Servizi pubblici e società partecipate degli enti locali

Farmacie e pianificazione comunale

Tar Marche, Ancona, sez. II, 20 gennaio 2024, n. 64

Servizi pubblici – Servizio farmaceutico – Pianificazione territoriale – Competenza comunale – Trasferimento – Concorso per assegnazione sedi

L’Amministrazione comunale dispone di poteri in materia di apertura, esercizio e trasferimento di farmacie ai sensi della legge n. 475 del 1968, come incisivamente modificata dal D.L. n. 1/2012, convertito dalla legge n. 27/2012. Inoltre, l’art. 2 di detta legge attribuisce ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. In particolare, tale norma prevede che il Comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifichi le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurarne un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate. La competenza comunale si estende inoltre, anche al trasferimento della farmacia all’interno della sede assegnata, disciplinato dall’art. 1 della medesima legge, che subordina l’autorizzazione al trasferimento all’unica condizione della distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (comma 4).

Il compito di individuare le zone ove collocare le farmacie è assegnato espressamente ai soli Comuni dall’articolo 11, commi 1 e 2, del dl 1/2012, a garanzia soprattutto dell’accessibilità del servizio farmaceutico ai cittadini. La decisione del legislatore statale di affidare ai Comuni il compito di individuare le zone risponde all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività alla quale concorrono plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l’individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, il correlato esame di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali – come si è detto – sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti all’area del merito amministrativo, rilevanti ai fini della legittimità soltanto in presenza di chiare ed univoche figure sintomatiche di eccesso di potere, in particolare sotto il profilo dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà. Inoltre, lo strumento pianificatorio (in passato denominato pianta organica) non è più configurato come atto complesso che si perfezioni con il provvedimento di un ente sovracomunale (la Regione ovvero la Provincia, o altro, a seconda delle legislazioni regionali), bensì come un atto di esclusiva competenza del Comune (e per esso della Giunta): e ciò tanto nella prima applicazione del D.L. n. 1 del 2012, quanto nelle future revisioni periodiche.

Mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune.

Unioni di comuni, estromissione e recesso

Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2023, n. 376

Servizi pubblici – Gestione associativa – Convenzioni fra Enti locali – Natura giuridica – Istituzione – Modifiche – Unione fra Comuni – Estromissione e recesso

Le convenzioni previste al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, disciplinate in termini generali dall’art. 30 del T.u.e.l., ove opzionate quale forma di gestione associata dai Comuni obbligati, devono avere una durata almeno triennale, termine che comunque indica l’unità di tempo minimo trascorsa la quale si dovrebbe procedere a misurare l’effettività dei risparmi conseguiti, secondo modalità demandate ad apposito provvedimento attuativo (v. ancora l’art. art. 14, comma 31-bis, del d.l. n. 78 del 2010).

Rispetto alla gestione associativa in Unione, i Comuni in convenzione mantengono la titolarità giuridica delle funzioni, delle risorse e del personale e non si avvalgono degli organi amministrativi colà appositamente previsti. Essa, pertanto, costituisce un modello connotato da maggiore flessibilità, tanto da risultare la forma associativa largamente più diffusa tra i piccoli Comuni. Al contrario, la natura di Ente di secondo livello dell’Unione fa sì che le modalità organizzative della stessa siano rimesse agli atti adottati dai relativi organi, in particolare lo Statuto e i regolamenti, ferma restando, una volta che la stessa si sia costituita, l’applicabilità dei principi previsti per l’ordinamento dei Comuni, «con particolare riguardo allo status degli amministratori, all’ordinamento finanziario e contabile, al personale e all’organizzazione» (art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000).

In fase di prima istituzione, lo Statuto deve essere approvato dai consigli dei Comuni partecipanti; le successive modifiche invece sono rimesse alla competenza di quello dell’Unione.

Le convenzioni ex art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 sono una species del più ampio genus di accordi contemplati dall’art. 15 della l. n. 241 del 1990. A ciò consegue la necessità che la loro stipula soddisfi i requisiti di forma previsti da ridetta disposizione a carattere generale quale, a far data dal 30 giugno 2014, la sottoscrizione con firma digitale (art. 15, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dal d.l. n. 104 del 2013, successivamente modificato dal d.l. n. 145 del 2013). Essi, inoltre, sono sottoposti ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili, ove non diversamente previsto.

Nell’ambito della disciplina dell’Unione, invece, solo i commi 2 e 5-bis dell’art. 32 del T.u.e.l. fanno riferimento all’utilizzo della convenzione: la prima ipotesi (comma 2), quale esercizio da parte dell’Unione, al pari di qualsiasi altra amministrazione, della sua capacità negoziale, estrinsecantesi nella possibilità di sottoscrivere accordi con altre Unioni o con singoli Comuni, aderenti o meno alla stessa; la seconda (comma 5-bis, introdotto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), per consentire ai Sindaci dei Comuni aderenti di delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell’Unione o dei singoli Comuni associati.

L’Unione fra Comuni si concretizza in un Ente distinto dai Comuni che la compongono, a finalità normalmente settoriale, dotato di propri organi e competenze esclusive, nell’ambito dell’oggetto della gestione condivisa. Per contro, l’accordo gestionale cui si addiviene con una mera convenzione può risolversi in una delega, ma non spoglia mai il Comune che la conferisce della titolarità in astratto della relativa funzione.

Il potere di estromettere con decisione unilaterale uno dei Comuni che compongono un’Unione non è previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000. Il recesso del singolo partecipante può avvenire solo ad iniziativa dello stesso, ferma restando l’effettiva presa d’atto da parte dell’Unione.

Servizi pubblici, modalità di affidamento e discrezionalità di scelta

Tar Veneto, Venezia, sez. I, 20 dicembre 2023, n. 1944

Servizio pubblico – Modalità di erogazione – Trasporto pubblico locale – Affidamento diretto – Discrezionalità – Onere motivazionale

Ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 201 del 2022, le modalità di gestione dei servizi pubblici sono le seguenti: a) “affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica, secondo le modalità previste dal dall’articolo 15, nel rispetto del diritto dell’Unione europea”; b) “affidamento a società mista, secondo le modalità previste dall’articolo 16, nel rispetto del diritto dell’Unione europea”; c) “affidamento a società in house, nei limiti fissati dal diritto dell’Unione europea, secondo le modalità previste dall’articolo 17”; d) “limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o mediante aziende speciali di cui all’articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000”. Quindi, in base all’art. 14, per l’affidamento a soggetti esterni, non riconducibili all’Amministrazione affidante, è previsto come regola generale l’affidamento con gara e l’affidamento diretto è contemplato solo per le ipotesi di in house.

Ai sensi dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 201 del 2022, per i servizi di trasporto pubblico locale, alle modalità di affidamento previsto dall’art. 14, comma 1, si aggiungono quelle previste dalla normativa comunitaria e in particolare quelle previste dall’art. 5 del Regolamento (CE) n. 1370/2007 il quale, al comma 3, stabilisce che “L’autorità competente che si rivolge a un terzo diverso da un operatore interno aggiudica i contratti di servizio pubblico mediante una procedura di gara, ad esclusione dei casi contemplati nei paragrafi 4, 5 e 6” e al comma 4 prevede che “A meno che sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti hanno facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio pubblico il cui valore annuo medio stimato è inferiore a 1.000.000 EUR oppure che riguardano la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri inferiore a 300.000 chilometri l’anno”. Il Considerando 23 di tale Regolamento evidenzia che “È opportuno che la gara d’appalto per l’aggiudicazione di contratti di servizio pubblico non sia obbligatoria quando il contratto abbia per oggetto somme o distanze di modesta entità. Al riguardo, per somme o distanze di maggiore entità le autorità competenti dovrebbero poter tenere conto degli interessi specifici delle piccole e medie imprese. Alle autorità competenti non dovrebbe essere consentito di suddividere contratti o reti al fine di evitare procedure di appalto”. Da tale complessivo assetto normativo, emerge, quindi, che nell’ambito dei servizi di trasporto pubblico locale di “modesta entità”, tra le forme di gestione del servizio, è previsto anche l’affidamento diretto.

L’Amministrazione ha la facoltà di scegliere sia la gara, sia l’affidamento diretto, sulla base di una scelta discrezionale, tenendo conto delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio e agli investimenti infrastrutturali, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti, dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili, nonché dei risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio, sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati.

La gara pubblica è lo strumento che, per definizione, consente all’Amministrazione di consultare il mercato e di acquisire la migliore offerta, garantendo massimamente la concorrenza: essa non può, quindi, considerarsi una modalità di affidamento subordinata, salvo che l’Amministrazione non ritenga di mantenere al proprio interno il servizio attraverso un proprio organo, una società in house o attraverso una società mista con socio scelto con gara a doppio oggetto. Inoltre, l’obiettivo di favorire le piccole e medie imprese può essere assicurato anche in gara nelle forme consentite dall’ordinamento e nel rispetto dei generali principi di buon andamento e parità di trattamento. In questo senso, in caso di affidamento all’esterno del servizio, la scelta della gara non richiede una specifica e articolata motivazione: dall’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 201 del 2022 si ricava che l’affidamento mediante gara costituisce l’esito di una scelta discrezionale e non rappresenta l’adempimento di un obbligo normativo.

Affidamento in house e controllo analogo

Tar Veneto, Venezia, sez. I, 7 dicembre 2023, n. 1839

Servizio pubblico – Affidamento diretto – In house providing – Condizioni – Controllo analogo – Requisiti – Società in house – Caratteri

L’affidamento diretto ad una società in house è consentito, in particolare, a condizione che la società non sia terza rispetto all’ente affidante, ma una sua articolazione. Tra socio pubblico controllante e società v’è, infatti, una relazione interorganica e non intersoggettiva. È necessario che tale relazione intercorra tra soci affidanti e società, non anche tra la società e altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza.

In caso di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo può essere esercitato in forma congiunta: a tal fine, sono inadeguati i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune ed è invece necessario dotare i soci di strumenti ulteriori che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.

Il controllo analogo richiesto per configurare l’in house providing si sostanzia in un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici, che sulle decisioni importanti della società controllata, tale per cui quest’ultima, pur costituendo una persona giuridica distinta dall’ente pubblico partecipante, in realtà ne costituisce una mera articolazione organizzativa priva di effettiva autonomia e, in tale prospettiva, è necessario verificare in concreto se, sulla base dei diritti amministrativi inerenti allo strumento partecipativo, sussista effettivamente un potere di controllo.

In definitiva, l’assenza di comitati esterni, di accordi ovvero di patti parasociali non esclude ex se l’assenza del controllo analogo congiunto.

L’analisi per l’accertamento dei requisiti in house deve essere svolta in concreto, tenendo conto delle specificità e delle geometrie ormai variabili che assumono i soggetti che si legano alle Amministrazioni sulla base di tale rapporto: in particolare, l’Amministrazione partecipante deve essere in grado di esercitare sul soggetto affidatario un controllo di carattere sostanziale, tale da assicurarle la possibilità di eterodirigerlo.

La società in house non può qualificarsi come un’entità posta al di fuori dell’Ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna: essa, infatti, rappresenta un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica, giustificata dal diritto comunitario, con il rilievo che la sussistenza delle relative condizioni legittimanti esclude che l’ in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo; talché l’Ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’Amministrazione stessa e ciò non cambia ove si ritenga che, in linea con la più recente normativa europea e nazionale, il ricorso all’in house providing si atteggi in termini di equiordinazione – e non più di eccezionalità – rispetto alle altre forme di affidamento.

Società in house, rapporti con il socio pubblico e convenienza economica dell’affidamento

Tar Lombardia, Milano, sez. I, 30 ottobre 2023, n. 2540

Società in house – Azione contro il socio – Ammissibilità – Controllo analogo – Configurabilità – Affidamento in house – Presupposti di legittimità – Motivazione sulla convenienza economica

Benché le società in house siano o debbano essere caratterizzate da un vincolo così stretto con l’ente di appartenenza che questo esercita un “controllo analogo” quello esercitato sui propri servizi, ciò non vale a dequotare il rapporto tra i due enti ad un rapporto interorganico e quindi non è inammissibile l’azione proposta dalla società in house contro l’ente socio.

Ai fini della configurabilità di un “controllo analogo”, non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo individuale del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c. o dall’art. 2383 c.c. con riferimento alla nomina degli amministratori; ciò che è imprescindibile è solo che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati, anche se ottenuto tramite strumenti diversi.

In merito alla possibile valutazione della convenienza economica dell’affidamento in house, rispetto all’alternativa del ricorso al mercato, la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente una comparazione tra dati, da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio attraverso la quale si riesca a dimostrare che il servizio fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza; la verifica della convenienza può effettuarsi anche attraverso la dimostrazione dell’inadeguatezza degli operatori presenti sul mercato a garantire un livello adeguato di efficienza del servizio o comunque attraverso la prova, anche in caso di indisponibilità a reperire un operatore economico che renda il servizio alle stesse condizioni richieste dall’amministrazione affidante nel proprio territorio, di avere effettuato un’indagine di mercato rivolta a comparare la proposta della società in house con un benchmark di riferimento, risultante dalle condizioni praticate da altre società in house operanti nel territorio limitrofo.

La mancanza di una previa indagine di mercato per la verifica di congruità del contratto non inficia l’onere di motivazione rafforzato, con riferimento alle ragioni del mancato ricorso al mercato e alla convenienza dei costi del servizio. Questo perché l’onere di cui trattasi, imposto per evitare l’abuso dell’affidamento diretto, può ritenersi soddisfatto ove l’ente affidante abbia cura di indicare le plausibili e specifiche ragioni preferenziali a sostegno della convenienza globale dello strumento pubblico. Ne deriva un quadro di piena discrezionalità dell’amministrazione nello svolgimento di questo confronto, soprattutto se svolto tra società che sono controllate dal Comune stesso ed hanno con esso una relazione di controllo così stretto da sfiorare la relazione interorganica.

Società miste e ruolo del socio privato (il caso Roma Multiservizi)

Consiglio di Stato, sez. V, 17 ottobre 2023, n. 9034

Società a partecipazione mista – Ruolo del socio privato – Partecipazione pubblica, diretta e indiretta, e distribuzione del rischio finanziario – Discrezionalità e limiti di sindacato

Nelle società a capitale misto, il socio privato deve essere operativo e non un mero socio di capitale, stante la specificità del ruolo che deve assumere nell’attuazione dell’oggetto sociale: del resto, il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interessi generali si giustifica proprio per la carenza in seno alla amministrazione pubblica delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato.

La partecipazione del socio privato operativo nelle società miste deve essere adeguata, idonea cioè a rendere possibile l’attuazione dell’oggetto sociale; tale adeguatezza è stata fissata dal legislatore nazionale, proprio ai fini del rispetto dei principi eurounitari, nella soglia minima di partecipazione del 30%.

Sul fronte dell’impegno economico, il modello della società mista si traduce nella ricerca di capitale privato “terzo”, ossia nella netta e definitiva separazione tra l’onere finanziario assunto ab initio dall’amministrazione ed il rischio imprenditoriale del privato, che verrebbe potenzialmente (e progressivamente) annullato in presenza di una ulteriore partecipazione indiretta della parte pubblica del capitale della società mista, per effetto della contestuale partecipazione della prima al capitale sociale del partner operativo.

Fermo il limite di legge (30% di partecipazione privata), l’amministrazione può decidere, nel concreto esercizio della propria precipua funzione di tutela dell’interesse pubblico, qual è il livello massimo del rischio finanziario o economico che intende assumere (e quindi, per l’effetto, quello che intende addossare esclusivamente al concessionario), fissando all’uopo delle soglie di partecipazione al capitale della costituenda società mista, valutazione che, in quanto espressione di eminente discrezionalità tecnica, può essere sindacata dal giudice amministrativo limitatamente al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà, ovvero se fondata su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti.

Assenza di privativa e istituzione di un servizio pubblico locale

Tar Lombardia, Milano, sez. I, 16 ottobre 2023, n. 2334

Servizi pubblici – Servizi a rete – Privativa – Recupero FORSU – Istituzione del servizio pubblico – Obblighi di motivazione

L’assenza di un regime di privativa comporta l’obbligo dell’amministrazione competente di acquisire il servizio con idonea motivazione. La gestione dei rifiuti urbani è servizio pubblico essenziale che rientra storicamente tra i servizi municipalizzati, la cui gestione è svolta in parte in regime di privativa ed in parte aperto al mercato.

La mancanza di privativa comunale non esclude la possibilità del Comune di acquisire il servizio di recupero della Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano (FORSU) alla mano pubblica.

Nel sistema introdotto dal nuovo decreto legislativo in materia di servizi pubblici locali, la scelta delle modalità di gestione del servizio avviene a valle dell’istituzione del servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 201/22.

L’art. 14 del D. Lgs. n. 201/2022 attiene alla scelta tra le forme di gestione del servizio pubblico locale e non alle modalità di istituzione del servizio pubblico locale diverso da quelli già previsti dalla legge, qual è il servizio di gestione della FORSU, che è disciplinato dall’art. 10 c. 3 del D. Lgs. n. 201/2022. Le due norme hanno evidentemente oggetti diversi in quanto la scelta dell’estensione della privativa comunale richiede una motivazione che abbia per oggetto la necessità o l’opportunità di sostituire il servizio offerto sul mercato con quello degli enti locali assuntori, mentre la motivazione richiesta dall’art. 14 del D. Lgs. n. 201/2022 attiene alla scelta tra un singolo operatore od un numero limitato di operatori.

In house e divieto di proroga o rinnovo dei contratti

Tar Puglia, Bari, sez. I, 19 giugno 2023, n. 924

Servizi pubblici – In house providing – Rinnovo contratti scaduti – Proroga – Divieto

L’eliminazione della possibilità di procedere al rinnovo dei contratti scaduti ha valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto della rinnovazione dei contratti pubblici. Pertanto, non solo l’intervento normativo di cui all’art. 23 della legge n. 62 del 2005, ma anche ogni altra disposizione dell’ordinamento che dovesse consentire, in deroga alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici, l’affidamento senza gara degli stessi servizi per ulteriori periodi, deve essere considerato alla stregua del vincolante criterio che vieta, in modo imperativo ed inderogabile, il rinnovo del contratto.

L’ampia portata del principio del divieto di rinnovo dei contratti pubblici scaduti, seppur previsto dalla legge con espresso riferimento agli appalti di lavori, servizi e forniture (art. 23 co. 2 della L. 62/2005), si estende anche al settore delle concessioni dei beni pubblici, in quanto esso deriva dall’applicazione della regola, di matrice comunitaria, per cui i beni pubblici contendibili non devono poter essere sottratti per un tempo eccessivo e senza gara al mercato e, quindi, alla possibilità degli operatori economici di ottenerne l’affidamento. L’eventuale proroga di un affidamento diretto deve intervenire prima della scadenza e fare seguito ad un’intesa tra le parti che, senza incidere sull’oggetto del provvedimento autorizzatorio, abbia di mira il semplice spostamento in avanti del termine (non scaduto) di efficacia dell’originario provvedimento autorizzatorio, per una sola volta e limitatamente al periodo necessario per l’indizione e la conclusione della necessaria procedura ad evidenza pubblica. Con riferimento alla proroga, infatti, vale il principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui, per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione, vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio pubblico, nelle more del reperimento di un nuovo contraente.

Società in house, controllo analogo e principio di maggioranza

Consiglio di Stato, sez. V, 27 luglio 2023, n. 7348

Servizio idrico integrato – Affidamenti e società in house – Controllo analogo “a cascata” e “congiunto” – Coesistenza – Possibilità – Controllo congiunto e non paritario – Possibilità

Le disposizioni vigenti non escludono la compresenza di un modello di controllo analogo c.d. “a cascata” e di quello “congiunto” o “pluripartecipato”: di qui la possibilità di assistere a società in house ad un tempo “a cascata” ed “a controllo congiunto” o pluripartecipato. Essenziale in tale senso è, piuttosto, la ricorrenza dei relativi presupposti prescritti dalla legge.

In caso di partecipazione plurima, l controllo deve essere “congiunto”, ma non anche necessariamente “paritario” (ossia egualmente ripartito tra tutti i soci in house). Nei servizi d’interesse economico generale di livello locale “a rete”, una simile conclusione è inevitabilmente legata alla particolare dimensione naturale, organizzativa e funzionale degli ATO che sono costituiti da plurimi comuni di varie dimensioni e dunque anche di diverso peso societario. Di qui la piana applicazione del principio democratico della maggioranza dettato, altresì, da basilari esigenze di celerità ed efficacia dell’azione amministrativa (si veda l’applicazione del criterio maggioritario ogniqualvolta sia necessario il concorso di più enti pubblici per il raggiungimento di una certa decisione, ossia attraverso il comune strumento della conferenza di servizi).

SPL e conferimento di rami d’azienda

Consiglio di Stato, sez. V, 19 luglio 2023, n. 7079

Servizi pubblici – Conferimento di rami d’azienda – Titolarità affidamenti

Il conferimento di rami d’azienda garantisce la continuità gestionale, ricevendo il conferitario dal conferente il trasferimento di tutte le componenti aziendali necessarie a svolgere le attività in precedenza gestite (nel senso dell’art. 2555 Cod. civ. e per gli effetti di cui al successivo art. 2558 Cod. civ.). Per l’effetto, nel caso di conferimento di rami d’azienda relativi alla gestione di servizi pubblici, non si verifica alcun trasferimento o cessione della titolarità degli affidamenti, in quanto l’azienda che gestisce il servizio pubblico rimane sempre la stessa, mutando solamente la veste giuridica nella quale l’azienda stessa è inserita.

Con il conferimento di rami d’azienda, non si verifica alcun caso di cessione o subentro nell’affidamento del servizio pubblico, dovendosi parlare di operazioni assimilabili ad ipotesi di riorganizzazione societaria del concessionario.