Urbanistica/edilizia

Nozione di “nuova costruzione”

Consiglio di Stato, sez. VI, 20 giugno 2024, n. 5517

Intervento di nuova costruzione – Definizione

Rientrano nella nozione di «nuova costruzione» non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma altresì gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entità delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente.

Abuso edilizio e condizioni di condonabilità

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 18 giugno 2024, n. 3810

Abuso edilizio – Vincoli relativi e assoluti – Condonabilità – Condizioni – Sanatoria in via tacita – Esclusione

Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, siano essi di natura relativa o assoluta, purché ricorrano “congiuntamente” le seguenti condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) che, pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) senza quindi aumento di superficie; d) che vi sia il previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo. In assenza delle suddette condizioni, l’incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

È esclusa la sanatoria in via tacita degli abusi edilizi in area vincolata, considerato che l’art. 32, comma 1, l. 28 febbraio 1985, n. 47, richiamato dal più volte citato art. 32, comma 27, d. lgs. 30 settembre 2003, n. 269, dispone che il condono per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo “è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” e che per abusi commessi su immobili soggetti a vincoli nessuna disposizione di legge correla all’inerzia dell’autorità competente la formazione tacita dell’atto consultivo; al contrario, il medesimo art. 32, comma 1, qualifica al secondo periodo l’inerzia dell’autorità preposta al vincolo come ipotesi di “silenzio-rifiuto”, impugnabile dall’interessato.

Annullamento del titolo edilizio e tutela del territorio

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 17 giugno 2024, n. 701

Tutela del territorio – Interesse pubblico in re ipsa – Istanza di autorizzazione ad aedificandum – Onere allegatorio – Annullamento del titolo edilizio – Affidamento del privato – Potere di convalida – Presupposti – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Finalità – Soggetti destinatari – Onere motivazionale – Valutazione di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere

In materia di tutela del territorio, l’interesse pubblico sussiste in re ipsa e consiste nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e di repressione degli abusi.

Una volta accertato l’abuso, non è necessario procedere a una particolare ponderazione, né si richiede che il provvedimento repressivo sia dotato di precipua motivazione (diversa da quella inerente al ripristino della legittimità violata); specularmente, non è ravvisabile alcuna posizione di affidamento legittimo tutelabile in capo a colui che ha fornito all’amministrazione un’erronea prospettazione delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole. In conseguenza, l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione è soddisfatto dal documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.

L’interesse pubblico all’eliminazione, ai sensi dell’art. 21-nonies L. n. 241 del 1990 , di un titolo abilitativo illegittimo è in re ipsa, a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente.

Il potere di convalida (contemplato in via generale nell’art. 21 nonies comma 2 della legge n. 241/1990) implica necessariamente un’illegittimità di natura ‘procedurale’, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo.

L’ordinanza di demolizione costituisce atto vincolato, che – in presenza di un accertato abuso – non richiede una specifica istruttoria e motivazione in ordine alla comparazione tra gli interessi pubblici e quelli privati coinvolti, con la conseguenza che non è nemmeno configurabile, in capo al privato, un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. Pertanto, non è necessaria alcuna motivazione ulteriore rispetto all’esigenza di ripristino della legalità violata.

L’ordinanza di demolizione mira a colpire una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica per ripristinare l’ordine urbanistico violato e, pertanto, la legge prescrive che la misura debba essere irrogata sia nei confronti del responsabile dell’abuso, sia nei confronti dell’attuale proprietario non colpevole, in quanto l’abusività dell’opera è una connotazione di natura reale.

La valutazione di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere deve effettuarsi in modo globale e non in termini atomistici. Il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, infatti, non tanto dal singolo intervento abusivo, ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio.

Titoli edilizi e poteri comunali di controllo

Tar Valle d’Aosta, Aosta, sez. unica, 20 maggio 2024, n. 24

Titolo edilizio – Poteri di controllo del Comune – Contenuti

L’ente locale deve limitarsi ad effettuare un controllo generale di conformità del titolo richiesto senza potersi spingere sino a penetranti analisi e, ancor meno, giudizi valutativi riguardo al regime di appartenenza.

Il Comune, al fine di provvedere al rilascio dei permessi di costruire, non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe emergere, ma deve esclusivamente vagliare i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto, dovendo escludersi l’obbligo di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità del bene o di verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria.

