Procedimenti e regimi amministrativi

Erbicidi e potestà regolamentare comunale

Consiglio di Stato, sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 915

Potestà regolamentare comunale – Limitazione utilizzo sostanze fitosanitarie e erbicidi –Competenza

Il Comune non può adottare un regolamento, contenente limitazioni indifferenziate, vincolanti e a tempo indeterminato su sostanze fitosanitarie ed erbicidi, all’interno del proprio territorio comunale e una tale competenza non può fondarsi sul principio di precauzione di derivazione europea o statale, in ragione dell’ostacolo del diritto dell’Unione europea che disciplina l’autorizzazione, l’immissione in commercio e l’uso di sostanze attive e prodotti fitosanitari.

Project financing

Consiglio di Stato, sez. V, 22 marzo 2024, n. 2805

Consiglio comunale – Attribuzioni – Tassatività – Project financing – PPP – Valutazione fattibilità – Programmazione finanziaria e nuove opere pubbliche – Proposte dei privati

Le funzioni attribuite al Consiglio comunale costituiscono delle ipotesi tassative, come si desume dal tenore letterale dell’art. 42 del TUEL, il quale affida all’organo consiliare la competenza ad approvare unicamente gli atti fondamentali elencati dal secondo comma, tra i quali non figura la dichiarazione di fattibilità delle proposte di project financing o di partenariato pubblico privato. Il Consiglio comunale è certamente competente, invece, per l’inserimento dell’intervento nella programmazione finanziaria e nei programmi delle opere pubbliche, che peraltro non deve necessariamente precedere la presentazione della proposta, dal momento che – secondo quanto previsto dall’art. 183, comma 15, primo periodo, del d.lgs. n. 50 del 2016 – gli operatori economici «possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità […] anche se presenti negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione […] sulla base della normativa vigente»; il che implica che i privati possono presentare proposte anche se gli interventi non sono inseriti nella programmazione dell’ente (si veda anche il nono periodo del comma 15 cit.: «Il progetto di fattibilità eventualmente modificato, qualora non sia già presente […] è inserito in tale strumenti di programmazione»).

Il Consiglio comunale è competente solo ai fini dell’inserimento dell’intervento nella programmazione dell’ente, non nella fase di esame e valutazione della fattibilità della proposta.

La procedura di dissesto finanziario

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 marzo 2024, n. 513

Dichiarazione di dissesto finanziario del Comune – Procedura di liquidazione – Normativa applicabile – Procedimento amministrativo – Principio del tempus regit actum

L’art. 255, comma 10 del d.lgs. n. 267 del 18.8.2000 dispone che “Non compete all’organo straordinario di liquidazione l’amministrazione delle anticipazioni di tesoreria di cui all’articolo 222, delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti, e dal decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e successivi rifinanziamenti e strumenti finanziari assimilabili, e dei residui attivi e passivi relativi ai fondi a gestione vincolata, ai mutui passivi già attivati per investimenti, ivi compreso il pagamento delle relative spese, nonché l’amministrazione dei debiti assistiti dalla garanzia della delegazione di pagamento di cui all’articolo 206”. Il testo è stato interpolato dall’art. 1, comma 789 della l. 29.12.2022 n. 197 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025”) che dispone “All’articolo 255, comma 10, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le parole: « all’articolo 222 e dei residui » sono sostituite dalle seguenti: « all’articolo 222, delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti, e dal decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e successivi rifinanziamenti e strumenti finanziari assimilabili, e dei residui»”. L’art. 21 della suddetta legge dispone “La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 1° gennaio 2023”.

Ne consegue che la previsione normativa di cui all’art. 255 del d.lgs. n. 267 del 2000 a decorrere dall’1 gennaio 2023 è nel senso modificato dal citato art. 1 comma 179 della l. n. 197/2022. Il procedimento amministrativo è regolato dal principio del tempus regit actum, con la conseguenza che la legittimità degli atti del procedimento deve essere valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui l’atto terminale, ovvero l’atto che conclude una autonoma fase del procedimento, è stato adottato. In termini più chiari, nei procedimenti amministrativi, la corretta applicazione del principio tempus regit actum, comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio; consegue da ciò che, la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento, avviato ad istanza di parte, deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato, in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.

Pianificazione urbanistica e liberalizzazione

Consiglio di Stato, sez. III, 25 marzo 2024, n. 2815

Pianificazione urbanistica – Insediamenti produttivi – Limiti – Principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi – Bilanciamento – Proporzionalità

La disciplina comunitaria della liberalizzazione (direttiva servizi 123/2006/CE e provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione) non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali. La questione involge tipicamente un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale, rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio; esigenze che devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa, che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.

Titolo edilizio e “serre”

Consiglio di Stato, sez. II, 15 marzo 2024, n. 2501

Titolo edilizio – Impianto serricolo – Caratteri – Attività libera – Requisiti

Un impianto serricolo, in quanto tale, è estraneo al regime della concessione qualora sia funzionale allo svolgimento dell’attività agricola e non abbia requisiti di stabilità o di rilevante consistenza, tali da alterare in modo duraturo l’assetto urbanistico-ambientale.

Le condizioni perché un manufatto definibile come “serra” possa rientrare nella attività libera sono: – l’assenza di opere in muratura, ossia di manufatti la cui rimozione ne implichi necessariamente la demolizione; – la stagionalità, ossia l’attitudine ad essere periodicamente rimossa e reinstallata, con la conseguenza che, essendovi la prospettiva della rimessione in pristino, lo stato dei luoghi non può dirsi definitivamente modificato. Occorre ulteriormente precisare, quanto ai requisiti suddetti, che, se l’assenza di muratura risulta necessaria quale prova evidente (e prospettica, all’atto della realizzazione) della semplice e periodica amovibilità del manufatto (alla quale la presenza di muratura, invece, risulterebbe ovviamente ostativa), la stagionalità qualifica, appunto, la temporaneità o, se si vuole, la “periodicità” della presenza del manufatto sul territorio.

Ciò che, più precisamente, caratterizza la serra è non solo la attitudine ad essere periodicamente rimossa e reinstallata, ma anche e soprattutto la sua effettiva e periodica rimozione: solo in questo modo, infatti, la serra non costituisce una alterazione stabile, permanente del territorio (come tale abbisognevole di titolo edilizio), ma un intervento temporalmente definito (ancorché destinato a ripresentarsi nel tempo).

Mentre all’atto della realizzazione della serra assume un ruolo rilevante l’assenza di muratura (che negherebbe, ove presente, ex se la amovibilità), in epoca successiva ciò che rileva è la prova della stagionalità, offerta dalle già intervenute, periodiche rimozioni; prova che deve essere offerta dall’interessato, in quanto afferente ad un elemento che integra la riconducibilità del manufatto a serra e, dunque, la sua esclusione dall’esigenza di idoneo titolo edilizio.

Farmacie rurali e libertà di trasferimento

Consiglio di Stato, sez. III, 13 marzo 2024, n. 2450

Farmacie – Farmacie rurali – Libertà di trasferimento del farmacista all’interno della zona di competenza – Autorizzazione

Tali considerazioni valgono a maggior ragione per i trasferimenti delle farmacie rurali, che sono destinate a far fronte a particolari esigenze dell’assistenza farmaceutica locale, che prescinde dall’ordinario criterio della popolazione.

Abuso edilizio, ordine di demolizione e sequestro penale delle aree

Consiglio di Stato, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2643

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Sequestro penale – Rapporti

Poiché l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio è autonomo rispetto ai poteri repressivi rimessi ad altre Autorità (e in particolare: all’Autorità giudiziaria penale), la circostanza che il manufatto abusivo sia oggetto di sequestro penale è irrilevante ai fini del corretto esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità comunale, con il corollario che la pendenza del sequestro penale non rende illegittimo l’ordine di demolizione avente a oggetto lo stesso immobile.

Ai fini della legittimità di un ordine di demolizione, della sua eseguibilità e della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, è irrilevante la pendenza di un sequestro, poiché la misura cautelare reale non costituisce un impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione, in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’art. 85 disposizione di attuazione del codice di procedura penale.

Una cosa è, sul versante penalistico e processualpenalistico, l’ordine di distruzione del manufatto abusivo, a cura e a spese dell’imputato, impartito dal giudice penale quale conseguenza obbligata derivante dalla sentenza di condanna, e altro è, sul versante amministrativo e delle procedure d’infrazione urbanistico-edilizie, l’ordine di rimozione, ovvero di demolizione, emanato dal dirigente comunale competente ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001.

La sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione, né integra causa di forza maggiore impeditiva della demolizione, dato che sussiste la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile al fine di ottemperare all’ingiunzione di demolizione, alla luce della consolidata giurisprudenza in materia di provvedimenti di repressione dell’abusivismo edilizio, e dei loro rapporti con il sequestro penale.

