Urbanistica/edilizia

Luoghi di culto e mutamento di destinazione d’uso

Consiglio di Stato, sez. III, 9 dicembre 2024. n. 9823

Intervento di nuova costruzione – Creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali Titolo edilizio – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Istruttoria – Legge regionale Lombardia – Oneri di urbanizzazione – Ratio

La legittima applicazione dell’art. 52, comma 3 -bis l. r. Lombardia n. 12 del 2005, secondo cui i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire, postula un accertamento concreto dell’aumento del carico urbanistico determinato dalla nuova destinazione d’uso rispetto a quella pregressa. Conseguentemente è illegittimo il provvedimento comunale che ordini il ripristino relativamente al cambio di destinazione d’uso senza opere, da laboratorio artigianale a luogo di culto, in assenza di adeguata istruttoria circa l’effettivo aumento del carico urbanistico.

L’accertamento del maggiore carico urbanistico, che giustifica la necessità del permesso di costruire e la corresponsione dei relativi oneri di urbanizzazione, assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.

Sanatoria degli abusi “minori”

Consiglio di Stato, sez. II, 19 novembre 2024, n. 9263

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Vincoli ambientali e paesaggistici – Interventi legittimi – Accertamento di conformità urbanistica – Competenza

L’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 consente in casi eccezionali la sanatoria ex post degli abusi “minori” nelle zone sottoposte a vincolo ambientale e paesaggistico e attiene ad opere che, oltre a non prevedere aumenti di volume o di superficie, rientrino comunque nelle categorie dei lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria. Non è sostenibile, sul piano logico, prima ancora che giuridico, che la realizzazione di un fabbricato in cemento armato sia priva di impatto sul piano paesaggistico e integri un abuso minore suscettibile di sanatoria in via postuma.

Potere d’intervento in autotutela c.d. “tardivo”

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 15 novembre 2024, n. 6291

Titolo edilizio – SCIA – Potere di intervento in autotutela c.d. “tardivo” – Condizioni – Comunicazione di avvio del procedimento

Ai fini del legittimo esercizio del potere di intervento in autotutela c.d. “tardivo” sulla segnalazione certificata di inizio attività è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, l’Autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Solo laddove il titolo abilitativo sia stato ottenuto in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, è consentito all’amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa.

La classificazione delle piscine come pertinenza o nuova opera

C.G.A.R.S., sez. giurisdizionale, 26 novembre 2024, n. 926

Intervento di nuova costruzione – Realizzazione di una piscina – Classificazione edilizia – Pertinenzialità – Accertamento

Una piscina di non rilevanti dimensioni e realizzata interamente in una proprietà privata costituisce pertinenza e non nuova opera edilizia, non potendosi invece determinare la classificazione edilizia della piscina sulla base di astratte affermazioni di principio, ma essendo necessario esaminare, volta per volta, le specifiche caratteristiche e dimensioni delle opere in scrutinio.

Ai fini dell’accertamento in concreto delle non rilevanti dimensioni di una piscina, sì da poterla considerare pertinenza edilizia, deve aversi riguardo non all’unità di misura del metro quadrato (ossia la superficie dello specchio acqueo), bensì al metro lineare (vale a dire la lunghezza del massimo segmento di retta percorribile da un nuotatore tra i due punti più distanti della piscina), in quanto il carattere di pertinenzialità di una piscina va ancorato, essenzialmente, alla sua inidoneità al nuoto agonistico, preagonistico o anche solo amatoriale, perciò la lunghezza massima non andrà misurata su una sponda della piscina, bensì secondo la diagonale maggiore (per le strutture quadrate, rettangolari o trapezzoidali) o secondo il diametro massimo (per le strutture circolari, ellittiche, tondeggianti o, più in generale, per quelle di forma irregolare); su tali basi, devono ritenersi inidonee al nuoto, anche amatoriale, e dunque classificabili come pertinenze, le piscine in cui la massima misura riscontrabile sia contenuta in un segmento di retta di lunghezza non eccedente m. 12,00, quale lunghezza pari alla metà della metà di quella delle piscine utilizzate per uso agonistico (le cui dimensioni sono 50 metri in lunghezza, 25 in larghezza e una profondità costante di 2 metri) che è di m. 12,50, nonché di profondità inferiore a m. 2,00, al fine di non consentirne qualsivoglia uso (subacqueo) o funzione (sportiva) che non sia meramente accessoria all’edificio principale.

Ristrutturazione di ruderi e titolo edilizio

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 12 novembre 2024, n. 166

Titolo edilizio – Ristrutturazione e ricostruzione di ruderi – Caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente – Immobili realizzati in data anteriore al 1967 – Documentazione a comprova della consistenza della precedente costruzione – Contenuti

Con riferimento all’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, a partire dall’art. 30, primo comma, del d.l. n. 69 del 2013 convertito con legge n. 98 del 2013, la categoria della ristrutturazione è estesa anche “al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza…..” e dunque è superato il rigore precedentemente espresso quanto all’ammissibilità della ricostruzione di ruderi solo in caso di espressa previsione, negli strumenti urbanistici, della categoria di intervento corrispondente alla nuova costruzione; ciò purché l’edificio preesistente abbia le stesse dimensioni di quello crollato.

Le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente devono essere determinabili (fra cui volumetria, altezza e struttura complessiva), con la conseguenza che anche la mancata dimostrazione di uno solo di questi elementi determina l’insussistenza del requisito previsto dalla norma.

La preesistente consistenza non può essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma deve invece basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili.

Quando si tratta di immobili realizzati in data anteriore all’anno 1967, allorquando la realizzazione di nuove costruzioni non presupponeva il rilascio di un titolo edilizio, per la dimostrazione delle caratteristiche essenziali dell’edificio, l’amministrazione non (può) pretendere la produzione di progetti aventi data certa che dimostrino, con assoluta precisione, tutte le caratteristiche dimensionali dell’edificio crollato, posto che questa pretesa renderebbe di fatto inapplicabile la norma di cui all’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R n. 380 del 2001 per gli immobili edificati prima dell’anno 1967. Per questi immobili, occorre quindi ammettere la possibilità di fornire in modo diverso la dimostrazione della preesistente consistenza, producendo prove che inevitabilmente non possiedono quel grado di precisione che caratterizza la documentazione progettuale.

La documentazione prodotta a comprova della consistenza del precedente edificio da ricostruire deve essere idonea a dimostrare, quantomeno secondo un criterio di attendibilità, gli elementi essenziali dell’immobile diruto.

Classificazione delle aree e imposta sostitutiva di affrancamento

Consiglio di Stato, sez. IV, 5 novembre 2024, n. 8854

Pianificazione urbanistica – Classificazioni delle aree – Discrezionalità del Comune – Imposta sostituiva di affrancamento – Non rilevanza

È legittima la delibera del consiglio comunale che attribuisca ad un’area una classificazione che ne escluda l’originaria capacità edificatoria, a ciò non ostando che il privato abbia versato l’imposta sostituiva di affrancamento, prevista dall’art. 7 della legge n. 448 del 28 dicembre 2001, calcolata assumendo, “in luogo del costo o valore di acquisto” del terreno, “il valore a tale data determinato sulla base di una perizia giurata di stima”, in quanto, al tempo, detti beni possedevano la qualifica di edilizi ed erano soggetti al loro sfruttamento in quanto tali; in base ad una successiva scelta – da ritenersi razionale nel contemperamento degli interessi connessi alla riduzione del consumo di suolo ed al suo razionale sfruttamento – il Comune nella sua potestà pianificatoria ha fissato un criterio logico, quale quello temporale, per lo stralcio dal piano regolatore generale che ha comportato una modifica della destinazione.

Convenzioni urbanistiche e sopravvenienze

Consiglio di Stato, sez. IV, 11 novembre 2024, n. 9014

Convenzioni urbanistiche – Sopravvenienze – Rilevanza – Rinegoziazione – Buona fede – Obbligo di provvedere in capo alla parte pubblica

In presenza di un esercizio consensuale del potere pubblico, la legge o la buona fede possono imporre un obbligo di provvedere, senza che ciò escluda la natura bilaterale che connota gli accordi. L’accordo in questione è infatti stipulato nell’esercizio di un potere pubblico, con la conseguenza che l’attributo indefettibile di tale situazione giuridica non è quello della libertà, proprio della autonomia negoziale, bensì della doverosità cui si ricollega l’obbligo di provvedere nei casi in cui sussista una posizione differenziata e qualificata di pretesa ad una pronuncia espressa sulla proposta di stipula dell’accordo.

In presenza di circostanze sopravvenute rilevanti, il privato può chiedere al Comune di rinegoziare i contenuti della convezione urbanistica o di singole sue parti, in applicazione del principio di buona fede e correttezza ex art. 1375 c.c., richiamato dall’art. 11, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in forza del rinvio ivi contenuto ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti. Inoltre, avendo il privato una posizione qualificata e differenziata in quanto parte dell’accordo, in presenza di una istanza di riesame dei contenuti della convenzione, motivata in ragione di circostanze sopravvenute, è ben possibile configurare un obbligo di provvedere in capo alla controparte pubblica, che non necessariamente sarà tenuta ad assicurare il bene della vita cui aspira la parte privata ma che dovrà, in ogni caso, istruire l’istanza e motivare le proprie determinazioni nel rispetto del canone generale di ragionevolezza e di proporzionalità.

Non sussiste obbligo di provvedere del Comune sulla istanza di rinegoziazione di una convenzione di lottizzazione in presenza di circostanze sopravvenute rilevanti, qualora l’ente locale abbia in passato reiteratamente ribadito il proprio interesse alla piena e integrale attuazione dell’accordo, nei termini originariamente concordati, a fronte dell’inadempimento del lottizzante principale nella esecuzione delle opere di urbanizzazione. Difatti, in tale situazione non è configurabile alcun obbligo di buona fede e di cooperazione in capo al Comune che subisce una situazione di grave e persistente stallo, in pregiudizio dell’interesse pubblico alla corretta pianificazione dell’area. Peraltro, qualora le opere pubbliche dedotte in convenzione risultino funzionali alla urbanizzazione dei lotti di proprietà di altri contraenti (lottizzanti minori), è la stessa natura di accordo plurilaterale che osta ad una rinegoziazione della convenzione sui cui contenuti ed obblighi altre parti fanno, da tempo, affidamento per poter esercitare lo ius aedificandi inerente ai suoli in loro proprietà ricompresi nel medesimo comparto.

Impianti solari fotovoltaici sugli edifici e titolo edilizio

Consiglio di Stato, sez. VII, 9 ottobre 2024, n. 8113

Intervento di nuova costruzione – Installazione di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici – Titolo edilizio – Regime derogatorio ex art. 9 d. l. n. 17/2022 – Condizioni – Ratio

L’art. 9 del decreto legge 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 – secondo cui l’installazione “con qualunque modalità” di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – non prevede una illimitata facoltà di deroga a tutte le norme del testo unico sull’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 che sarebbe contraria ai criteri previsti in tema di concorso fra norme di pari grado che regolano la medesima fattispecie e all’interesse pubblico al corretto sviluppo dello sfruttamento edilizio del territorio. Pertanto, la tendenziale derogabilità alle norme in materia edilizia prevista dall’articolo 9 vale solo: i) allorquando l’interessato dimostri di non avere possibilità alternative, cioè tecnicamente equivalenti, di installazione in altri luoghi; ii) a condizione che non si ottengano indebiti incrementi di volumetrie e superfici utilizzabili per altri scopi, che non siano strettamente connessi ad esigenze tecniche perché, in quest’ultimo caso, l’intervento comunque richiede il necessario titolo edilizio.

L’art. 9 del decreto legge 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 – secondo cui l’installazione “con qualunque modalità” di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – mira a consentire la semplificazione dell’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili su edifici già esistenti e non può essere inteso nel senso di ammettere la realizzazione di qualunque intervento di nuova edificazione alla sola condizione che la stessa ospiti tra l’altro un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Convenzioni urbanistiche e criteri interpretativi

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 13 novembre 2024, n. 3185

Convenzioni urbanistiche – Criteri interpretativi – Variazioni unilaterali delle obbligazioni contrattuali – Principi di affidamento e buona fede – Riequilibrio delle previsioni della convenzione – Interlocuzioni informali fra parti lottizzanti e Uffici comunali – Irrilevanza

Per procedere all’interpretazione delle clausole convenzionali, devono essere applicati i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., i quali, oltre che per l’interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990, in ragione del richiamo, da parte del comma 2 della suddetta disposizione, ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto compatibili”. Il primo e principale strumento di interpretazione della convenzione è il senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, da verificarsi alla luce dell’intero contesto, ponendo le singole clausole in correlazione tra loro ai sensi dell’art. 1363 cod. civ., in quanto per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale.

La necessità di salvaguardare l’equilibrio dei rapporti contrattuali anche in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, impone di assumere come lesiva della posizione giuridica del Comune e dei suoi interessi la determinazione delle lottizzanti di procedere ad indebite variazioni unilaterali delle obbligazioni assunte contrattualmente.

Del resto, anche laddove il riequilibrio delle previsioni della convenzione si renda necessario per il sopravvenire di circostanze che aggravano la posizione di uno dei contraenti, ciò non può avvenire sulla base di un intervento unilaterale di quest’ultimo, bensì soltanto in esito alla rinegoziazione tra le parti, secondo buona fede, delle prestazioni oggetto delle obbligazioni che non possano più essere adempiute nel modo originariamente convenuto.

Risultano irrilevanti al fine di verificare il rispetto delle clausole convenzionali le interlocuzioni di carattere assolutamente informale intervenute tra le parti lottizzanti e gli Uffici comunali.

L’ordinanza di demolizione e l’autore dell’abuso

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 14 novembre 2024, n. 20231

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Natura giuridica – Realità – Onere motivazionale attenuato – Applicabilità art. 21-octies, comma 2, L. 241/90 – Ingiunzione alla rimozione o alla demolizione – Acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale – Proprietario non responsabile dell’abuso

L’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e vincolato in quanto va adottata al ricorrere dell’accertamento dell’illecito, senza che il decorso del tempo abbia rilevanza, sicché l’obbligo della motivazione – inteso nella sua essenzialità – è sufficientemente assolto con l’indicazione dei presupposti di fatto attraverso i quali sia comunque possibile ricostruire l’iter logico seguito dall’amministrazione. La demolizione inoltre ha carattere reale in quanto prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante, dovendo essere emanata anche nei confronti di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento della sua emanazione in un rapporto con la res tale da consentire la restaurazione dell’ordine giuridico violato.

La natura vincolata del provvedimento di demolizione fa sì che, in caso di violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, trova applicazione l’art. 21-octies, comma 2, cit., secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la “natura vincolata del provvedimento”, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Ai sensi dell’art. 31, comma 2, d.p.r. n. 380/2001, il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, “ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione” (che ha natura di obbligazione propter rem).

È vero che l’art. 15, comma 5, della l.r. n. 15/2008, prevede che “Non si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2 ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso”.

Tuttavia, tale previsione riguarda unicamente l’acquisizione dell’area in cui l’abuso è stato realizzato e non preclude la demolizione dell’abuso a carico dell’autore materiale dell’abuso e del proprietario dell’immobile in cui l’abuso è stato realizzato; è semmai il proprietario dell’immobile, laddove assume non avere alcuna responsabilità nella violazione edilizia, a dover far valere la dedotta violazione dell’art. 15, comma 5, della l.r. n. 15/2008, in occasione dell’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale.