Urbanistica/edilizia

Strada e servitù di uso pubblico

Tar Lazio, Roma, sez. II Stralcio, 9 aprile 2024, n. 6884

Strada pubblica – Natura – Servitù di uso pubblico – Condizioni

La natura e l’uso pubblico di una strada dipendono dall’esistenza di tre concorrenti elementi rappresentati da: a) l’esercizio del passaggio da parte della collettività; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico; c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi anche nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.

Viabilità comunale e riparto di competenze

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 9 aprile 2024, n. 294

Competenze delle Giunte comunali – Discrezionalità – Viabilità comunale – Atti dei funzionari dirigenti – Natura giuridica

La competenza residuale della Giunta, ex art. 48 comma 2 TUEL è espressione di un potere pubblicistico ampiamente discrezionale. Tale discrezionalità valutativa della P.A., peraltro, è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo in presenza di manifesta incongruità o illogicità.

I singoli provvedimenti dei dirigenti rappresentano applicazione della norma di cui all’art. 107 comma 3 lett. f) e vengono adottati, quindi, sul presupposto di un atto di indirizzo. In particolare, i provvedimenti, con i quali si disciplina la circolazione sulla viabilità comunale, la modalità di accesso alla stessa ed i relativi orari, l’eventuale divieto per talune categorie di veicoli, i controlli e le sanzioni, ai sensi degli artt. 6 e 7 del Codice della strada, assumono natura tipicamente gestoria ed esecutiva e, quindi, appartengono alla competenza dei dirigenti, e non del Sindaco, anche avendo riguardo all’assenza di qualsiasi presupposto di urgenza che potrebbe giustificare l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente. Soltanto i provvedimenti concernenti l’istituzione e la disciplina delle zone a traffico limitato sono attribuite alla competenza della Giunta (o in caso di urgenza al Sindaco) in quanto ritenuti dal legislatore di maggiore impatto per la collettività locale.

La competenza, pertanto, è stata devoluta ai funzionari dirigenti dall’art. 107 comma V d.lgs. 267/2000, riservando i soli poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo agli Organi di Governo.

Abuso edilizio e oneri per l’acquisizione al patrimonio pubblico

Consiglio di Stato, sez. II, 12 aprile 2024, n. 3351

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Onere di notifica

Affinché un bene immobile abusivo possa formare legittimamente oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo, in omaggio ai fondamentali principi di tutela del diritto di difesa e di partecipazione procedimentale.

Mutamento di destinazione d’uso

Tar Campania, Napoli, sez. IV, 17 aprile 2024, n. 2553

Pianificazione urbanistica – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Conversione di area agricola in area commerciale – Titolo edilizio – Sanatoria – Oneri concessori

Il mutamento di destinazione d’uso di un fondo, attualmente destinato ad attività agricola, verso un asservimento all’attività commerciale, comporta inevitabilmente il mutamento del carico urbanistico, connesso ai differenti flussi di traffico e clientela e, pertanto, la conseguente necessità di un titolo edilizio e dunque del calcolo degli oneri concessori per il caso di intervenuta sanatoria.

Natura giuridica della variante urbanistica

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17 aprile 2024, n. 1127

Pianificazione urbanistica – Variante generale – Natura giuridica

La rielaborazione integrale di uno strumento urbanistico – come nel caso di variante generale – non può mai, per sua natura, considerarsi meramente confermativa delle precedenti disposizioni urbanistiche, neppure in quelle parti che effettivamente risultino riproduttive degli strumenti anteriori.

All’Adunanza Plenaria il tema delle opere parzialmente eseguite

Consiglio di Stato, sez. II, 7 marzo 2024, n. 2228

Abuso edilizio – Titolo edilizio decaduto – Efficacia – Opere parzialmente eseguite – Disciplina giuridica

È rimesso all’Adunanza plenaria il seguente quesito: “quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio”.

Se da un lato, infatti, la giurisprudenza dominante ha ritenuto che la decadenza dal titolo edilizio per mancata ultimazione dei lavori nei termini – cioè per fatto imputabile al titolare e relativo alle modalità di utilizzo/inutilizzo del titolo – ha efficacia ex nunc e non ex tunc e, quindi, non implica l’obbligo di disporre la demolizione delle opere realizzate nel periodo di validità del titolo edilizio (le quali, perciò, non possono essere ritenute abusive) – ove queste risultino conformi al progetto approvato con il permesso di costruire – ma comporta semplicemente la necessità, per il titolare decaduto, di chiedere un nuovo permesso per l’esecuzione delle opere non ancora ultimate. Con la conseguenza che, in mancanza di proroga o rinnovo del titolo, gli interventi effettuati successivamente alla decadenza del titolo risultano abusivi, il che comporta la legittimità dell’ordine di demolizione solo per quanto realizzato successivamente all’intervenuta decadenza, ma non per quanto realizzato in precedenza.

Dall’altro, invece, l’art. 38 del d.P.R. 380 del 2001 si ispira ad un principio di tutela degli interessi del privato, mirando ad introdurre un regime sanzionatorio più mite proprio per le opere edilizie conformi ad un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo, sì da ottenere la conservazione del bene.

Il regime delle “strade pubbliche”

Consiglio di Stato, sez. V, 26 marzo 2024, n. 2870

Strade pubbliche – Funzione – Programmazione e gestione – Compiti amministrativi – Classificazione strade pubbliche – Categorie – Titolarità – Servitù – Mutamento area privata in strada pubblica – Requisiti – Presunzione di demanialità – Demanialità – Ratio – Devoluzione risorse finanziarie – Oneri connessi alla titolarità – Strade vicinali – Destinazione ad uso pubblico

Dal punto di vista funzionale, le strade pubbliche svolgono un rilevante servizio rispetto alla collettività di riferimento, costituendo, nella realtà attuale, un imprescindibile strumento per l’esercizio della libertà di circolazione (art. 16 Cost.). Detta funzione è assicurata garantendo un sistema viario adeguato alle esigenze della collettività e un uso rispettoso dello stesso. Sicché l’attività amministrativa si sostanzia essenzialmente nell’attività di programmazione e gestione delle strade e nell’adozione di provvedimenti che incidano sull’uso delle stesse (concessori e autorizzativi in particolare).

Dal punto di vista della soggettività pubblica, la strada costituisce pertanto essenzialmente una voce di spesa, necessaria e continua nel tempo, seppur con intervalli non sempre predeterminabili. A parte le autostrade, sono poco significative le eventuali entrate che possono derivare dall’uso delle strade (quali, ad esempio, le concessioni di suolo pubblico).

In disparte le attività di programmazione e regolazione, i compiti amministrativi connessi alle strade pubbliche (art. 7 e ss. del d. lgs. n. 285 del 1992) sono essenzialmente incombenze che attengono alle procedure necessarie per spendere le risorse funzionali a detta finalità: sicché, l’allocazione delle strade è essenzialmente un’allocazione di oneri economici. Detta allocazione (fra gli enti pubblici) è determinata in relazione alla funzione svolta dalle strade. L’art. 2 comma 2 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 prevede infatti la classificazione delle strade pubbliche in sei categorie “riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali”. A parte le caratteristiche costruttive e tecniche, specificate al comma 3, l’art. 2 comma 5 individua l’amministrazione di riferimento attraverso il richiamo della relativa funzione di uso pubblico, prevedendo che “Per le esigenze di carattere amministrativo e con riferimento all’uso e alle tipologie dei collegamenti svolti, le strade, come classificate ai sensi del comma 2, si distinguono in strade statali, regionali, provinciali, comunali”.

Anche in precedenza le strade sono state classificate in base all’uso pubblico (legge n. 126 del 1958), a testimonianza del fatto che l’onere della relativa spesa è imposto sulla base del criterio della collettività prevalentemente interessata al relativo uso, così rispettando la corrispondenza fra beneficiari del servizio ed elettori degli organi rappresentativi negli enti che debbono assicurare lo stesso.

All’aspetto funzionale, segue il profilo della titolarità, nel senso che, fra i suddetti enti pubblici, il proprietario è quello intestatario della relativa funzione, che si identifica in ragione del perimetro dell’uso pubblico. La proprietà del suolo e degli immobili in generale da parte dello Stato e degli enti pubblici territoriali affonda e fa riferimento (in gran parte) a vicende risalenti (e non sempre connotate da un titolo scritto), sicché risulta prevalente, anche per tale motivo, il criterio funzionale.

La ripartizione dell’assetto proprietario pubblico in ragione dell’uso rispetta, del resto, la regola in base alla quale la titolarità del bene deve basarsi non su una situazione di fatto ma su una situazione di diritto: il principio di legalità che connota l’attività pubblica nel suo complesso, in quanto coinvolge l’aspetto soggettivo e l’aspetto oggettivo dell’amministrare, oltre alla relazione (intrinseca ed ineliminabile) fra detti due aspetti, rende la funzione pubblica giuridicamente rilevante, da ogni punto di vista. Detta rilevanza è tale da determinare l’intero assetto pubblicistico, organizzato al fine di esercitare le funzioni pubbliche a esso attribuite: l’organizzazione soggettiva dello stesso, la distribuzione delle risorse e la disciplina delle modalità procedimentali di esercizio della funzione sono regolamentate al fine di assicurare l’implementazione di queste ultime.

Non vale a smentire detta impostazione l’orientamento in base al quale non solo il diritto di proprietà, ma anche il diritto reale di servitù presuppone un titolo giuridicamente idoneo alla sua costituzione (ex art. 825 cod. civ.), tale non essendo una situazione di mero fatto: l’esistenza del titolo rileva allorquando viene in evidenza la presenza di un titolo (trascritto) e quindi, di norma, la proprietà privata. In tale caso, la necessità di superare un titolo che fonda quest’ultima richiede il perfezionamento della fattispecie idonea, per legge, a trasferire il diritto reale.

Affinché un’area privata venga a far parte del demanio stradale e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titolo dell’area da parte della pubblica amministrazione), né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, né l’intervento di atti di riconoscimento da parte dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è necessario che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale, in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio.

Del resto, la presunzione di demanialità ha carattere relativo e, come tale, è destinata a cadere di fronte all’esistenza di elementi probatori idonei a dimostrare il carattere privato degli spazi medesimi, quali la produzione del titolo di proprietà.

Specularmente al profilo funzionale, l’ordinamento ha disegnato un complessivo sistema nel quale le strade pubbliche appartengono allo Stato e agli altri enti territoriali (art. 22 della legge n. 2248 del 1865 all. F e art. 2 comma 5 ultimo periodo del d. lgs. n. 285 del 1992). In ragione di detta appartenenza, rientrano nel demanio pubblico (art. 822 e 824 c.c.). Detta ricomprensione, con le conseguenze che ne derivano, è accompagnata da una presunzione (di demanialità) basata sull’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F (Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2020 n. 15033). La demanialità garantisce, da un lato, il perseguimento dell’interesse pubblico alla circolazione, cui corrisponde un diritto soggettivo alla stessa, senza rischi legati a eventuali vicende che coinvolgano il bene. Dall’altro lato la demanialità presuppone l’appartenenza allo Stato o agli altri enti territoriali delle funzioni relative alle strade. A essi, in quanto enti necessari, con fini istituzionali stabiliti dalla legge, nei quali sono comprese dette funzioni (oltre agli artt. 2 e 14 del d. lgs. n. 285 del 1992, v. art. 118 Cost., art. 1 della legge n. 59 del 1997, art. 99 del d. lgs. n. 112 del 1998, art. 13 del d. lgs. n. 267 del 2000), devono essere assicurate corrispondenti risorse in ragione dell’obbligo costituzionale (artt. 81 comma 3 e 119 comma 4 Cost.) di assicurare la copertura delle leggi di spese, sicché l’ordinamento è organizzato in modo da assicurarne l’esercizio con l’attribuzione del principale mezzo necessario per assolvere la funzione: la devoluzione delle risorse finanziarie.

Alla titolarità delle strade pubbliche, che si impernia sulla funzione assolta, segue l’onere di assicurarne l’uso. In base all’art. 14 del d. lgs. n. 285 del 1992 “gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono”, fra l’altro, alla “manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi” e al “controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze” (comma 1 lett. a) e b) del d. lgs. n. 285 del 1992).

L’elemento discriminante della funzione, cioè dell’uso pubblico della strada, connota quindi ogni aspetto della stessa, dalla titolarità alle spese di mantenimento. Ciò tanto più se si considera che la strada vicinale, benché privata, in quanto funzionale all’uso pubblico, determina un correlato dovere dell’amministrazione di concorrere alle spese di manutenzione della stessa): l’uso pubblico giustifica, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree, anche private, alle norme del codice della strada e infatti l’art. 2, comma 6, del D.Lgs. n. 285/1992 assimila le strade vicinali a quelle comunali, nonostante le prime siano per definizione di proprietà privata, in caso di destinazione ad uso pubblico.

Pianificazione urbanistica e liberalizzazione

Consiglio di Stato, sez. III, 25 marzo 2024, n. 2815

Pianificazione urbanistica – Insediamenti produttivi – Limiti – Principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi – Bilanciamento – Proporzionalità

La disciplina comunitaria della liberalizzazione (direttiva servizi 123/2006/CE e provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione) non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali. La questione involge tipicamente un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale, rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio; esigenze che devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa, che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.

Abuso edilizio e costruzioni ante 1967

Consiglio di Stato, sez. II, 8 febbraio 2024, n. 1297

Abuso edilizio – Abusi commessi ante 1967 – Regolamento edilizio su costruzione in aree fuori del centro abitato – Principio di uguaglianza – Certificato di abitabilità – Effetto sanante – Ratio – Certificato di agibilità – Ratio

Il regolamento edilizio discrezionalmente adottato da un ente locale, che prima del 1967 abbia subordinato l’esercizio del jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato, non integra la violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale sotto il profilo anche della diversità di trattamento a cui sarebbero stati sottoposti in relazione all’esercizio del jus aedificandi, a seconda che l’edificazione fosse o meno avvenuta in un Comune che aveva adottato quel regolamento, intuitivamente diverse essendo le singole realtà locali, con la conseguenza che neppure è immediatamente apprezzabile la violazione del principio di uguaglianza e la connessa diversità di trattamento.

Il rilascio del certificato di abitabilità non ha alcun effetto sanante rispetto alle opere abusive, in quanto la illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento del certificato di agibilità che riguarda profili diversi; i due provvedimenti svolgono funzioni differenti e hanno diversi presupposti che ne condizionano il rispettivo rilascio.

Il certificato di agibilità serve ad accertare che l’immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico degli edifici e degli impianti, viceversa il titolo edilizio attesta la conformità dell’intervento alle norme edilizie ed urbanistiche che disciplinano l’area da esso interessata.

Titolo edilizio e “serre”

Consiglio di Stato, sez. II, 15 marzo 2024, n. 2501

Titolo edilizio – Impianto serricolo – Caratteri – Attività libera – Requisiti

Un impianto serricolo, in quanto tale, è estraneo al regime della concessione qualora sia funzionale allo svolgimento dell’attività agricola e non abbia requisiti di stabilità o di rilevante consistenza, tali da alterare in modo duraturo l’assetto urbanistico-ambientale.

Le condizioni perché un manufatto definibile come “serra” possa rientrare nella attività libera sono: – l’assenza di opere in muratura, ossia di manufatti la cui rimozione ne implichi necessariamente la demolizione; – la stagionalità, ossia l’attitudine ad essere periodicamente rimossa e reinstallata, con la conseguenza che, essendovi la prospettiva della rimessione in pristino, lo stato dei luoghi non può dirsi definitivamente modificato. Occorre ulteriormente precisare, quanto ai requisiti suddetti, che, se l’assenza di muratura risulta necessaria quale prova evidente (e prospettica, all’atto della realizzazione) della semplice e periodica amovibilità del manufatto (alla quale la presenza di muratura, invece, risulterebbe ovviamente ostativa), la stagionalità qualifica, appunto, la temporaneità o, se si vuole, la “periodicità” della presenza del manufatto sul territorio.

Ciò che, più precisamente, caratterizza la serra è non solo la attitudine ad essere periodicamente rimossa e reinstallata, ma anche e soprattutto la sua effettiva e periodica rimozione: solo in questo modo, infatti, la serra non costituisce una alterazione stabile, permanente del territorio (come tale abbisognevole di titolo edilizio), ma un intervento temporalmente definito (ancorché destinato a ripresentarsi nel tempo).

Mentre all’atto della realizzazione della serra assume un ruolo rilevante l’assenza di muratura (che negherebbe, ove presente, ex se la amovibilità), in epoca successiva ciò che rileva è la prova della stagionalità, offerta dalle già intervenute, periodiche rimozioni; prova che deve essere offerta dall’interessato, in quanto afferente ad un elemento che integra la riconducibilità del manufatto a serra e, dunque, la sua esclusione dall’esigenza di idoneo titolo edilizio.