Il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorre sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa, ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre.

Impianti di telefonia mobile e criteri localizzativi

Tar Valle d’Aosta, sez. Unica, 23 febbraio 2024, n. 15

Installazione di impianti di telefonia mobile – Criteri localizzativi – Potere regolamentare dei Comuni – Limiti alla localizzazione

Alle Regioni e ai Comuni è consentito individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

La scelta di individuare un’area ove collocare gli impianti in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito).

La potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio.

Il legislatore statale, con l’art. 38, comma 6, del decreto legge n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020, ha modificato l’art. 8 della legge n. 36 del 2001, autorizzando i Comuni all’adozione di regolamenti riferibili a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazione elettroniche di qualsiasi tipologia e in ogni caso di incidere, anche in via indiretta, mediante provvedimenti contingibili urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservate allo Stato ai sensi dell’articolo 4.

Ai sensi del d. lgs. n. 259 del 2003, le infrastrutture di telefonia mobile sono considerate opere di “pubblica utilità” e “sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria” (artt. 86, comma 3, e 90, comma 1), potendo essere collocate in qualsivoglia zona del territorio comunale e a prescindere dalla sua destinazione funzionale, in modo che sia realizzato un servizio capillare.

Gioco d’azzardo e tutela dei giocatori tra diritto unionale e interno

Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo 2024, n. 2369

Gioco d’azzardo – Libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi – Effetti negativi per la salute e a livello sociale – Tutela dei consumatori – Decreto Balduzzi – Messaggi pubblicitari – Collocazione sale gioco – Ordinanze sindacali contenenti limitazioni orarie per l’esercizio del gioco lecito e l’apertura delle sale gioco – Ratio – Discrezionalità – Onere istruttorio e motivazionale – Principi di ragionevolezza, proporzionalità e precauzione – Attribuzioni del Comune – Contemperamento degli interessi pubblici e privati – Misura sanzionatoria della sospensione del funzionamento degli apparecchi di intrattenimento – Natura giuridica

Parimenti, la Commissione europea, nel 2014, è intervenuta sul tema con la raccomandazione 14 luglio sul gioco d’azzardo (anche se on line), stabilendo i principi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli.

In ambito nazionale, assume un rilievo centrale la disciplina del c.d. decreto Balduzzi, che ha attuato un intervento più organico in materia (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla l. 8 novembre 2012, n. 189), affrontando diverse tematiche. Con riguardo ai profili sanitari, è previsto l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2). In attuazione di tale disposizione, è stato approvato il Piano d’azione nazionale.

Per contenere i messaggi pubblicitari, si vieta l’inserimento di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive e radiofoniche, nonché durante le rappresentazioni teatrali o cinematografiche non vietate ai minori; sono anche proibiti i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco, ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, o che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco: per i trasgressori (sia il committente del messaggio pubblicitario sia il proprietario del mezzo di comunicazione interessato) è prevista una sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro (art. 7, commi 4 e 4-bis).

Benché non sia stato emanato il decreto ministeriale che avrebbe dovuto indicare i criteri e indirizzi, le amministrazioni regionali e locali hanno adottato legittimamente, in assenza di una normativa di coordinamento di ambito statale, propri regolamenti in materia.

In base al decreto Balduzzi, è stato istituito anche un Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Tale Osservatorio, inizialmente istituito presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è stato successivamente trasferito al Ministero della salute, ai sensi della legge n. 190 del 2014 (legge finanziaria per il 2015), che ne ha modificato anche la composizione, per assicurare la presenza di esperti e di rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni operanti in materia.

La stessa legge (art. 1, comma 133) destina annualmente, a decorrere dal 2015, una quota di 50 milioni di euro, nell’ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, per la cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d’azzardo (1 milione annuo per la sperimentazione di software per monitorare il comportamento del giocatore e generare messaggi di allerta).

In tale contesto, si inserisce il potere del sindaco di adottare, come nell’ipotesi di specie, ordinanze volte alla limitazione oraria delle apparecchiature per l’esercizio del gioco lecito e di apertura delle sale gioco.

La normativa in materia di gioco d’azzardo – con riguardo alle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché all’impatto sul territorio dell’afflusso ai giochi degli utenti – non rientra nella competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117 comma 2 lett. h), Cost., bensì nella tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, tutela che rientra nelle attribuzioni del Comune, ex artt. 3 e 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

La disciplina degli orari di apertura e funzionamento delle sale da gioco autorizzate e del funzionamento delle apparecchiature, ex art. 110, comma 6, TULPS, costituisce un crocevia di valori nel quale confluiscono una pluralità di interessi che devono essere adeguatamente misurati e contemperati.

Difatti, da un lato, emergono le esigenze dei privati – ovvero dei soggetti autorizzati all’esercizio del gioco lecito – titolari di una concessione con l’amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia. Tali soggetti mirano alla massimizzazione dei loro profitti, al fine di ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici, attraverso la più ampia durata giornaliera dell’apertura dell’esercizio, invocando i principi costituzionali di libertà di iniziativa economica, di libera concorrenza e del legittimo affidamento ingenerato proprio dal rilascio dei titoli – concessorio e autorizzatorio – necessari alla tenuta delle sale da gioco.

Dall’altro lato, sussistono interessi pubblici e generali, non contenuti in quelli economico – finanziari (tutelati dalla concessione) o relativi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (tutelati dall’autorizzazione questorile), ma estesi anche alla quiete pubblica (in ragione dei non improbabili disagi derivanti dalla collocazione delle sale gioco in determinate zone cittadine più o meno densamente abitate a causa del possibile congestionamento del traffico o dell’affollamento dei frequentatori) e alla salute pubblica, quest’ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più evidente, della ludopatia.

Il sindaco, nell’esercitare il potere per definire gli orari di apertura delle sale da gioco e dei locali in cui sono presenti le apparecchiature, ex art. 110, comma 6, TULPS, è tenuto a valutare le posizioni di ciascuno dei soggetti coinvolti, senza impiegare mezzi eccessivi rispetto agli obiettivi perseguiti, ma tenendo comunque in considerazione la prevalenza del bene salute, ex art. 32 Cost., rispetto all’iniziativa economica, ex art. 41 Cost. È al riguardo pacifico il potere del sindaco di cui all’art. 50, comma 7, del TUEL, di adottare provvedimenti funzionali a regolamentare gli orari delle sale giochi e degli esercizi pubblici in cui sono installate apparecchiature da gioco: in forza della generale previsione dell’articolo 50, comma 7, d. lgs. 267 del 2000, il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale.

La previsione di una limitazione oraria mira, in primis, a contrastare il fenomeno della ludopatia, inteso come disturbo psichico che induce l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco, in maniera ossessiva e compulsiva, con ovvie ricadute sul piano familiare e professionale, nonché con l’innegabile dispersione del patrimonio personale.

Nell’attuale momento storico, la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della popolazione costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale.

Un’ordinanza sindacale di regolazione degli orari delle sale da gioco non può considerarsi viziata da deficit di istruttoria o di motivazione soltanto perché il numero dei giocatori ludopatici non sia in assoluto elevato, giacché ciò che massimamente va considerato è la tendenza registrata nel periodo considerato, la quale, da sola, induce allarme negli enti pubblici preposti alla tutela della salute e giustifica, pertanto, l’adozione di misure restrittive.

In presenza di attività discrezionali della pubblica amministrazione, il sindacato del giudice amministrativo è limitato, con possibile esito caducatorio, alle sole fattispecie in cui emergano palesi illogicità o elementi di irragionevolezza, oppure, ancora, errori su elementi di fatto; per valutare o parametrare tali limiti, vengono in gioco vari principi che permeano l’azione amministrativa; il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa; il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione debba ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l’amministrazione deve realizzare; il principio di precauzione, che discende dai primi due (sviluppatosi nell’ambito della tutela dell’ambiente e del diritto alla salute), può essere invocato quando un fenomeno o un evento preso in considerazione dall’attività amministrativa (ed individuati tramite una valutazione scientifica ed obiettiva che però non consente di determinare l’esistenza del rischio con sufficiente certezza) possano avere effetti potenzialmente pericolosi, e consente il sacrificio o la compressione degli interessi coinvolti a valle della applicazione dei criteri ed analisi tecniche dei rischi poste alla base dell’istruttoria procedimentale; in base al combinato di tali principi, una istruttoria può dirsi ragionevolmente completa quando, sulla base della analisi di contesto e ponderazione dei rischi, le misure adottate rispettino la proporzionalità rispetto al livello di protezione ricercato (devono cioè essere idonee, adeguate e necessarie), siano coerenti con quelle già prese in situazioni analoghe.

Il principio di proporzionalità impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato: definito lo scopo avuto di mira, il principio di proporzionalità è rispettato se la scelta concreta dell’amministrazione è in potenza capace di conseguire l’obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza).

L’amministrazione comunale è obbligata a porre in essere interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati, per un verso, alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco e, per altro verso, al principio di precauzione, citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il cui scopo è garantire un alto livello di protezione dell’ambiente, grazie a precise prese di posizione preventive in caso di rischio, ma il cui campo di applicazione è molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. L’assioma fondamentale di tale ultimo principio è che, nell’ipotesi di un rischio potenziale, laddove vi sia un’identificazione degli effetti potenzialmente negativi di un’attività (come può risultare dallo stesso decreto Balduzzi) e vi sia stata una valutazione dei dati scientifici disponibili, è d’obbligo predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione, pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti.

Le amministrazioni comunali, con le suddette ordinanze, realizzano un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore, con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare i fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresca il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie e che, anche alla luce delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione Europea nel settore dell’esercizio dell’attività imprenditoriale del gioco lecito, le esigenze di tutela della salute vengono ritenute del tutto prevalenti rispetto a quelle economiche.

È rispettoso del principio di proporzionalità il contenimento dell’orario di apertura di una sala giochi entro il limite delle otto ore giornaliere.

Pur nella consapevolezza di un distinto orientamento, secondo cui i Comuni potrebbero discostarsi dall’Intesa de qua solo con adeguata motivazione, il collegio intende dar seguito al diverso orientamento giurisprudenziale seguito dalla Sezione, secondo cui “È, dunque, espressamente previsto che l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata sia recepita in un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Prevedendo l’adozione di un decreto ministeriale che abbia ad oggetto profili di regolamentazione del gioco pubblico, l’amministrazione statale si è attribuita un potere di indirizzo e coordinamento per aver ritenuto che in tale specifico settore (quello del gioco lecito) si incrociano materie attribuite dalla Costituzione alla competenza di diversi livelli di governo, anche regionale, ma si avverte l’esigenza di una regolamentazione unitaria; […] In questi casi – quando cioè lo Stato attribuisce per legge a sé stesso un potere di indirizzo e coordinamento in relazione ad un settore che investe in maniera trasversale materie di competenza anche delle Regioni – è dovuta nella legge statale la previsione del previo raggiungimento dell’Intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 28, quale strumento tipico di coinvolgimento delle Regioni in attuazione del principio di leale collaborazione. Il potere di indirizzo e coordinamento non è stato, tuttavia, ancora esercitato perché il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze non è stato adottato, mentre è stata conclusa l’intesa nell’ambito della Conferenza Unificata Stato Regioni Enti locali il 7 settembre 2017. Per essere prevista quale atto prodromico all’esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle Regioni, all’Intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente”.

La misura sanzionatoria della sospensione del funzionamento degli apparecchi di intrattenimento non è riconducibile alle sanzioni amministrative previste dalla l. 689 del 1981 (trattandosi, invece, di potere rientrante nell’ambito del c.d. rapporto amministrativo instauratosi tra amministrazione comunale e privato autorizzato).

Il Comune può legittimamente prevedere che, in caso di reiterata violazione della disciplina sindacale sugli orari di apertura delle sale da gioco e di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro, si applichi la misura restrittiva della sospensione dell’attività per un tempo ragionevole, adeguato e idoneo.

Con il passaggio dall’autorità di pubblica sicurezza ai Comuni delle funzioni di cui al TULPS, per opera dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 616 del 1977 (“Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22/7/1975, n. 382”, tra le quali, appunto, al n. 8) “la licenza per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè ed altri esercizi in cui si vendono o consumano bevande non alcooliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giuochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili di cui all’art. 86”), sono transitati nella competenza dei Comuni anche i poteri sanzionatori, utilizzabili in presenza di violazione delle discipline specifiche che attengono alla tutela degli interessi pubblici diversi da quello dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Tra le misure sanzionatorie, l’art. 10 del T.U.L.P.S. prevede la revoca o la sospensione dell’autorizzazione nel caso di abuso della persona autorizzata; l’abuso consisterebbe anche nella violazione delle disposizioni dirette a garantire il corretto esercizio dell’attività autorizzata, fra le quali rientra l’orario di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago.