Urbanistica/edilizia

Edificazione disomogenea

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 22 novembre 2023, n. 3470

Pianificazione urbanistica – Piani attuativi – Tiolo edilizio – Silenzio-assenso – Attività vincolata – Preavviso di rigetto – Edificazione disomogenea

In assenza di pianificazione attuativa, è possibile l’edificazione nel caso, pressoché di scuola, in cui un terreno di ridotte dimensioni sia completamente circondato da edifici.

L’intervento costruttivo diretto può essere consentito purché venga accertata la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall’attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico. Invero, lo strumento urbanistico attuativo deve considerarsi superfluo una volta che è stata raggiunta la piena edificazione e urbanizzazione della zona interessata, raggiungendo, in tal modo, lo scopo e i risultati perseguiti dai piani attuativi.

Il silenzio-assenso in tema di permesso di costruire non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione e dell’adempimento degli oneri documentali necessari per l’accoglimento della domanda, essendo necessario che il privato dia, altresì, prova della sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi a cui è subordinato il rilascio del titolo edilizio, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo, la conformità dell’intervento progettato alla normativa urbanistico-edilizia. Con la conseguenza che non può dirsi formato il silenzio-assenso sull’istanza di permesso di costruire quando difettino i presupposti della richiesta attività edificatoria, ovvero quando l’istanza non sia stata accompagnata da tutti i requisiti previsti dalla legge potendo, in tal caso, il Comune provvedere negativamente anche con provvedimento tardivo.

Il potere amministrativo esercitato dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire costituisce attività vincolata, sostanziandosi in un esame della conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona, con la conseguenza della superabilità dei vizi meramente procedimentali.

L’amministrazione non ha un onere di confutare analiticamente le prospettazioni dell’istante a seguito del preavviso di rigetto e ciò a prescindere dal fatto che, con il provvedimento di conferma impugnato in sede di motivi aggiunti, l’intimata amministrazione abbia ampiamente argomentato in ordine al fatto che, nel caso di specie, non possa discutersi né di lotto intercluso, né di area residua.

In termini generali, laddove vi sia un’edificazione disomogenea, ci si trova di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona, con la conseguenza che: a. quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento; b. in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l’esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa se non alle suindicate condizioni che, come già visto, nel caso di specie non ricorrono; c. all’assenza del piano attuativo non può sopperirsi con l’imposizione di opere di urbanizzazione all’atto del rilascio del titolo edilizio.

Nuova costruzione e ristrutturazione

Tar Calabria, Reggio Calabria, 21 novembre 2023, n. 834

Intervento di nuova costruzione – Differenze dalla ristrutturazione – Vincoli ambientali e paesaggistici

In base all’art. 3, T.U. 380/2001, la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia presenta carattere eterogeneo, coesistendo, al suo interno, non soltanto quelli che danno luogo ad un “organismo edilizio” anche in tutto diverso dal precedente, ma anche quelli di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.

Nell’ambito di quest’ultima tipologia, il legislatore si è premurato di prevedere alcuni pregnanti limiti all’esplicazione dell’attività edilizia privata, ove essa vada ad impattare su preminenti interessi di matrice pubblicistica, prescrivendo, infatti, con riferimento agli immobili “sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, l’obbligo del mantenimento di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente”, nonché il divieto di incremento della volumetria.

L’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella trasformazione del territorio già compiuta, che può avvenire con due modalità operative, una conservativa e una sostitutiva della preesistente struttura fisica, mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/01, rientrano all’interno della categoria della ristrutturazione anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria rispetto all’edificio preesistente, senza necessità di identità di sagoma, a seguito dell’introduzione della legge n. 98/2013. È, infatti, in ipotesi di ricostruzione con volumetria diversa che si esce dall’ambito della ristrutturazione e si rientra nell’ambito della nuova edificazione di cui alla lettera e) del suddetto articolo 3, comma 1, del DPR n. 380/01.

Solo fino alla modifica apportata agli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380/2001 ad opera del d.l. n. 69/2013, convertito in L. n. 98/2013, la “ristrutturazione ricostruttiva” richiedeva, oltre alla preesistenza certa del fabbricato identificabile nelle sue componenti strutturali (c.d. demoricostruzione), anche l’identità di volumetria e di sagoma, vertendosi, in caso contrario, nella fattispecie della “nuova costruzione”; dopo la novella, di contro, l’identità di sagoma non costituisce più una condizione necessaria di tale tipologia di intervento edificatorio, salvo non ricorrano ipotesi derogatorie.

Le “pergotende”

Consiglio di Stato, sez. VI, 14 novembre 2023, n. 9751

Titolo edilizio – Ristrutturazione edilizia – Inserimento di nuovi impianti e ridistribuzione dei volumi – Nozione di “pergotenda”

Gli interventi che alterino l’originaria consistenza fisica dell’immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia.

Per aversi una “pergotenda” l’opera principale deve essere costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

Lo “spazio religioso” nella pianificazione urbanistica

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 14 novembre 2023, n. 837

Pianificazione urbanistica – Libertà religiosa – Nozione di “spazio religioso”

L’azione amministrativa di governo del territorio incide su complesse “zolle sociali” involgenti diritti di rilievo costituzionale. Tra questi, un particolare livello di tutela risulta approntato per la libertà religiosa,

garantita dall’art. 19 Cost. che sostanzia un diritto inviolabile e tutelato al massimo grado dalla Carta Costituzionale.

La libertà di culto postula il diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare; tale pretesa, di diretta derivazione costituzionale, impone alle autorità pubbliche, su cui incombe il compito di regolare e gestire l’uso del territorio, di mettere a disposizione spazi pubblici per le attività religiose e di impedire che si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati, evitando discriminazioni per le varie confessioni nell’accesso agli spazi pubblici.

Se una comunità religiosa non può disporre di un luogo in cui praticare il proprio culto, il suo diritto di manifestare la propria religione diventa privo di sostanza, pertanto, la pretesa all’ottenimento o al mantenimento di un edificio di culto rappresenta un aspetto interno alla libertà religiosa.

Nell’ambito dei compiti, assegnati agli enti istituzionali, sussumibili nella nozione di “governo del territorio” rientra anche il potere di delimitazione dello “spazio religioso”, ovvero, uno spazio comune in cui il credo che accomuna un gruppo di individuarsi possa coagularsi e in tal modo esplicarsi nelle forme collettive e partecipative del culto.

Le determinazioni amministrative dirette ad assegnare determinate aree del territorio urbano alla professione di culti religiosi devono essere rivolte non solo a perseguire l’interesse al migliore e più efficiente assetto del territorio, ma anche l’interesse costituzionalmente protetto dell’individuo e dei gruppi, a manifestare la libertà religiosa, in tutti i suoi profili: le scelte costituenti espressione del potere di pianificazione, incidenti sul concetto di “spazio religioso”, devono essere adottate nel rispetto delle coordinate costituzionali, in modo da non comprimere, senza motivo, le libertà religiose, ovvero da non impedire od ostacolare irragionevolmente la possibilità di realizzare luoghi pubblici di culto, o di esercitare il culto nei luoghi privati, anche in forma collettiva.

Pianificazione urbanistica e oneri motivazionali

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 13 novembre 2023, n. 2620

Pianificazione urbanistica – Discrezionalità – Onere motivazionale attenuato – Aree destinate a parcheggio pubblico – Vincoli espropriativi e conformativi

La previsione che impone la realizzazione di un parcheggio, pur se l’infrastruttura è posta in prossimità di esercizi commerciali privati, integra una previsione di interesse pubblico, siccome posta a presidio dell’ordinata circolazione stradale e della piena fruibilità dell’area, interessi certamente riferibili a tutta la collettività.

Le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che siano inficiate per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle scelte effettuate e non richiedono una motivazione puntuale, che ponga in comparazione gli interessi pubblici perseguiti dall’ente pianificatore con quelli confliggenti dei privati.

Le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree; pertanto, seppure l’Amministrazione è tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano.

L’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.

La destinazione a parcheggio pubblico impressa in base a previsioni di tipo urbanistico, non comportando automaticamente l’ablazione dei suoli ed, anzi, ammettendo la realizzazione anche da parte dei privati, in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all’uso pubblico costituisce vincolo conformativo e non anche espropriativo della proprietà privata per cui la relativa imposizione non necessita della contestuale previsione dell’indennizzo, né delle puntuali motivazioni sulle ragioni poste a base della eventuale reiterazione della previsione stessa. Più in generale, va attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo, al contrario, la realizzazione di interventi da parte dei privati.

Destinazione d’uso e carico urbanistico

Consiglio di Stato, sez. VII, 13 novembre 2023, n. 9719

Titolo edilizio – Mutamento destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Risultanze catastali – Parere della commissione edilizia – Natura giuridica

L’avvenuto accatastamento di un immobile ha valenza a fini fiscali e non vale a legittimare, sotto il profilo edilizio, gli interventi eseguiti. Alle risultanze catastali, infatti, non può essere riconosciuto un autonomo valore probatorio anche ai fini dell’individuazione dell’effettiva destinazione d’uso.

In assenza di un’espressa disposizione di legge, la categoria catastale relativa all’intero compendio immobiliare non può assumere valore probante di una destinazione d’uso del singolo manufatto diversa da quella costantemente emergente dalle planimetrie catastali.

Il cambio di destinazione d’uso di un preesistente manufatto non richiede alcun titolo abilitativo nel solo caso in cui si realizzi fra categorie edilizie omogenee; viceversa, il cambio di destinazione che interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta a permesso di costruire. Ne discende che qualsiasi modifica edilizia tale da variare le oggettive attitudini funzionali del bene determina un cambio di destinazione d’uso. La comunicazione del parere della commissione edilizia è atto tipicamente endoprocedimentale del tutto privo di una propria autonomia funzionale e strutturale e non può avere, anche implicitamente, un rilievo autorizzatorio, in quanto solo il perfezionamento dell’iter normativo può consentire la legittima edificazione. Il procedimento amministrativo preordinato al rilascio di una concessione edilizia, infatti, può ritenersi concluso solo quando il sindaco non si limiti a comunicare all’interessato il parere favorevole della commissione edilizia comunale, ma ne faccia proprie le determinazioni, formulando la nota come comunicazione di accoglimento dell’istanza e del rilascio della concessione secondo specifiche condizioni e prescrizioni.

SCIA e veridicità delle dichiarazioni

Tar Puglia, Bari, sez. I, 11 novembre 2023, n. 1321

Titolo edilizio – SCIA – Onere contenutistico e documentale

Presupposto indefettibile perché una S.C.I.A. possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nelle autocertificazioni e asseverazioni. In particolare, la S.C.I.A. edilizia in sostituzione del permesso di costruire deve essere corredata da una completa, veritiera e dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseverino la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché deve garantire il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie, come richiesto dall’art. 23, c. 1 del d.P.R. n. 380/2001.

In presenza di una dichiarazione inesatta e/o incompleta e/o non veritiera e/o erronea (dolosamente o colposamente), la S.C.I.A. – anche in alternativa al permesso di costruire – non si perfeziona, sicché ben può l’Amministrazione accertare e dichiarare, in qualunque momento, l’inefficacia della segnalazione.

Le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzate le regole garantistiche per l’esercizio dell’autotutela, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, precisati, in particolare, all’art. 23, c. 1 del d.P.R. n. 380/2001, in assenza dei quali la S.C.I.A. (e, prima, la D.I.A.) resta inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate – da ritenere prive di titolo – agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.

Abuso edilizio e sanatoria processuale

Tar Lazio, Roma, sez. IV ter, 8 novembre 2023 n. 16595

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Preavviso di rigetto – Onere probatorio rafforzato

Ferma la necessità del preavviso di rigetto anche in materia di condono edilizio, la regola contenuta dell’art. 21 octies 241/90 che esclude l’applicabilità della c.d. sanatoria processuale del provvedimento annullabile in caso di violazione delle garanzie partecipative offerte dall’art. 10 bis, si applica ai soli provvedimenti discrezionali. Inoltre, in caso di procedimenti vincolati, quale quello di condono edilizio, grava sull’istante l’onere di dimostrare che l’apporto fornito in sede procedimentale avrebbe potuto influire sul provvedimento finale. In questo senso, l’art. 21 octies della l. n. 241/90 introduce un onere di allegazione e probatorio “rafforzato” a carico del privato che intende far valere la violazione delle garanzie partecipative offerte dall’art. 10 bis.

Tettoie e titoli edilizi

Tar Campania, Napoli, sez. IV, 8 novembre 2023, n. 6151

Titolo edilizio – Intervento di ristrutturazione edilizia – Tettoia

Con riguardo alle strutture poste in aree esterne, una tettoia di rilevanti dimensioni che determini un’evidente alterazione dello stato dei luoghi e incida sull’assetto edilizio precedente, sì da integrare gli estremi dell’intervento di ristrutturazione edilizia, comportante modifica della volumetria e della sagoma complessive dell’edificio, determina la realizzazione di un organismo edilizio diverso dal precedente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380 del 2001, necessitante, ai fini di una legittima realizzazione, del titolo abilitativo espresso, conformemente al disposto dell’art. 10, comma 1, lett. c), del medesimo d.P.R.

Abusi edilizi e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. VI, 8 novembre 2023, n. 9612

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Epoca di realizzazione del manufatto – Onere probatorio – Prova testimoniale

In via generale, va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l’onere di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c. d. legge “ponte” n. 761 del 1967, che con l’art. 10, novellando l’art. 31 della l. n. 1150 del 1942, ha esteso l’obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano. Ciò non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.

Infatti, solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori, che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio. La prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate.

Nelle controversie in materia edilizia, la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo.

Laddove si versi in materia di repressione degli abusi edilizi, grava sull’amministrazione l’onere di adeguata istruttoria relativamente all’epoca di edificazione del manufatto ai fini della individuazione del regime giuridico applicabile alla fattispecie concreta, fermo restando, secondo l’ordinario criterio di riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), che è sul privato che afferma una diversa epoca di realizzazione del manufatto che incombe l’onere di provare la risalenza dell’immobile ad epoca anteriore.