Urbanistica/edilizia

Ordinanza-ingiunzione e diritto di accesso

Tar Lombardia, Milano, sez. V, 26 aprile 2024, n. 1262

Procedimento amministrativo – Ordinanza ingiunzione – Natura giuridica – Documento amministrativo – Nozione – Accesso di terzi – Presupposti e condizioni – Interesse concreto e attuale – Onere probatorio e motivazionale – Vicinitas

In linea generale, non sussiste alcun rapporto di “specialità” tra la L. n. 241/90 e la L. n. 689/81 o il D. Lgs. n. 285/92, né tantomeno questi ultimi contengono norme che limitano o condizionano il diritto di accesso agli atti e ai provvedimenti conclusivi del procedimento sanzionatorio da parte dei terzi.

La L. n. 689/81 non disciplina il diritto di accesso agli atti del procedimento (né lo esclude in capo ai soggetti terzi).

Gli atti di accertamento, contestazione e la stessa ordinanza-ingiunzione disciplinati dalla legge n. 689/81 (artt. 13, 14 e 18) non si sottraggono alla nozione di “documento amministrativo” di cui alla successiva L. n. 241/90. Ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. d) L. n. 241/90, in particolare, è da considerarsi documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

Sul piano generale, deve essere disattesa la prospettazione volta ad escludere dall’accesso dei terzi gli atti dei procedimenti sanzionatori, atteso che non esiste alcuna previsione normativa che ponga un divieto generale all’accesso di terzi ai documenti acquisiti nell’ambito di procedimenti amministrativi sanzionatori e che, anche in relazione a tale tipologia di procedimenti, occorre aver riguardo non già alla relazione dell’istante con il procedimento nel cui ambito la res exhibenda sia stata acquisita dalla pubblica amministrazione, bensì alla relazione esistente tra documento amministrativo e necessità dell’istante di ‘curare’ o ‘difendere’ un proprio interesse giuridico.

In ordine alla posizione dell’autore dell’esposto, secondo un orientamento giurisprudenziale,  la semplice presentazione di una denuncia non fonda, ex se e sempre una situazione giuridicamente tutelata ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990 legittimante alla richiesta d’accesso, dovendosi verificare se in base ad essa il denunciante risulti allegare un proprio interesse, diretto concreto e attuale giuridicamente rilevante e per la cui tutela sono necessari i documenti richiesti alla pubblica amministrazione. Invero, le concorrenti circostanze di aver avanzato un esposto che ha dato luogo a un procedimento disciplinare, e di aver promosso per i medesimi fatti denunciati in sede disciplinare un giudizio civile, legittimano all’accesso nei confronti degli atti di tale procedimento disciplinare. È da ritenere inconferente, al fine di escludere la legittimazione all’accesso, l’estraneità dell’autore dell’esposto al procedimento disciplinare e la sua conseguente qualità di terzo rispetto al medesimo.

Secondo un diverso orientamento, è riconosciuto il diritto di accesso agli atti di un procedimento al soggetto che, mediante denuncia, esposto, segnalazione, etc., ha provocato l’avvio del procedimento stesso, soprattutto quando dalla denuncia è scaturito un procedimento amministrativo conclusosi con l’adozione di atti sanzionatori.

La circostanza che l’autore dell’esposto sia “estraneo” al procedimento sanzionatorio non significa che non abbia interesse all’accesso al provvedimento conclusivo, dovendo, invece, comprovare in maniera adeguata, anche con gli scritti difensivi depositati nel corso del giudizio, il proprio concreto ed attuale interesse rispetto all’istanza di accesso.

Nel caso dell’accesso agli atti del procedimento ex L. n. 689/81, il problema si sposta sulle condizioni e sui presupposti dell’accesso, essendo noto che (a differenza della disciplina in materia di accesso civico generalizzato) la l. n. 241/1990, agli art. 22 e ss., è rigorosa nello scandire i presupposti ineliminabili che devono imprescindibilmente ricorrere ai fini dell’accesso agli atti: la legittimazione a richiedere l’accesso agli atti amministrativi presuppone la dimostrazione che gli atti oggetto dell’istanza siano in grado di spiegare effetti diretti o indiretti nella sfera giuridica dell’istante; la posizione da tutelare deve risultare comunque collegata ai documenti oggetto della richiesta di accesso; il rapporto di strumentalità appena descritto deve, poi, apparire dalla motivazione enunciata nella richiesta di accesso.

Per ottenere l’accesso ad un documento in possesso dell’amministrazione, è necessario che il richiedente sia titolare di una situazione giuridicamente tutelata ed a questo collegata che, nel caso si tratti di pratiche edilizie di altro soggetto, ben può identificarsi con la proprietà di un immobile confinante con quello interessato dall’intervento, dunque con la vicinitas, nonché abbia un interesse all’ostensione, nei termini della sua strumentalità alla tutela della situazione soggettiva che fonda la legittimazione.

Il requisito della vicinitas attribuisce di per sé un interesse diretto, concreto e attuale a conoscere gli atti e i documenti del procedimento abilitativo delle attività edilizie del confinante, al fine di verificare la legittimità del titolo e la conformità delle opere al medesimo, e parimenti i provvedimenti sanzionatori adottati dall’Amministrazione; detta posizione, in quanto qualificata e differenziata e non meramente emulativa o preordinata ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, basta, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, a legittimare il diritto di accesso alla documentazione amministrativa richiesta.

Pianificazione urbanistica e riparto interno di competenze

Tar Lazio, Roma, sez. II Quater, 24 aprile 2024, n. 8137

Pianificazione urbanistica – Adozione di piani urbanistici attuativi – Competenza di Consiglio e Giunta comunali – Normativa statale e della Regione Lazio

Non può ipotizzarsi che la Giunta sia competente solo in caso di approvazione del piano, in presenza di una istruttoria conclusasi positivamente, ma non anche quando siano formulati, nel corso dell’istruttoria, rilievi ostativi che – in tesi – legittimerebbero il dirigente ad adottare un provvedimento di arresto procedimentale, senza investire la Giunta del potere di adottare la delibera conclusiva, anche se negativa. È evidente, infatti, che il riferimento espresso al potere di adozione e di approvazione, rimesso dalla legge regionale Lazio in capo alla Giunta, non può che ricomprendere implicitamente anche il potere di respingere la proposta di piano, che pertanto deve essere trasmessa alla Giunta anche in presenza di circostanze potenzialmente ostative, le quali saranno vagliate dall’organo competente ai fini della eventuale adozione di un atto negativo. Ne discende che il dirigente, anche in presenza di profili di contrasto con la disciplina comunale sovraordinata, non può sostituirsi alla Giunta nell’adozione del provvedimento conclusivo, anche se negativo, poiché residua comunque un rilevante margine di discrezionalità riservato alla competenza giuntale.

Edificazione abusiva e vincoli di inedificabilità

Tar Campania, Salerno, sez. II, 22 aprile 2024, n. 866

Intervento di nuova costruzione – Vincoli di inedificabilità – Abuso edilizio – Sanatoria – Compatibilità

Solo i vincoli di inedificabilità imposti anteriormente alla edificazione abusiva ne impediscono ex lege la sanatoria (ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47/1985). Qualora vengano in rilievo vincoli imposti successivamente all’edificazione, il condono edilizio non è precluso, a condizione che l’opera risulti compatibile col vincolo. Ed è, quindi, compito dell’autorità preposta alla tutela di quest’ultimo operare una valutazione in concreto in ordine alla compatibilità o meno delle opere di cui è chiesta la sanatoria con le ragioni del vincolo.

Quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione paesaggistica non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano del tutto incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato, e dunque il sopravvenuto regime di inedificabilità dell’area non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo e la permanenza in loco del manufatto abusivo.

Poteri pianificatori e impianti di telecomunicazione

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 9 aprile 2024, n. 293

Pianificazione urbanistica – Localizzazione impianti di telecomunicazione – Discrezionalità – Limitazioni – Competenze dei Comuni – Delocalizzazione e bonifica – Condizioni – Oneri motivazionali – Iniziativa pubblica – Legge regionale Lombardia n. 11 del 2001

L’art. 8 comma 6 della legge 36/2001 attribuisce ai Comuni il potere di disciplinare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telecomunicazione e di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico. È però esclusa la possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio. Inoltre, non è consentito ai Comuni di incidere, anche in via indiretta o mediante ordinanze contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, sui valori di attenzione, e sugli obiettivi di qualità, tutte materie che rimangono riservate allo Stato e costituiscono oggetto delle valutazioni tecniche dell’ARPA.

L’art. 9 comma 1 della legge 36/2001 ha introdotto in via transitoria una procedura di bonifica dei siti caratterizzati da inquinamento elettromagnetico, prevedendo espressamente la delocalizzazione degli impianti di telecomunicazione che all’epoca fossero risultati fuori norma rispetto ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità. La condizione di partenza di un piano di delocalizzazione è una situazione di inquinamento elettromagnetico intesa come superamento non occasionale dei limiti di legge.

La delocalizzazione imposta e non incentivata, e non motivata da esigenze di bonifica elettromagnetica, introduce una forma di divieto generalizzato e retroattivo, che eccede il potere di disciplinare il corretto insediamento degli impianti di telecomunicazione sul territorio.

Le suddette norme vanno coordinate con i principi della pianificazione urbanistica, in base ai quali è legittimo stabilire una soglia massima allo sviluppo di attività economiche insediate in zone del territorio non più adatte ad ospitarle, ma l’amministrazione non può imporre unilateralmente la delocalizzazione. L’obiettivo della liberazione del territorio dalle attività sgradite può essere perseguito solo attraverso strumenti incentivanti. Eccezionalmente, sono ammessi piani di delocalizzazione a iniziativa pubblica, quando sia necessario tutelare superiori interessi pubblici, e in primo luogo il diritto alla salute delle persone.

Un’ipotesi codificata di delocalizzazione imposta è quella del citato art. 9 comma 1 della legge 36/2001, che ha svolto una funzione storicamente rilevante nel garantire il rispetto delle nuove regole sulle emissioni elettromagnetiche. Lo stesso meccanismo è replicabile, in base ai principi della materia e anche ai sensi della normativa regionale (v. art. 9 comma 4 della LR 11 maggio 2001 n. 11), quando siano accertate situazioni di inquinamento elettromagnetico sopravvenute, o sfuggite ai controlli precedenti. Per accelerare lo spostamento degli impianti, è possibile abbinare l’ordine di trasferimento a incentivi o accordi sostitutivi, eventualmente con forme agevolate di ospitalità all’interno dei siti di proprietà pubblica.

Abuso edilizio e “doppia conformità”

Tar Umbria, sez. I, 17 aprile 2024, n. 268

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria successiva al provvedimento sanzionatorio – Condizioni – Osservazioni dei privati – Onere motivazionale del Comune – Provvedimento amministrativo fondato su plurimi motivi – Legittimità – Varianti ai piani attuativi di iniziativa privata o mista – Disciplina – Proposta di piano attuativo – Legge regionale Umbria – Doppia conformità urbanistico-edilizia – Onere probatorio – Sanzione pecuniaria sostitutiva – Condizioni

Circa gli effetti sostanziali e processuali della presentazione di una istanza di sanatoria successivamente all’adozione del provvedimento sanzionatorio, va precisato che tale effetto può verificarsi in caso di reiterazione delle istanze di sanatoria, solo ove la nuova istanza sia basata su elementi nuovi, la cui conoscenza è sopravvenuta rispetto alla precedente eventualmente rigettata. In caso contrario, ne deriverebbe un vulnus al principio di certezza delle situazioni giuridiche, consentendo al privato, mediante la semplice reiterazione di istanze di sanatoria, di precludere il dispiegamento degli effetti propri delle misure apprestate dall’ordinamento per la repressione degli abusi edilizi.

L’amministrazione non ha un onere di specifica e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell’atto stesso.

Quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l’eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l’illegittimità. La sussistenza di una sola valida ragione ivi trasfusa può adeguatamente sostenerne la legittimità, con conseguente carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle censure ulteriori volte a contestare le altre ragioni giustificatrici dell’atto medesimo.

In assenza di una disciplina specifica per le varianti ai piani attuativi di iniziativa privata o mista già approvati, il Comune deve applicare, secondo il principio del contrarius actus, le medesime previsioni poste per la proposizione ex novo del piano, anche in considerazione della ricaduta generale sull’assetto dell’intera zona considerata dal piano di lottizzazione di una modifica alla disciplina delle distanze tra gli edifici.

L’art. 54 della l. r. Umbria n. 1 del 2015 prevede, al secondo comma, che la proposta di piano attuativo possa essere presentata dai «proprietari di almeno il cinquantuno per cento del valore catastale degli immobili e della superficie delle aree perimetrate dal PRG, parte operativa». La disposizione di cui al penultimo periodo del primo comma dell’art. 154 l. r. Umbria n. 1 del 2015 – per cui «Ai fini di cui al presente comma è consentito l’adeguamento di eventuali piani attuativi, purché tale adeguamento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione dell’intervento oggetto di sanatoria, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria e non in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati» – in alcun modo potrebbe essere interpretata nel senso di consentire una deroga rispetto alla necessarietà, ai fini dell’accertamento di conformità, della sussistenza della c.d. “doppia conformità” di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 che prescrive, ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, la conformità degli interventi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda di titolo in sanatoria. Una diversa interpretazione del primo comma dell’art. 154 l.r. n. 1 del 2015 lo esporrebbe a seri dubbi di legittimità costituzionale, atteso che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la richiamata “doppia conformità” costituisce «principio fondamentale nella materia governo del territorio» (Corte costituzionale sentenze n. 93 del 2023, n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017), nonché norma fondamentale di riforma economico-sociale.

L’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, necessita che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria. Peraltro, il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione, oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell’opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all’epoca di realizzazione dell’abuso sia a quella di presentazione dell’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che, in sede di accertamento di conformità, è interamente a carico della parte l’onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l’ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985 ), attesa la finalità dell’istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 143 della l. r. Umbria n. 1 del 2015, «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 139, […] ingiunge al proprietario e ai responsabili dell’abuso, nei termini di cui all’articolo 141, comma 3, la rimozione o la demolizione e la remissione in pristino». Il legislatore regionale è chiaro nel distinguere le ipotesi di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in totale difformità dal medesimo, da quelle di interventi che presentino variazioni essenziali (con l’utilizzo della congiunzione “ovvero”); solo in questa ultima ipotesi, assume rilevanza la disciplina di cui all’art. 139 della medesima l. r. n. 1 del 2015.

L’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2, in deroga alla regola generale della demolizione, propria degli illeciti edilizi, presuppone la dimostrazione della oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio; in secondo luogo, e in ogni caso, l’applicabilità, o meno, della sanzione pecuniaria, può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive.

La verifica ex art. 33, comma 2, va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva e non dall’Amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio. Inoltre, l’applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima. In sostanza, la valutazione circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire, con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive, dimodoché la verifica di cui all’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva e non dall’amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio.

Strada e servitù di uso pubblico

Tar Lazio, Roma, sez. II Stralcio, 9 aprile 2024, n. 6884

Strada pubblica – Natura – Servitù di uso pubblico – Condizioni

La natura e l’uso pubblico di una strada dipendono dall’esistenza di tre concorrenti elementi rappresentati da: a) l’esercizio del passaggio da parte della collettività; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi anche nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.

Viabilità comunale e riparto di competenze

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 9 aprile 2024, n. 294

Competenze delle Giunte comunali – Discrezionalità – Viabilità comunale – Atti dei funzionari dirigenti – Natura giuridica

La competenza residuale della Giunta, ex art. 48 comma 2 TUEL è espressione di un potere pubblicistico ampiamente discrezionale. Tale discrezionalità valutativa della P.A., peraltro, è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo in presenza di manifesta incongruità o illogicità.

I singoli provvedimenti dei dirigenti rappresentano applicazione della norma di cui all’art. 107 comma 3 lett. f) e vengono adottati, quindi, sul presupposto di un atto di indirizzo. In particolare, i provvedimenti, con i quali si disciplina la circolazione sulla viabilità comunale, la modalità di accesso alla stessa ed i relativi orari, l’eventuale divieto per talune categorie di veicoli, i controlli e le sanzioni, ai sensi degli artt. 6 e 7 del Codice della strada, assumono natura tipicamente gestoria ed esecutiva e, quindi, appartengono alla competenza dei dirigenti, e non del Sindaco, anche avendo riguardo all’assenza di qualsiasi presupposto di urgenza che potrebbe giustificare l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente. Soltanto i provvedimenti concernenti l’istituzione e la disciplina delle zone a traffico limitato sono attribuite alla competenza della Giunta (o in caso di urgenza al Sindaco) in quanto ritenuti dal legislatore di maggiore impatto per la collettività locale.

La competenza, pertanto, è stata devoluta ai funzionari dirigenti dall’art. 107 comma V d.lgs. 267/2000, riservando i soli poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo agli Organi di Governo.

Abuso edilizio e oneri per l’acquisizione al patrimonio pubblico

Consiglio di Stato, sez. II, 12 aprile 2024, n. 3351

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Onere di notifica

Affinché un bene immobile abusivo possa formare legittimamente oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo, in omaggio ai fondamentali principi di tutela del diritto di difesa e di partecipazione procedimentale.

Mutamento di destinazione d’uso

Tar Campania, Napoli, sez. IV, 17 aprile 2024, n. 2553

Pianificazione urbanistica – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Conversione di area agricola in area commerciale – Titolo edilizio – Sanatoria – Oneri concessori

Il mutamento di destinazione d’uso di un fondo, attualmente destinato ad attività agricola, verso un asservimento all’attività commerciale, comporta inevitabilmente il mutamento del carico urbanistico, connesso ai differenti flussi di traffico e clientela e, pertanto, la conseguente necessità di un titolo edilizio e dunque del calcolo degli oneri concessori per il caso di intervenuta sanatoria.

Natura giuridica della variante urbanistica

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17 aprile 2024, n. 1127

Pianificazione urbanistica – Variante generale – Natura giuridica

La rielaborazione integrale di uno strumento urbanistico – come nel caso di variante generale – non può mai, per sua natura, considerarsi meramente confermativa delle precedenti disposizioni urbanistiche, neppure in quelle parti che effettivamente risultino riproduttive degli strumenti anteriori.