Pianificazione urbanistica e capacità edificatoria

Consiglio di Stato, sez. IV, 11 giugno 2024, n. 5243

Pianificazione urbanistica – Potere conformativo – Asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria – Opponibilità

Impianti di telefonia e limiti all’installazione

Consiglio di Stato, sez. VI, 11 giugno 2024, n. 5215

Pianificazione urbanistica – Opere di urbanizzazione primaria – Reti di telecomunicazione – Criteri per la localizzazione – Limitazioni alla localizzazione – Competenze di Regioni e Comuni – Principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni – Divieti di localizzazione – Compatibilità – Tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico

L’assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di TLC alle opere di urbanizzazione primaria implica la loro compatibilità, in via generale, con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale; dall’altro lato, i criteri per la localizzazione, suscettibili di essere adottati dalle Amministrazioni comunali, non possono essere adoperati quale misura, più o meno surrettizia, di tutela della popolazione da immissioni elettromagnetiche, che l’art. 4 della legge n. 36 del 2001 riserva allo Stato. In particolare, il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha inteso esprimere un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 1981, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio.

Alle Regioni ed ai Comuni è consentito – nell’ambito delle rispettive competenze – individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

La scelta di individuare un’area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). Deve, infatti, essere tenuto conto dell’interesse nazionale, costituzionalmente rilevante in quanto afferente pure alla libertà della comunicazione, alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio, non potendo la potestà comunale individuare aree dove collocare gli impianti e impedire la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni.

I divieti di localizzazione devono ritenersi illegittimi nella misura in cui vadano a pregiudicare la copertura del territorio nazionale, incidendo sull’esigenza di garantire la completa realizzazione della rete di infrastrutture per le telecomunicazioni. Siffatti divieti, di contro, non possono ritenersi incompatibili con la normativa settoriale, se non influiscono sulla capillarità della localizzazione degli impianti e, dunque, sulla possibilità di usufruire dei relativi servizi in qualsiasi area del territorio nazionale, nonché se si mantengono entro i limiti delineati dall’art. 8 legge n. 36 del 22 febbraio 2001, risultando funzionali al perseguimento degli obiettivi di interesse generale ivi divisati.

Le Amministrazioni territoriali non possono di disciplinare la localizzazione degli impianti in esame attraverso l’imposizione di divieti di localizzazione, ove siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale o siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica e la copertura con essa dell’intero territorio nazionale. Di contro, ove tali esigenze di tutela non siano compromesse, perché la loro realizzazione non è resa impossibile o estremamente difficile dalla disciplina locale, non sembra possa negarsi uno spazio regolatorio alle scelte di competenza delle Amministrazioni territoriali.

Regime dei beni pubblici e confisca

Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 6 giugno 2024, n. 295

Beni pubblici – Patrimonio disponibile e indisponibile – Immobili confiscati – Assenza di vincolo di destinazione

Gli enti pubblici possono essere titolari di beni demaniali e patrimoniali. Esclusa la natura di beni demaniali degli immobili confiscati, in quanto l’art. 44 del d.P.R. n. 380/2001 espressamente dispone che essi sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune, è rilevante stabilire se si tratta di acquisto al patrimonio disponibile o indisponibile, avendo il Comune agito, in concreto, nell’esercizio del potere di autotutela che, ai sensi dell’art. 823 c.c., consente agli enti pubblici di recuperare autoritativamente, senza la mediazione dell’autorità giudiziaria, la disponibilità dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile.

Appartengono al patrimonio indisponibile i beni che hanno una destinazione vincolata ex lege (art. 826 c.c.) e da essa non possono essere distratti se non nei modi stabiliti dalla legge (art. 828 c.c.), mentre tutti gli altri beni di proprietà degli enti pubblici, diversi da quelli demaniali e indisponibili, confluiscono nel patrimonio disponibile.

I beni immobili abusivamente lottizzati a scopo edilizio non mutano la loro natura di beni privati per effetto della confisca; sono dunque trasferiti al Comune senza vincolo di destinazione ed entrano a far parte del patrimonio disponibile.

Nuova costruzione in zone vincolate

Consiglio di Stato, sez. II, 5 giugno 2024, n. 5046

Intervento di nuova costruzione – Zone vincolate – Accertamento di compatibilità dell’intervento col contesto paesaggistico – Diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria – Diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili – Onere motivazionale – Contemperamento di interessi costituzionali

La produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’eco-sistema, con la conseguenza che le motivazioni di un diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili devono essere particolarmente stringenti, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica e occorre quindi una più severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi – ivi compreso quello paesaggistico – alla realizzazione o al mantenimento, trattandosi di un procedimento di sanatoria, di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile: la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici.

