Urbanistica/edilizia

Mutamento destinazione d’uso e abuso edilizio

Consiglio di Stato, sez. II, 9 settembre 2024, n. 7486

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Rapporti – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico

La presentazione della richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, ma solo sulla sua efficacia. Pertanto, in caso di rigetto dell’appello, l’efficacia degli atti impugnati in primo grado rimarrebbe sospesa fino alla pronuncia del Comune sulla nuova domanda la quale, se favorevole per il privato, rappresenterebbe una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento, mentre, se sfavorevole, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino.

È incensurabile – ed è anzi un atto doveroso e a contenuto vincolato – la decisione del Comune d’intimare il ripristino dello stato dei luoghi a fronte di intervento qualificabile come ristrutturazione edilizia per la quale era necessario il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi del mutamento della destinazione d’uso di un immobile che comporta un aumento del carico urbanistico, con la conseguenza che, in mancanza del titolo, si applica l’art. 33 del medesimo d.P.R., che prevede appunto la rimozione delle opere abusive.

Il mutamento da deposito ad abitazione comporta un cambio tra categorie funzionalmente autonome e non omogenee, sanzionabile con la misura ripristinatoria.

Ordinanza di demolizione

Tar Campania, Napoli, sez. III, 16 settembre 2024, n. 4974

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Destinatari -Presupposti – Destinatari – Inottemperanza – Prova liberatoria – Decorso temporale – Irrilevanza – Onere motivazionale attenuato – Affidamento del privato – Rapporto tra natura vincolata del provvedimento e garanzie partecipative – Certificato di agibilità – Natura giuridica – Finalità – Accertamento della conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie – Rapporti – Atto amministrativo plurimotivato – Onere probatorio del carattere risalente del manufatto – Nozione di “gazebo”

Non può avere rilievo, ai fini della validità dell’ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e la conclusione dell’iter sanzionatorio. La mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’Amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria. Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento. Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse.

Né ai fini della ritenuta legittimità del provvedimento impugnato rileva la circostanza che la citata ordinanza di chiusura dell’attività sia stata adottata unicamente per insussistenza del certificato di agibilità. Ciò per la risolutiva circostanza che trattasi di provvedimenti aventi presupposti diversi e ai fini dell’adozione dell’ordinanza di chiusura dell’attività deve ritenersi sufficiente l’insussistenza del certificato di agibilità: il certificato di agibilità è pre-requisito necessario per lo svolgimento di qualsiasi attività, che – in difetto – può essere inibita.

In questo senso, non soltanto in base al combinato disposto degli artt. 24, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 e 35, comma 20, della L. n. 47/1985 l’accertamento della conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, ma ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come tale, potenzialmente in contrasto con la tutela della pluralità d’interessi collettivi alla cui protezione la disciplina è preordinata.

Ed invero, pur essendoci un collegamento funzionale tra i due tipi di provvedimenti, atteso che il rilascio del certificato di agibilità, ora segnalazione certificata di agibilità, presuppone la conformità delle opere al permesso di costruire – tra i diversi presupposti essenziali di validità dell’agibilità troviamo anche l’avvenuta esecuzione dell’opera in conformità al progetto presentato ai sensi dell’art. 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 – trattasi di provvedimenti autonomi.

È legittimo l’annullamento della segnalazione certificata di agibilità a seguito del provvedimento di chiusura di un’attività agrituristica e dell’ordinanza di demolizione di opere realizzate in difformità ai titoli posseduti.

Nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto la fondatezza anche di una sola di esse, il che comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici, atteso che, seppur tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l’interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato.

È posta in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l’onere di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta. Ciò vale non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.

Infatti, solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio.

Vero è che si ammette un temperamento di tale regola nel caso in cui il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti, seppure non univocamente probanti (ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti). A tal fine, è necessaria la produzione di documentazione oggettivamente comprovante l’epoca di realizzazione del manufatto.

Per “gazebo” si intende, nella sua configurazione tipica, una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili.

Devono essere espressi i seguenti principi di diritto:

a) ai sensi dell’art. 31, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 l’ordinanza di demolizione ha come destinatari il proprietario ed il responsabile dell’abuso, in forma non alternativa, ma congiunta e simultanea, così rendendo palese che entrambi questi soggetti sono chiamati a ripristinare il corretto assetto edilizio violato dall’abuso;

b) il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di demolizione non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario, che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi; il soggetto passivo dell’ordine di demolizione viene, quindi, individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta; pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità;

c) l’ordine di natura reale è, quindi, correttamente rivolto al proprietario a prescindere dalla responsabilità dello stesso nella realizzazione dell’illecito che investe il diverso tema relativo alla sanzione amministrativa o al provvedimento acquisitivo;

d) in materia di abusi edilizi, il proprietario di un manufatto abusivo, per sottrarsi alle conseguenze dell’ordine di demolizione rimasto inottemperato, deve dimostrare non soltanto la propria estraneità alla commissione degli abusi e la messa in pratica di tutte le misure offerte dall’ordinamento per impedire gli abusi stessi, ma anche di aver intrapreso tutte le iniziative idonee a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa, attivandosi anche nei confronti del soggetto che abbia la disponibilità del bene per costringerlo ad eseguire la demolizione;

e) nel caso in cui il soggetto nei cui confronti sia stato emesso un ordine di demolizione dimostri, in maniera inconfutabile, di aver attivato tutti gli strumenti predisposti dall’ordinamento per sottrarre l’immobile abusivo al vincolo esistente e provvedere al ripristino dell’ordine giuridico violato, può ritenersi esclusa la volontarietà dell’inottemperanza.

L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti integrano atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto.

Al riguardo occorre precisare che, quanto al rapporto tra natura vincolata del provvedimento e garanzie partecipative, deve ritenersi illegittima la mancata comunicazione di avvio del procedimento che porta all’adozione di un atto di natura vincolata ove la situazione sottesa si dimostri particolarmente complessa.

Abuso, istanza in sanatoria e ordine di demolizione

Tar Basilicata, Potenza sez. I, 30 settembre 2024, n. 479

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Silenzio rigetto – Effetti – Ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Efficacia – Natura giuridica – Presupposti – Destinatari

L’omessa impugnazione del silenzio rigetto ex art. 36 DPR n. 380/2001 comporta il consolidamento della posizione lesiva a danno della persona, alla quale è stata ingiunta la demolizione.

La presentazione di un’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/2001 non determina la definitiva cessazione di efficacia del precedente ordine di demolizione, ma soltanto una sospensione e/o quiescenza temporanea di efficacia dell’atto sanzionatorio, in quanto: A) se l’istanza di sanatoria viene respinta con provvedimento espresso o con silenzio rigetto, formatosi dopo 60 giorni, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, ma era solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale iniziato con la citata istanza ex art. 36 DPR n. 380/2001, senza la necessità di adottare ulteriori provvedimenti di demolizione, fermo restando che, in caso di reiezione esplicita o implicita dell’istanza di sanatoria, il soggetto istante deve poter usufruire dell’intero termine ex art. 31, comma 3, DPR n. 380/2001 di 90 giorni, per eseguire spontaneamente l’ordine di demolizione ed evitare il trasferimento del bene e dell’area di sedime al Comune, mediante la sospensione del suo decorso fino all’esito espresso o tacito dell’istanza di sanatoria (più precisamente il predetto termine di 90 giorni va calcolato, sommando il periodo decorrente dalla ricezione dell’ordinanza di demolizione fino alla proposizione dell’istanza di sanatoria ed il periodo decorrente dalla ricezione del provvedimento espresso di rigetto dell’istanza di sanatoria o dal compimento del 60° giorno nel caso di silenzio rigetto fino al compimento dei predetti 90 giorni); B) poiché il procedimento avviato con la domanda di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/2001 (volto a verificare la compatibilità urbanistica dell’intervento edilizio abusivo) è un procedimento del tutto autonomo da quello precedente, avviato d’ufficio e conclusosi con l’ingiunzione di demolizione, non vi sono motivi per imporre all’Amministrazione comunale l’obbligo di riesercitare il potere sanzionatorio a seguito dell’esito negativo dell’istanza di sanatoria, anche perché l’ordine di demolizione a suo tempo emanato costituisce un provvedimento vincolato sul quale non interferisce minimamente l’atto di rigetto (esplicito o implicito) dell’istanza di sanatoria; C) l’opposta tesi, secondo cui la mera presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/2001 fa perdere ogni effetto al precedente provvedimento di demolizione, comporta l’illogica e paradossale conseguenza, che anche il secondo provvedimento di demolizione (emanato dopo la reiezione dell’istanza di sanatoria) potrebbe essere neutralizzato da un’altra istanza ex art. 36 DPR n. 380/2001 e così via in un continuo alternarsi di ingiunzioni di demolizioni e domande di sanatoria, paralizzante dell’azione amministrativa di repressione degli abusi edilizi.

L’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, perché la sanzione demolitoria ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell’abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria, disciplinato dagli artt. 33 e 34, comma 2, DPR n. 380/2001 soltanto con riferimento alle ristrutturazioni edilizie abusive o in totale difformità ed agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, deve essere verificato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente deve emanare l’ordine di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dal permesso di costruire.

Ai sensi dell’art. 31, comma 2, DPR n. 380/2001, diversamente dalla responsabilità penale, l’ingiunzione della demolizione degli abusi edilizi va disposta anche nei confronti del proprietario dell’immobile non responsabile, sia perché ha il potere di rimuovere concretamente gli abusi edilizi, sia perché si tratta di una sanzione non di tipo “personale”, ma di tipo “reale” e/o “ripristinatorio”, avendo la finalità di assicurare l’effettività del prevalente interesse pubblico della conformità urbanistica, tenuto pure conto della circostanza che l’avente causa di un immobile abusivo succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, compresi gli eventuali abusi edilizi, subendo gli effetti dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita con riferimento agli abusi edilizi commessi prima del passaggio di proprietà, fatta salva l’azione risarcitoria nei confronti del dante causa.

Titoli edilizi e attività di vigilanza

Tar Basilicata, Potenza, sez. I, 19 settembre 2024, n.458

Titolo edilizio – SCIA – Poteri inibitori – Termini – Attività di vigilanza edilizia – Accertamento di abuso edilizio – Natura giuridica – Affidamento – Sanatoria

Se è stata presentata la SCIA, invece della domanda di permesso di costruire, non può essere applicato il brevissimo termine di 30 giorni ex art. 23, comma 6, DPR n. 380/2001 per l’esercizio del potere di controllo inibitorio.

La localizzazione degli impianti di telefonia mobile

Tar Campania, Napoli, sez. VII, 16 settembre 2024, n. 4982

Pianificazione urbanistica – Piano di rete – Localizzazione – Limiti e criteri – Installazioni fisse di telefonia mobile – Legittimità – Interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio

La procedura avente ad oggetto la presentazione, da parte di ciascun gestore e in via necessaria, di un Piano annuale riguardante le installazioni fisse di telefonia mobile da realizzarsi nel territorio comunale (non imposta dalla legislazione statale) può riconoscersi rispondente a criteri di razionalità dell’azione amministrativa, perseguendosi con essa l’intento di conseguire un minimo di conoscenza preventiva e di pianificazione circa l’installazione degli impianti, al fine di poter orientare l’attività amministrativa di preliminare controllo urbanistico edilizio e ambientale in merito all’assentibilità di dette strutture nonché presentando tale previsione (nella sua finalità istruttorio-ricognitiva) una stretta inerenza allo svolgimento della funzione autorizzatoria.

Il piano di rete e il regolamento per la localizzazione e realizzazione degli impianti radioelettrici sono illegittimi nella parte in cui obbligano i gestori a collocare i nuovi impianti esclusivamente nei siti individuati dal piano di rete comunale, con divieto di allocazione su altri siti del territorio comunale.

Tenuto conto di quanto previsto dall’art.8 l. n. 36/2001, non è ammessa l’individuazione di un’area singola o di porzioni ristrette del territorio ove collocare gli impianti in base al perseguimento di interessi di tipo urbanistico esclusivamente locali, costituendo ciò un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’amministrazione comunale di identificare le zone dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio.

Detto piano di localizzazione – alla luce di quanto sopra osservato circa il fatto che la potestà comunale di identificare le zone dove collocare gli impianti è condizionata dalla condizione che l’esercizio di tale facoltà sia rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio – non può considerarsi vincolante e conformativo del territorio, dovendo esso contribuire a disegnare dei criteri per una migliore distribuzione della rete e copertura del territorio, ma non potendo introdurre limiti assoluti alla localizzazione, come invece finirebbe per essere se il progettista fosse rigidamente vincolato dalle proposte di localizzazione effettuate anno per anno al Comune.

Pianificazione urbanistica e oneri motivazionali

Tar Puglia, Bari, sez. III, 6 settembre 2024, n. 967

Pianificazione urbanistica – Approvazione del progetto di opera pubblica e sua variante – Legittimità – Relazione peritale del privato – Discostamento – Onere motivazionale – Interesse pubblico

È illegittima per difetto di motivazione la delibera del consiglio comunale di approvazione del progetto di opera pubblica e relativa variante urbanistica, con imposizione del vincolo preordinato all’esproprio, che si discosti immotivatamente dalla relazione peritale del privato, non specificamente contestata e parimenti satisfattiva degli interessi pubblici di riferimento, con cui si propone una soluzione progettuale con un minor sacrificio rispetto alla localizzazione approvata dall’amministrazione che, viceversa, risulti maggiormente impattante sul pregio architettonico, sulla possibilità d’uso e sul valore commerciale dei suoli.

Le nozioni (europea e interna) del legittimo affidamento

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, sez. autonoma di Bolzano, 6 agosto 2024, n. 212

Procedimento amministrativo – Legittimo affidamento del privato – Requisito oggettivo e soggettivo – Natura giuridica – Pianificazione urbanistica – Discrezionalità – Onere motivazionale attenuato

Il principio di tutela del legittimo affidamento, di derivazione comunitaria, impone che una situazione di vantaggio, assicurata a un privato da un atto specifico e concreto dell’autorità amministrativa, non può essere successivamente rimossa, salvo che non sia strettamente necessario per l’interesse pubblico e fermo in ogni caso l’indennizzo della posizione acquisita. Naturalmente, affinché un affidamento sia legittimo è necessario un requisito oggettivo, che coincide con la necessità che il vantaggio sia chiaramente attribuito da un atto all’uopo rivolto e che sia decorso un arco temporale tale da ingenerare l’aspettativa del suo consolidamento, e un requisito soggettivo, che coincide con la buona fede non colposa del destinatario del vantaggio (l’affidamento non è quindi legittimo ove chi lo invoca versi in una situazione di dolo o colpa). Con la L.15/2005, il principio di garanzia del legittimo affidamento è stato recepito a livello nazionale, da un lato subordinando l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio al limite temporale del termine ragionevole oltre che ai criteri della comparazione degli interessi (art. 21-nonies della L. n. 241/1990); dall’altro stabilendo la tutela indennitaria a vantaggio del destinatario del provvedimento di revoca anticipata (art. 21-quinquies della stessa L. n. 241/1990).

Dalla nozione comunitaria di affidamento deve distinguersi la nozione nazionale: quest’ultima, infatti, non costituisce una regola attizia volta a limitare il potere amministrativo di disconoscere i vantaggi riconosciuti con pregressi atti, ma è una regola comportamentale, iscrivibile nel generale canone di buona fede, volta a non ingenerare, con le proprie condotte, aspettative destinate a essere deluse.

L’esistenza di una precedente diversa previsione urbanistica non comporta per l’Amministrazione la necessità di fornire particolari spiegazioni sulle ragioni delle differenti scelte operate, anche quando queste siano nettamente peggiorative per i proprietari e per le loro aspettative, dovendosi in tali casi dare prevalente rilievo all’interesse pubblico che le nuove scelte pianificatorie intendono perseguire; più specificamente, la mera esistenza, nella pianificazione previgente, di una destinazione urbanistica più favorevole al proprietario non è circostanza sufficiente a fondare in capo a quest’ultimo quell’aspettativa qualificata la cui sussistenza imporrebbe all’Amministrazione un obbligo di più puntuale e specifica motivazione rispetto a quella, di regola sufficiente, basata sul richiamo alle linee generali di impostazione del piano.

Pianificazione urbanistica e programmazione commerciale

Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2024, n. 7457

Pianificazione urbanistica – Localizzazione – Pianificazione commerciale – Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato – Decorso temporale

La programmazione o pianificazione commerciale, così come quella della localizzazione delle attività artigianali o industriali, deve essere inserita nell’ambito della pianificazione urbanistica o di altro atto che sia destinato alla disciplina del governo del territorio. Pertanto, non possono essere autorizzati insediamenti di attività commerciali o produttive in contrasto con la disciplina urbanistica; né, di converso, possono essere mantenute quelle attività che prima dell’apertura o successivamente perdano il requisito della conformità alle prescrizioni urbanistiche o edilizie.

La demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.

Pianificazione urbanistica e modifiche ai piani

Consiglio di Stato, sez. VII, 4 settembre 2024, n. 7382

Pianificazione urbanistica – Ratio – Competenze comunali e regionali – Modifiche obbligatorie, concordate e facoltative – Discrezionalità – Onere motivazionale – Eccesso di potere

Il Piano regolatore generale comunale, così come qualsivoglia strumento urbanistico, discende dalla concorrente ma autonoma valutazione di due diverse autorità, quali il Comune e la Regione e, nell’ambito del relativo procedimento, il ruolo del Comune è, in linea di principio, preponderante, in quanto ad esso spetta l’iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l’adozione del progetto di piano; alla Regione, invece, spetta non solo di negare l’approvazione, ma anche di approvare il piano apportandogli, entro certi limiti e condizioni, modifiche non accettate dal Comune, così come prevede la disciplina di principio contenuta dall’art. 10 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modifiche.

L’art. 10 della L. n. 1150 del 1942 e successive modifiche di per sé prevede che la Regione, all’atto dell’approvazione dello strumento urbanistico, può apportare a quest’ultimo le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, le modifiche conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio comunale, nonché le modifiche riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale regionale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, nonché l’adozione di standard urbanistici minimi.

Le modifiche cc.dd. “obbligatorie” dello strumento urbanistico (e, cioè, quelle indispensabili per la tutela del territorio), modifiche cc.dd. “concordate” (ossia conseguenti all’accoglimento di osservazioni da parte della Regione) e modifiche cc.dd. “facoltative”, le quali ultime, ai sensi del medesimo art. 10 della L. n. 1150 del 1942 e successive modifiche, non possono incidere sulle caratteristiche essenziali del piano stesso e sui suoi criteri di impostazione.

Alla Regione è consentito, all’atto di approvazione dello strumento urbanistico, apportare modifiche allo stesso per assicurare il rispetto di altri strumenti di pianificazione regionali e per la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici.

La disciplina urbanistica persegue non solo la ristretta finalità di regolamentare il profilo dell’edificazione dei suoli relativamente ai tipi di edilizia distinti per finalità, ma si prefigge obiettivi di più ampio respiro che guardano agli interessi economico-sociali della comunità locale. Il concetto di urbanistica non è strumentale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in relazione alle diverse tipologie di edificazione, ma è volto funzionalmente alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente tutelati.

Se così è, lo strumento di pianificazione generale contiene scelte inerenti l’organizzazione edilizia del territorio da riguardarsi non soltanto nel suo aspetto statico (la possibilità e la quantità di costruire edifici) ma anche nel suo aspetto più dinamico, qual è il possibile sviluppo del territorio dal punto di vista socio-economico. Per tale ragione costituisce estrinsecazione di un potere, quello pianificatorio, connotato da ampia discrezionalità al punto che il sindacato del giudice ammnistrativo non può estendersi alle valutazioni di merito, salvo che risultino inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, irragionevolezze e/o insufficienze motivazionali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate.

Tendenzialmente, all’ampia discrezionalità si accompagna un generale onere di motivazione delle scelte urbanistiche, soddisfacibile con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che le hanno ispirate senza necessità di una motivazione puntuale e mirata.

Invero, il carattere più o meno blando della motivazione viene a dipendere dalla portata delle previsioni di zonizzazione, dovendosi infatti operare un distinguo tra disposizioni pianificatorie che realizzino una nuova e complessiva definizione dell’intero territorio comunale, o della gran parte di esso, e quelle che mutino la destinazione di un’area determinata, a maggior ragione se ledendo legittime aspettative dei privati. Solo nel primo caso, venendo in discussione il complessivo disegno di governo del territorio da parte dell’ente locale (com’è tipico nei casi di adozione di un nuovo strumento urbanistico generale o di una sua variante integrale), la motivazione non può riguardare ogni singola previsione, ma deve avere riguardo, secondo criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall’amministrazione.

La programmazione e pianificazione urbanistica è caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella prospettiva di un ordinato e funzionale assetto del territorio comunale; per la programmazione degli assetti del territorio, l’amministrazione gode, invero, di un ampio potere discrezionale, sicché le scelte dell’amministrazione non sono censurabili se non per manifesti errori di fatto e abnormità delle scelte; non è peraltro configurabile in questo ambito il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento riguardo alla destinazione impressa a immobili vicini.

Pianificazione urbanistica e discrezionalità amministrativa

Consiglio di Stato, sez. VII, 2 settembre 2024, n. 7331

Pianificazione urbanistica – Discrezionalità – Onere motivazionale – Modifiche – Rielaborazione complessiva

In materia di pianificazione urbanistica sussiste un ampio margine di discrezionalità in capo all’amministrazione, tenuta a contemperare e bilanciare plurimi interessi divergenti. Le scelte di pianificazione del territorio, dunque, costituiscono un apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento di fatti. Si tratta di un sindacato giurisdizionale di carattere c.d. estrinseco e limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità ed irrazionalità apprezzabili ictu oculi, restando ad esso estraneo l’apprezzamento della condivisibilità delle scelte, profilo già appartenente alla sfera del merito.

Rispetto alla destinazione attribuita alla singola area non è necessaria una motivazione puntuale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni sembrano meritevoli di specifiche considerazioni.

Deve escludersi la necessità di ripubblicazione del piano a fronte di modifiche “facoltative” e “concordate” del piano (frutto dell’accoglimento di osservazioni presentate), che non superano il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato.

Deve escludersi che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano, quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree; in altri termini, l’obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree.

L’eventualità che le previsioni del piano urbanistico comunale possano subire, in sede di approvazione definitiva, delle modifiche rispetto a quelle contenute nel piano adottato, è un effetto connaturale al procedimento di formazione dello strumento urbanistico.