Procedimenti e regimi amministrativi

Concessioni di bene pubblico e rinnovo automatico

Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 23 febbraio 2024, n. 3637

Concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche – Rinnovo automatico – Non applicazione – Principio di legalità e certezza del diritto – Roma Capitale – Libera concorrenza – Scarsità della risorsa – Interpretazione – Gare pubbliche – Principi di trasparenza e non discriminazione

Le disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni sono illegittime per contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; il dovere di disapplicazione delle stesse si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, anche in caso di direttiva “self executing”. Opinare diversamente, infatti, significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.

I posteggi per l’esercizio del commercio, nel comune di Roma Capitale, sono un bene limitato, considerato anche il ristretto carattere territoriale del Comune concedente, l’attuale assenza di concorrenzialità del settore e l’elevata attrattività che rivestono per gli operatori tali attività, specie nel contesto caratterizzato da profili di unicità e assoluta particolarità, quale è quello di Roma.

Il concetto di scarsità della risorsa parcheggi va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato.

La direttiva 2006/123/CE “Bolkestein” è “self executing” e il settore del commercio in aree pubbliche rientra nell’ambito di applicazione della stessa: pertanto, si impone l’indizione di gare pubbliche a tutela della concorrenza per il mercato, materia “trasversale”, che è suscettibile di trovare applicazione in vari settori dell’ordinamento nazionale, tra cui deve senz’altro farsi rientrare quello delle concessioni di parcheggi a rotazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche caratterizzati dalla scarsità delle concessioni assentibili.

La sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione.

Circolazione stradale e piano urbano del traffico

Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 21 febbraio 2024, n. 654

Circolazione stradale – Piano urbano del traffico – ZTL – Tariffazione degli accessi – Relazione tecnica di accompagnamento

La facoltà concessa ai Comuni – a norma del comma 9 dell’art. 7 d.lg. 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dal d.lgs. 10 settembre 1993 n. 360 – di subordinare al pagamento di una somma l’ingresso o la circolazione dei veicoli a motore all’interno delle zone a traffico limitato presuppone che – secondo quanto prescritto dalla circolare 21 luglio 1997, n. 3816 dell’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale – i Comuni che abbiano istituito una z.t.l., abbiano adottato il Piano urbano del traffico ai sensi dell’art. 36 c. strad. e abbiano introdotto la tariffazione degli accessi alla z.t.l. all’interno del Piano urbano del traffico, avendo verificato che tale provvedimento si rende effettivamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi del Piano urbano del traffico, di cui deve essere data documentazione in uno specifico paragrafo della relazione tecnica che accompagna il suddetto Piano.

Ordinanze sindacali extra ordinem

Tar Umbria, Perugia, sez. I, 16 gennaio 2024, n. 12

Ordinanze sindacali extra ordinem – Presupposti – Istruttoria – Onere motivazionale rafforzato – Atipicità – Manufatti in amianto – Sorveglianza

Ai sensi dell’art. 50 del TUEL, il Sindaco può adottare ordinanze extra ordinem per fronteggiare pericoli legali alla salute e all’incolumità pubblica, provvedimenti dal contenuto atipico, che devono ritenersi legittimi in presenza di stringenti presupposti di legge, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione: tali presupposti giustificano la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale.

Con specifico riferimento ai presupposti di adozione delle ordinanze sindacali, anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco, non essendo necessario attendere l’attualizzarsi della minaccia. Difatti, la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o si protragga per un periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell’agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi.

La sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della l. n. 257/1992.

Il presupposto circa l’esistenza di una situazione eccezionale ed imprevedibile va interpretato nel senso che non rileva la circostanza che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, bensì la sussistenza della necessità e urgenza attuali di intervenire a difesa degli interessi pubblici coinvolti, a prescindere dalla prevedibilità della situazione di pericolo che il provvedimento è volto a rimuovere: il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. Cosicché, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo.

Se anche è decorso del tempo dall’insorgenza della situazione di pericolo, ciò non esclude l’attualità della stessa e l’urgenza di provvedere con ordinanza extra ordinem.

È la presenza di un pericolo attuale che giustifica l’urgenza di provvedere con ordinanza contingibile e urgente, radicando la competenza del Sindaco ai sensi dell’art. 50 TUEL, qualora sia sconsigliabile attendere l’espletamento delle procedure ordinarie, come riguardo agli obblighi di bonifica in tema di cemento amianto.

Ordinanze sindacali e principio di proporzionalità

Tar Toscana, Firenze, sez. IV, 21 febbraio 2024, n. 198

Ordinanze sindacali – Principio di proporzionalità

L’emanazione di ordinanze sindacali deve avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità, che richiede il perseguimento del pubblico interesse con il sacrificio minore possibile degli altri interessi coinvolti e presuppone, quindi, un’attenta ponderazione e il bilanciamento tra le contrapposte esigenze che si fronteggiano nella vita delle città.

Ordinanze contigibili e urgenti

Tar Campania, Salerno, sez. III, 7 febbraio 2024, n. 369

Ordinanza contingibile e urgente – Legittimazione passiva – Presupposti – Costi dell’intervento urgente

Le ordinanze contingibili e urgenti, proprio per il loro contenuto “extra ordinem”, possono rivolgersi a chiunque abbia, con il bene che minaccia la pubblica incolumità, una relazione tale da consentirgli di disporne e quindi effettuare gli interventi necessari a ripristinare le condizioni di sicurezza.

Tra i presupposti dell’ordinanza contingibile e urgente deve essere annoverato anche quello soggettivo, cioè la riferibilità del bene interessato, in tesi produttivo di danno, ad un soggetto che ne abbia la disponibilità, ovvero si trovi in rapporto tale con la fonte del pericolo da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di emergenza. E ciò evidentemente perché, in caso contrario, l’ordine sarebbe illogicamente destinato a non poter essere eseguito.

Per poter essere eseguita, l’ordinanza contingibile e urgente può dirigersi nei confronti del destinatario solamente per la realizzazione di lavori su beni di cui lo stesso sia proprietario e che rientrino nella sua disponibilità, vale a dire che si trovi in rapporto tale con la fonte di pericolo da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di rischio.

Il termovalorizzatore di Roma Capitale

Consiglio di Stato, sez. IV, 9 febbraio 2024, n. 1349

Rifiuti – Piano di smaltimento rifiuti di Roma Capitale – VAS – Realizzazione termovalorizzatore – Diritto dell’Unione europea e legislazione degli Stati membri – Principio della gerarchia dei rifiuti – Ratio – Discrezionalità

Abbandono di rifiuti e principio di precauzione

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1110

RSU – Abbandono – Responsabilità – Principio di precauzione e di prevenzione – Misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza – Gestione d’affari altrui – Presupposti – Gestione nomine proprio o con spendita del nome – Principio di proporzionalità – Teoria dei tre gradini – Cessione della proprietà del sito – Traslazione dell’obbligo di bonifica – Acque emunte – Classificazione

Le misure di messa in sicurezza di emergenza, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell’azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente) solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa.

Il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell’inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell’attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale – per una sua condotta commissiva od omissiva – sia imputabile l’inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d’ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un’azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito, dopo l’esecuzione degli interventi medesimi.

Ne discende che il proprietario non responsabile dell’inquinamento – nell’accezione prima chiarita – è tenuto, ai sensi dell’ art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.

Tali consolidati principi non possono, nondimeno, trovare applicazione nel caso in cui il proprietario, ancorché non responsabile, ha attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In tale caso, infatti, la fonte dell’obbligazione del proprietario incolpevole va rinvenuta nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa.

Secondo l’art. 2028 c.c. colui che, scientemente e senza esservi tenuto, assume la gestione di un affare altrui ha l’obbligo di proseguirla fino a quando l’interessato possa provvedervi da sé stesso.

I presupposti necessari perché si configuri una gestione di affari altrui sono tradizionalmente individuati: a) nella c.d. absentia domini, dedotta dall’art. 2028 c.c. allorché fa riferimento ad un dominus che non è in grado di provvedere ai suoi interessi; b) nell’altruità dell’affare, dato l’esplicito riferimento normativo alla gestione di un affare altrui; c) nella spontaneità dell’intervento del gestore che, infatti, ai sensi dell’art. 2028 c.c., deve agire “senza essere obbligato”; d) nella consapevolezza dell’alienità dell’affare, desumibile dall’avverbio “scientemente”. Particolarmente discusso è, poi, il c.d. requisito dell’utiliter coeptum che, data la formulazione dell’art. 2031 c.c., è da una parte della dottrina considerato condicio iuris di efficacia di una fattispecie già strutturalmente perfetta e, da altra parte, ritenuto presupposto dei soli effetti a carico del dominus.

Il requisito della c.d. absentia domini deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi il caso in cui l’interessato, pur presente fisicamente nei luoghi ove la gestione è eseguita, non sia comunque in grado di presidiare all’amministrazione dei propri interessi esistenziali. A tal riguardo, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell’interessato alla gestione dei propri affari, ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l’anzidetto requisito là dove il dominus non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari.

Quanto agli effetti della gestione, deve essere distinta la fattispecie in cui il gestore ha agito nomine proprio,da quella in cui spende il nome dell’interessato (art. 2031, comma 1, c.c.). Nel primo caso (c.d. gestione rappresentativa fondata sulla legge e condizionata dal presupposto dell’utiliter coeptum), gli effetti della gestione sono proiettati recta via nella sfera giuridico-patrimoniale dell’interessato, il quale deve pertanto adempiere le obbligazioni assunte in suo nome. Nel secondo caso, valgono le regole in tema di mandato senza procura, di guisa che l’interessato dovrà tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte. Il gestore è tenuto a continuare la gestione e a completarla finché l’interessato non sia in grado di provvedervi autonomamente (art. 2028, comma 1, c.c.).

Nella negotiorum gestio, si ravvisano i tratti distintivi dell’obbligazione – che nasce per effetto della libera determinazione del gerente – senza obbligo primario di prestazione, da cui discende la eventuale responsabilità ex art. 1218 c.c., quale conseguenza della c.d. mala gestio.

Il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa una adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, l’esercizio del potere in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.

Inoltre, il principio di proporzionalità postula un giudizio di valutazione che si articola in tre passaggi successivi, che prevedono l’utilizzo di altrettanti criteri di valutazione (c.d. «teoria dei tre gradini»):

– l’idoneità della decisione a raggiungere lo scopo, intesa come rapporto fra mezzo utilizzato e fine da raggiungere. Secondo questo primo indice di valutazione, la soluzione prospettata dalla pubblica amministrazione dev’essere effettivamente idonea a realizzare gli obiettivi legittimi di interesse pubblico, o la tutela di diritti fondamentali, per come dichiarato dalla stessa amministrazione;

– la sua necessarietà, intesa come inesistenza di alternative più miti per il raggiungimento dello stesso risultato. In base a tale criterio, la scelta amministrativa deve necessariamente ricadere su quella che determini il sacrificio minore per i soggetti che ricevono un pregiudizio dalla decisione: in questo secondo passaggio si ha, dunque, un quid pluris rispetto al primo, consistente nella valutazione delle alternative plausibili per il raggiungimento degli stessi interessi pubblici con misure meno gravose;

– l’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto, intesa come tollerabilità della decisione da parte del suo destinatario. In virtù di quest’ultimo indice valutativo, l’amministrazione deve effettuare una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, onde verificare se la misura sia «non eccessiva» rispetto all’obiettivo da perseguire.

La proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido e immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa e come concreto bilanciamento tra interessi potenzialmente antagonisti: il bilanciamento tra interessi potenzialmente incompatibili è una vicenda di allontanamento più o meno intenso da quel nucleo di massima protezione e che dipende dalle relazioni di prevalenza o subordinazione che, all’interno della ponderazione, si stabiliscono con i principi concorrenti.

La cessione della proprietà del sito non determina una vicenda estintiva, né a livello soggettivo, né a livello oggettivo, dell’obbligazione volontariamente assunta, venendo nel caso in esame in rilievo un’obbligazione di fonte legale, discendente da un fatto/atto idoneo, ai sensi dell’art. 1173, a generare la nascita di un’obbligazione in capo al soggetto che ha spontaneamente intrapreso la gestione dell’attività di bonifica. In tale direzione depone anche la considerazione che, anche nel caso di cessione di azienda, l’art. 2560, comma 1, c.c. espressamente dispone che, dopo la cessione, il cedente rimane ex lege titolare degli obblighi (e, più in generale, delle posizioni di responsabilità) rivenienti dalla gestione del ramo di azienda precedente alla cessione.