La tutela dei diritti e dei valori riconosciuti e garantiti dalla Costituzione deve essere sistemica e non frazionata, evitando che uno di essi si erga a tiranno nei confronti degli altri, specialmente quando, come nella specie, si tratta di beni – l’ambiente e il paesaggio – aventi entrambi il medesimo rango di principi fondamentali, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, come integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, rilievo dal quale consegue che la Soprintendenza, nel perseguire la missione attribuitale dalla legge, non può esprimere una posizione “totalizzante” che sacrifichi interamente l’interesse ambientale indifferibile alla transizione ecologica.

Il Comune e il Ministero della cultura, quando si pronunciano sulla domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, possono accoglierla, oppure dare conto delle ragioni che precludono l’emissione di un provvedimento favorevole, in tal caso specificando quali caratteristiche dell’intervento siano in contrasto con il vincolo paesaggistico e per quale ragione, nonché comunque valutando il raggiungimento di una soluzione che consenta, ove possibile, la realizzazione dell’intervento con il minor sacrificio dell’interesse paesaggistico nella sua declinazione meramente estetica.

Contributo di costruzione

Tar Lazio, Roma, sez. II, 23 maggio 2024, n. 10443

Intervento di nuova costruzione – Titolo edilizio – Contributo di costruzione – Atti di liquidazione – Natura giuridica – Prescrizione – Rideterminazione – Restituzione – Eccezione – Requisiti

Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio.

La pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento.

Nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione (ove già versate) e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione.

Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare, cosicché l’importo versato va restituito (ove già corrisposto) oppure risulta inesigibile (ove non ancora versato).

Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.

Unica eccezione ai principi sopra richiamati è l’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (rectius: di una convenzione urbanistica). In sintesi, quindi, la regola generale è che il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione sono dovuti soltanto se (e nella misura in cui) l’attività edificatoria sia stata effettivamente realizzata, con la conseguenza che in assenza di tale attività gli oneri concessori non possono essere richiesti. L’eccezione a tale regola si verifica nell’ipotesi in cui coesistano entrambi i seguenti requisiti:

a) il pagamento degli oneri concessori forma oggetto di una specifica obbligazione assunta dal soggetto privato per effetto di convenzione urbanistica dallo stesso stipulata con il Comune competente, convenzione con cui il privato concorda con l’Amministrazione comunale il Piano Urbanistico Attuativo di iniziativa privata (piano equiparabile ad un Piano Attuativo di iniziativa pubblica, e cioè ad un Piano Particolareggiato);

b) il tenore letterale di detta convenzione urbanistica lascia chiaramente intendere che il pagamento degli oneri concessori debba comunque avvenire entro un determinato termine, e quindi sostanzialmente a prescindere dall’avvenuta realizzazione (o meno) dell’intervento edificatorio.

Autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire

Consiglio di Stato, sez. IV, 21 maggio 2024, n. 4527

Autorizzazione paesaggistica – Permesso di costruire – Rapporti – Annullamento – Effetti – Onere probatorio in materia edilizia – Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Soprintendenza – Vincolo paesaggistico – PUT area sorrentino-amalfitana

Il rapporto tra l’autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire è stato ampiamente approfondito dalla giurisprudenza amministrativa. Una parte della giurisprudenza ha ritenuto che l’autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, costituisca atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio: essa dà luogo ad un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e valutazioni urbanistiche, in modo tale che questi due apprezzamenti sono destinati ad esprimersi sullo stesso oggetto in stretta successione provvedimentale, con la conseguenza che l’autorizzazione paesaggistica va acquisita prima di intraprendere il procedimento edilizio, il quale non può essere definito positivamente per l’interessato in assenza del previo conseguimento del titolo di compatibilità paesaggistica. Altra parte della giurisprudenza invece ha ritenuto che il permesso di costruire possa essere rilasciato anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che esso è inefficace e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico; in questa seconda prospettiva, l’autorizzazione paesaggistica si configura, quindi, come condizione di efficacia del permesso di costruire.

È bene distinguere due ipotesi: il solo annullamento del permesso di costruire e il solo annullamento dell’autorizzazione paesaggistica. Nel primo caso, l’annullamento del permesso di costruire non necessariamente riverbera i suoi effetti sull’autorizzazione paesaggistica a monte, autorizzazione quest’ultima che ben potrebbe rimanere valida, pur non essendo possibile realizzare l’opera, sino all’ottenimento di un nuovo permesso. Diversamente, nel secondo caso, quando ad essere annullata è l’autorizzazione paesaggistica, per le ragioni prima evidenziate, tale annullamento non può non spiegare effetti sul permesso di costruire “a valle”.

In materia edilizia, solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio.