quale non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni fino alla piena operatività dell’archivio informatico delle imprese esercenti i servizi di taxi e noleggio con conducente – in quanto la scelta amministrativa adottata impinge, senza alcuna limitazione temporale, su diritti costituzionalmente garantiti quali la libertà di iniziativa economica (art. 41 Costituzione) e la libertà di stabilimento, con la connessa tutela della concorrenza tra le imprese, anche nel più esteso ambito unionale (articolo 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’articolo 49 TFUE). Inoltre, vanno applicati i principi enunciati dalla Corte costituzionale con sentenza 19 luglio 2024, n. 137 la quale, anche se successiva al provvedimento impugnato, determina la cessazione della efficacia erga omnes della norma contenuta nell’articolo 10-bis, comma 6 dichiarata incostituzionale ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti, in relazione ai quali la norma risulti ancora rilevante, stante l’effetto retroattivo dell’annullamento, escluso solo per i c.d. “rapporti esauriti”.

Occupazione abusiva di immobili pubblici e autotutela esecutiva

Tar Campania, Napoli, sez. VII, 22 novembre 2024, n. 6453

Occupazione abusiva di immobili pubblici – Autotutela esecutiva – Onere motivazionale attenuato – Diritto all’abitazione – Vincolatività – Partecipazione del privato – Esclusione

A fronte di un’occupazione abusiva di immobili pubblici, è ben possibile il ricorso ai poteri di autotutela esecutiva, senza che occorra alcuna motivazione sotto il profilo della comparazione dell’interesse della parte pubblica – legittimamente indicato nell’ipotesi di specie nella necessità di ripristino della legalità, al fine di destinare il cespite occupato alle sue finalità istituzionali – con quelle della parte occupante privo di titolo legittimante.

Né in senso ostativo varrebbe opporre il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8 C.E.D.U., il quale non viene tutelato in termini assoluti, ma deve essere contemperato con altri valori di pari rango costituzionale; e, del resto, il cd. “diritto all’abitazione” non può certo comprendere anche la legittimazione all’occupazione abusiva di immobili pubblici, ovvero al suo mantenimento una volta che l’occupazione sia stata effettuata, innanzitutto in ragione della evidente intrinseca contraddittorietà tra il preteso “diritto” e la riconosciuta antigiuridicità della condotta che lo fonderebbe, ma anche perché tale conclusione sacrificherebbe il concorrente diritto proprietario (che riguarda, ovviamente, anche il soggetto pubblico titolare) che non può essere compresso in permanenza perché, in caso contrario, si verificherebbe, di fatto, un’alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale.

La natura vincolata del potere esercitato esclude l’utilità dell’apporto partecipativo.

Poteri di ordinanza e libertà di iniziativa economica privata

Tar Veneto, Venezia, sez. II, 9 dicembre 2024, n. 2931

Ordinanze contingibili e urgenti – Libertà di iniziativa economica – Limitazione – Legittimità – Trasporto pubblico locale non di linea – Città di Venezia

Sono legittime le misure che limitano la libertà di iniziativa economica privata degli esercenti attività di trasporto pubblico locale non di linea per finalità di rilievo costituzionale, quali la protezione della Città di Venezia e la sicurezza della navigazione.

Stazioni radio-base e autorizzazione paesaggistica

Consiglio di Stato, sez. VI, 2 dicembre 2024, n. 9616

Pianificazione urbanistica – Opere di urbanizzazione primaria – Installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni – Vincoli paesaggistici – Autorizzazione paesaggistica

La disposizione di cui all’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003, nell’assimilare le stazioni radio base ad opere di urbanizzazione primaria, afferma la compatibilità delle stesse a qualsiasi destinazione urbanistica ma senza che ciò riverberi i suoi effetti sui vincoli paesaggistici gravanti sull’area.

Per l’installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni è richiesta l’autorizzazione paesaggistica.

Il potere di revoca

Consiglio di Stato, sez. V, 20 dicembre 2024, n. 10265

Procedimento amministrativo – Potere di revoca ex art. 21 quinquies L. 241/1990 – Ratio e presupposti – Discrezionalità – Istanza del privato

Il potere di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, si configura come lo strumento di autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc, di un provvedimento all’esito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico alla sua conservazione. I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21 quinquies, cit., e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto e in una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario.

Il potere di revoca è connotato da un’ampia discrezionalità, dal momento che, a differenza del potere di annullamento di ufficio, che postula anche l’illegittimità dell’atto da rimuovere, quello di revoca esige solo una valutazione di opportunità, seppure ancorata alle condizioni legittimanti espresse dalla norma succitata, sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso ad un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’amministrazione procedente, rispetto al quale l’istanza del privato assume solo una valenza sollecitatoria.

L’essenza della revoca, quale tipico atto di secondo livello, è proprio la rimozione di un provvedimento anteriore valido, ma ritenuto inopportuno per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o per mutamento della situazione di fatto, ma anche a causa di una rivalutazione dell’interesse pubblico originariamente considerato dall’amministrazione.

Sala scommesse e delocalizzazione

Consiglio di Stato, sez. IV, 19 novembre 2024, n. 9301

Giochi e scommesse – Case da giuoco – Legge regionale Emilia-Romagna – Distanze da luoghi sensibili – Delocalizzazione – Legittimità

È legittimo il provvedimento dell’ente locale che imponga la delocalizzazione della sala scommesse situata a distanza inferiore dal limite minimo stabilito dalla legge regionale, laddove risulti comunque possibile l’apertura di detta sala giochi in aree alternative, anche se periferiche, del territorio comunale e le stesse siano dotate sia di buona viabilità che di parcheggi, non esclusivamente residenziali, che possano rendere ben fruibile il tutto da parte di una possibile utenza.

La regione può disciplinare la distanza delle sale gioco dai lughi sensibili, trattandosi di perseguire finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. Inoltre, la scelta del legislatore regionale di disincentivare la collocazione degli apparecchi da gioco e spingere alla loro collocazione lontano dai centri abitati, per contrastare il fenomeno della ludopatia, non contrasta con l’art. 3 Cost., non risultando discriminatoria la misura, avendo, anzi, il legislatore considerato tutti gli esercizi commerciali nei quali possono essere installati apparecchi da gioco. La legge che impone il distanziometro non contrasta infine con l’art. 41 Cost., esercitando un ragionevole e logico bilanciamento di interessi tra l’esercizio dell’attività economica e la tutela della salute.

Le aree pubbliche per il commercio ambulante “riscora scarsa” come il demanio marittimo

Consiglio di Stato, sez. V, 19 novembre 2024, n. 9266

Concessioni amministrative – Scarsità risorse – Interpretazione – Direttiva Bolkestein – Efficacia – Ambito applicativo – Proroga automatica – Illegittimità – Commercio ambulante su aree pubbliche

La Direttiva sui servizi nel mercato interno, 2006/123/CE, ha un ambito di applicazione generalizzato, concernenti ‘i servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro (art. 1, par. 1)’, e in cui per converso sono tassative le esclusioni, elencate al par. 2 della disposizione richiamata.

L’art. 12, comma 1, della Direttiva prevede che: “Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Il livello di dettaglio che una direttiva deve possedere per potersi considerare self–executing dipende, come noto, dal risultato che essa persegue e dal tipo di prescrizione che è necessaria per realizzare tale risultato, pertanto, sotto tale profilo, l’art. 12 della Direttiva ha l’obiettivo di aprire al mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali scarse, sostituendo, nell’ambito di un sistema in cui tali risorse vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata, a chi è già titolare di concessioni risalenti, un regime di evidenza pubblica, che assicuri la par condicio tra i soggetti potenzialmente interessati.

Dall’analisi dell’articolato emerge che la Direttiva Bolkestein mostra un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

La Direttiva sui servizi del mercato interno è, pertanto, self-executing, come precisato dalla Corte di giustizia UE con la sentenza 30 gennaio 2018 (C- 360/15 e C- 31/16), la quale ha affermato il principio secondo cui la medesima Direttiva si applica ‘non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato’, e dunque, ‘anche in situazioni puramente interno’.

La fonte comunitaria, pertanto, è espressiva di norme immediatamente precettive, in particolare, sotto il profilo della precisa e puntuale ‘norma di divieto’ che si rivolge, senza che occorra alcuna disciplina attuativa di sorta da parte degli Stati membri, a qualunque ipotesi di proroga automatica, in assenza di una procedura di selezione tra i potenziali candidati.

E rispetto a tale ‘norma di divieto’, indiscutibilmente dotata di efficacia diretta, il diritto interno è tenuto a conformarsi.

Il commercio ambulante o il commercio su area pubblica è una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante, e tale attività rientra senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla Direttiva 2006/123, così come chiarito dalla Corte di giustizia UE, con la sentenza 30 gennaio 2018, C-360/15 e C-31/16.

La materia del commercio al dettaglio su aree pubbliche è riferita ad attività economica non salariata, fornita normalmente dietro retribuzione secondo la definizione fornita dall’art. 57 TFUE, che comprende, tra i servizi, le attività di carattere commerciale e non fa pare delle esclusioni dall’ambito di applicazione sufficientemente individuato della Direttiva 2006/123/CE, di cui all’art. 2, paragrafi 2 e 3.

Si tratta di una attività che, infatti, era stata originariamente inclusa nell’ambito di applicazione del citato decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata ‘Direttiva Servizi’ (art. 70 del decreto legislativo che aveva demandato a una intesa in sede di Conferenza unificata l’individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche).

La legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 686) ha escluso dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 il commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, abrogando il citato articolo 70 e introducendo una esclusione espressa con i modificati artt. 7, lett. f- bi e 16, comma 4 – bis dello stesso decreto legislativo.

L’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 e, quindi, della Direttiva Servizi, si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale fonte comunitaria, che, come sopra detto, prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e, tra esse, non rientra il commercio su aree pubbliche.

Gli Stati membri non hanno, quindi, alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva, e ogni questione sulle modalità di applicazione delle disposizioni della Direttiva Servizi si pone logicamente dopo la corretta definizione del suo ambito di applicazione.

Le attività di commercio su aree pubbliche, in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità, la quale ai sensi dell’art. 12 della direttiva servizi, giustifica la selezione per il mercato, in cui l’accesso al settore economico avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica.

Invero, il concetto di ‘scarsità’ va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della ‘quantità’ del bene disponibile, ma anche di suoi aspetti qualitativi. In questi termini, non tutte le aree commerciali sono uguali e fungibili, tenuto conto che ciascuna possiede una sua unicità, soprattutto in un contesto quale è quello di Roma Capitale.

La Corte di giustizia UE ha chiarito il concetto di ‘scarsità’ con la sentenza del 20.4.2023, nella causa C- 348/22 del 20.04.2023, affermando che ‘…risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 12, paragrafo I, della direttiva 2006/123 che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturale, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Il Collegio ravvisa, tra i due settori, un minimo comune denominatore, dato dall’esistenza di una domanda che dal mercato si rivolge a risorse pubbliche, la cui limitatezza esige di regolarne l’accesso attraverso modelli imparziali di selezione, quale quello dell’evidenza pubblica sancito dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE. Opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.