La fattispecie della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si verifica, invece, nel diverso caso della successione a titolo universale, ovvero quando si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione): in tali ipotesi, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus.

Il principio di precauzione consiste, come noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”. Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”. Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili, la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.

Il fondamento concettuale della logica precauzionale può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.

Ne discende che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.

Le acque emunte, di regola, devono essere ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art. 243, d.lgs. 152/06, consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali. L’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere.

Pianificazione urbanistica e collocazione sale da gioco

Consiglio di Stato, sez. IV, 14 febbraio 2024, n. 1476

Pianificazione urbanistica – Collocazione sale da gioco – Limitazioni – Compatibilità col diritto eurounitario – Effetto espulsivo – Protezione dell’interesse pubblico e libertà di iniziativa economica privata

Sono legittimi i limiti alla collocazione nel territorio delle sale da gioco e degli apparecchi per gioco lecito, in ragione della finalità di dette limitazioni a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio-assistenziale: le norme limitatrici, compatibili anche col diritto eurounitario, infatti, mirano alla tutela di soggetti ritenuti più fragili, prevenendo le conseguenze sociali del fenomeno del gioco compulsivo.

La previsione di rispettare una distanza minima di cinquecento metri con una superficie utile per installare gli apparecchi per il gioco lecito pari, in percentuale, a circa l’1% del territorio comunale, non determina effetto espulsivo e dunque, non vi è violazione dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale della Cedu e degli articoli 16 e 17 della CDFUE, non essendovi alcun effetto espropriativo, né un’illegittima compressione della libertà di iniziativa economica privata.

Le misure immediatamente finalizzate alla prevenzione, al contrasto e alla riduzione del rischio di dipendenza dal gioco d’azzardo lecito, fondate sul motivo imperativo della prioritaria salvaguardia della salute pubblica, devono tenersi distinte da quelle programmatiche, attinenti alla regolazione allocativa dell’attività economica.

I principi di libera circolazione e di divieto di limitazione o restrizione presidiati dalle regole di trasparenza e pubblicità della direttiva CE 98/34 non sono né assoluti, né generalizzati, rientrando, in particolare, la disciplina dei giochi d’azzardo nei settori in cui sussistono fra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, in base alle quali restrizioni alle predette attività di gioco possono essere introdotte se giustificate da ragioni imperative di interesse generale, come, ad esempio, la dissuasione dei cittadini da una spesa eccessiva legata al gioco medesimo.

Revoca dell’interdittiva antimafia

Tar Campania, Napoli, sez. I, 13 febbraio 2024, n. 1061

Procedimento amministrativo – Invalidità caducante e viziante – Interdittiva antimafia – Revoca titoli edilizi

L’intervenuta revoca dell’informazione interdittiva antimafia determina anche il travolgimento degli effetti della revoca dei titoli abilitativi rilasciati in favore del destinatario della misura, quando determinata sulla base di tale unico fondamentale presupposto.

In linea generale, in presenza di vizi dell’atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto conseguenziale anche quando quest’ultimo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso l’atto conseguenziale è affetto da illegittimità derivata, e resta efficace ove non ritualmente impugnato; la prima ipotesi ricorre nel solo caso in cui l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi. Ne discende la necessità di valutare l’intensità del rapporto di conseguenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo, con riconoscimento dell’effetto caducante qualora detto rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all’atto precedente.

Tar Campania, Napoli, sez. VI, 12 febbraio 2024, n. 998

Circolazione stradale – Discrezionalità amministrativa

In materia di circolazione stradale e tutela della sicurezza e della viabilità, la legge attribuisce all’ente locale un’ampia discrezionalità amministrativa, confinante con valutazioni politiche, che connota l’esercizio del relativo potere e che consente l’adozione di tali provvedimenti con minimi oneri motivazionali e senza l’espletamento di particolari attività istruttorie.