Urbanistica/edilizia

Farmacie e pianificazione comunale

Tar Marche, Ancona, sez. II, 20 gennaio 2024, n. 64

Servizi pubblici – Servizio farmaceutico – Pianificazione territoriale – Competenza comunale – Trasferimento – Concorso per assegnazione sedi

L’Amministrazione comunale dispone di poteri in materia di apertura, esercizio e trasferimento di farmacie ai sensi della legge n. 475 del 1968, come incisivamente modificata dal D.L. n. 1/2012, convertito dalla legge n. 27/2012. Inoltre, l’art. 2 di detta legge attribuisce ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. In particolare, tale norma prevede che il Comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifichi le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurarne un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate. La competenza comunale si estende inoltre, anche al trasferimento della farmacia all’interno della sede assegnata, disciplinato dall’art. 1 della medesima legge, che subordina l’autorizzazione al trasferimento all’unica condizione della distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (comma 4).

Il compito di individuare le zone ove collocare le farmacie è assegnato espressamente ai soli Comuni dall’articolo 11, commi 1 e 2, del dl 1/2012, a garanzia soprattutto dell’accessibilità del servizio farmaceutico ai cittadini. La decisione del legislatore statale di affidare ai Comuni il compito di individuare le zone risponde all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività alla quale concorrono plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l’individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, il correlato esame di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali – come si è detto – sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti all’area del merito amministrativo, rilevanti ai fini della legittimità soltanto in presenza di chiare ed univoche figure sintomatiche di eccesso di potere, in particolare sotto il profilo dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà. Inoltre, lo strumento pianificatorio (in passato denominato pianta organica) non è più configurato come atto complesso che si perfezioni con il provvedimento di un ente sovracomunale (la Regione ovvero la Provincia, o altro, a seconda delle legislazioni regionali), bensì come un atto di esclusiva competenza del Comune (e per esso della Giunta): e ciò tanto nella prima applicazione del D.L. n. 1 del 2012, quanto nelle future revisioni periodiche.

Mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune.

Beni demaniali marittimi e sdemanializzazione

Tar Campania, Napoli, sez. VII, 8 gennaio 2024, n. 216

Demanio marittimo – Sdemanializzazione – Discrezionalità

È esclusa la possibilità di sdemanializzazione tacita del demanio marittimo, essendo sempre necessario un atto formale, legislativo o amministrativo, ai sensi dell’art. 35 c. nav., che ha efficacia costitutiva, essendo basato su una valutazione tecnico-discrezionale in ordine ai caratteri naturali dell’area ed alle esigenze locali, finalizzata a verificare la sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare. E ciò a differenza di quanto previsto per il demanio, in genere, dall’art. 829 c.c., secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può dunque avvenire anche tacitamente e per facta concludentia.

Se ne ricava che i beni che fanno parte del demanio marittimo, e sono quindi sottoposti al relativo regime speciale, si definiscono per un atteggiamento specifico della demanialità, in quanto essa trova la sua peculiare ragione e, nel contempo, i suoi stessi limiti, nell’essere codesti beni immancabilmente collegati con i pubblici usi del mare. Infatti, la nozione dogmatica di demanio necessario è da connettere all’elemento della necessarietà del bene ad una funzione esclusiva dell’ente cui esso appartiene, perciò se questa viene meno, il bene cessa la possibilità dell’esercizio della funzione.

I beni demaniali marittimi sono beni aventi una destinazione pubblica specifica; essi possiedono la qualità di beni pubblici per riserva originaria ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 e 29 cod. nav., ovvero in ragione delle loro caratteristiche naturali, senza necessità di un provvedimento formale della P.A. marittima, che è invece richiesto ai fini della perdita della demanialità, quando venga meno l’idoneità dei beni a soddisfare l’uso pubblico cui erano destinati.

Titoli edilizi e legittimazione all’istanza

Consiglio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2024, n. 527

Titolo edilizio – Legittimazione all’istanza – Oneri istruttori del Comune

Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 380/2001, il permesso di costruire (o altro titolo edilizio) può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza ed è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio. Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente.

Dicatio ad patriam

Tar Lombardia, Milano, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 67

Pianificazione urbanistica – Costituzione di diritti reali – Onere probatorio – Servitù di uso pubblico – Dicatio ad patriam

Lo strumento urbanistico non vale a costituire diritti reali (salvo le ipotesi, ovviamente, di vincoli espropriativi), sicché un’area privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico.

Per la costituzione di un diritto reale su bene privato equivalente a servitù prediale, è necessario un titolo idoneo a detto scopo. In particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento. Dunque, affinché una strada privata possa essere gravata da servitù di parcheggio, non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario.

L’istituto della “dicatio ad patriam”, quale modalità di costituzione di una servitù di uso pubblico, è connotato da elementi di fatto: il proprietario, in particolare, deve mettere, in modo univoco, il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l’effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico; oppure, il proprietario deve mettere il bene a disposizione della collettività indifferenziata dei cittadini, per il tempo necessario al perfezionamento dell’usucapione.

L’affidamento della gestione degli impianti sportivi

Tar Lombardia, Milano, sez. V, 4 gennaio 2024, n. 26

Servizio pubblico – Gestione di impianti sportivi – Finalità – Vigilanza e controllo dell’Amministrazione – Concessione di immobili ad uso sportivo – Natura giuridica – Patrimonio indisponibile

La gestione di impianti sportivi comunali è un servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, per cui l’utilizzo del patrimonio si fonda con la promozione dello sport che, unitamente all’effetto socializzante ed aggregativo, assume in ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita, a beneficio non solo per la salute dei cittadini, ma anche per la vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio, etc.). Ne discende che l’affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici – appartenenti al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826 del c.c., quando siano o vengano destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive – non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura una concessione di servizi.

Gli impianti sportivi comunali appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell’art. 826, ult. comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, sicché, qualora tali beni siano dati in concessione a privati, restano devolute al giudice amministrativo le controversie sul rapporto concessorio, inclusa quella sull’inadempimento degli obblighi concessori e la decadenza del concessionario.

Soltanto nella concessione, la pubblica amministrazione concedente, esplicando le sue funzioni di vigilanza e controllo nei confronti del gestore (sulle quali l’art. 133 estende la giurisdizione esclusiva), svolge la sua attività autoritativa in funzione di regolazione del rapporto concessorio per tutta la sua durata, al fine di verificare costantemente la rispondenza dell’attività svolta dal concessionario ai canoni del servizio pubblico. In questa fase, si coglie quella commistione indissolubile tra posizioni giuridiche – di diritto soggettivo in capo al concessionario esecutore della prestazione ed esercizio di potere autoritativo in funzione di regolazione da parte dell’Amministrazione concedente – che rappresenta la ragione stessa della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle questioni che sorgono in tale ambito.

Interdittiva antimafia e titolo edilizio

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 8 gennaio 2024, n. 35

Titolo edilizio – SCIA – Interdittiva antimafia

In seguito ad un’informazione antimafia interdittiva emessa dal prefetto ai sensi dell’art. 89 bis d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, il Comune è tenuto ad adottare il provvedimento di inibizione dell’attività oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) presentata dal destinatario dell’informazione.

Pianificazione urbanistica e piani territoriali

Tar Campania, Salerno, sez. II, 5 gennaio 2024, n. 94

Pianificazione urbanistica – Piani territoriali comunali, provinciali, regionali – Piani dei consorzi ASI – Normativa Regione Campania

Il principio fondamentale di gerarchia della pianificazione urbanistica comporta che le scelte urbanistiche generali sono compiute dal Comune mediante gli strumenti urbanistici primari, mentre agli strumenti urbanistici secondari compete la funzione di attuare le suddette scelte programmatorie; di conseguenza, non è consentito al Comune di effettuare, in sede di approvazione dello strumento attuativo, valutazioni che contrastino con quelle già formalizzate con il piano regolatore generale.

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale ha, con riferimento all’individuazione delle aree agricole strategiche, una funzione non solo di indirizzo della programmazione urbanistica comunale, ma anche una funzione direttamente conformativa del territorio.

Il Piano Urbanistico Comunale è lo strumento urbanistico generale attraverso cui il Comune disciplina la tutela ambientale, le trasformazioni urbanistiche ed edilizie dell’intero territorio comunale. Tale strumento urbanistico, a norma degli artt. 22 e 23 della L. Reg. 22 dicembre 2004 n. 16, deve essere esercitato in coerenza con le previsioni della pianificazione territoriale regionale e provinciale e, quindi, va raccordato anche con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.) di cui all’art. 18 della medesima legge regionale: nella Regione Campania, all’ente provinciale è riservato, nell’ambito del procedimento di approvazione del piano urbanistico comunale, il compito di vagliare la coerenza di questo con il piano territoriale di coordinamento provinciale e di promuovere quindi, secondo un determinato iter, gli eventuali adeguamenti a ciò necessari. L’intero procedimento, per come disciplinato da queste norme è finalizzato ad attuare, nel quadro del principio di leale cooperazione, un coordinamento tra i vari attori istituzionali deputati al governo del territorio, in un’ottica di ordinato assetto di formazione del piano; peraltro, una volta conclusosi il processo di formazione del piano comunale, le funzioni della Provincia sono esaurite e non è consentito ad essa di incidere autonomamente e ulteriormente sull’efficacia del piano comunale stesso.

I Piani regolatori dei Consorzi ASI costituiscono strumenti equiparabili ai piani territoriali di coordinamento, e cioè strumenti ai quali i Comuni devono necessariamente adeguarsi nella redazione dei propri strumenti urbanistici, ma, pur trattandosi di piani sovracomunali, non hanno alcuna efficacia di disciplina diretta dell’uso del territorio. In altri termini, i Comuni, in sede di redazione dei propri piani regolatori, sono tenuti a conformarsi alle disposizioni contenute nel piano regolatore del consorzio Asi, ma qualora ciò non avvenga, va escluso ogni effetto automatico di conformazione dell’uso del territorio, potendo unicamente i consorzi Asi reagire con gli ordinari strumenti giurisdizionali avverso l’inadempimento dei Comuni. Pertanto, in assenza di recepimento delle prescrizioni dei piani regolatori dei consorzi Asi nell’ambito dei piani regolatori comunali successivamente adottati, dette prescrizioni non sono rilevanti come parametro di legittimità di atti amministrativi.

Zonizzazione acustica

Consiglio di Stato, sez. VII, 2 gennaio 2024, n. 42

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione acustica – Criteri – Contemperamento di interessi – Discrezionalità dei Comuni

L’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l’ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale.

In materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio. Infatti, a rilevare sono, da un lato, l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata; da un altro lato, l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria.

In definitiva, la disciplina legislativa statale e quella regionale perseguono l’obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall’inquinamento acustico.

L’art. 6, comma 3°, della l. 27/10/1995, n. 447, prevede che: “i Comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera f)”. Tale norma consente (e non obbliga) i Comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico, ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione dell’emissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l’esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l’istituzione di fasce orarie in cui soltanto possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest’ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata. Restano fermi i limiti alle immissioni sonore previste dalla l. n. 447 del 1995, i quali non possono comunque essere diminuiti.

Pianificazione urbanistica e affidamento dei terzi

Consiglio di Stato, sez. IV, 18 dicembre 2023, n. 10976

Pianificazione urbanistica – Definizioni – Affidamento – Limiti – Onere motivazionale rafforzato – Vendita immobile comunale

In tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte: a) le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo); b) le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull’osservanza di canoni estetici, sull’assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull’attività costruttiva).

Per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s’impone, in relazione all’immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale, a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio; invece, le prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo, possono essere oggetto di censura in occasione dell’impugnazione di questo.

L’affidamento costituisce un principio regolatore di ogni rapporto giuridico, compresi quelli di diritto amministrativo, che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata. Oltre che nei termini di fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparente, il principio coincide anche con il convincimento ragionevole della spettanza di un bene della vita o, ancora, con l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito dell’attività della pubblica amministrazione, o, infine, declinata come aspettativa del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo rilasciato, che, se frustrata, può essere fonte di responsabilità della prima.

L’affidamento del privato si configura, dunque, in ragione del convincimento ragionevole del legittimo esercizio del potere pubblico e del convincimento ragionevole dell’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, individuandosi in ciò il duplice parametro al quale ancorare la fiducia, il convincimento, o l’aspettativa del privato.

Nella tutela dell’affidamento risulta centrale la dimensione soggettiva, ma sussistono, anche, limiti fisiologici, riconducibili alle caratteristiche del rapporto amministrativo ed alla esigenza di proteggere anche altri principi ritenuti pari-ordinati o superiori alle aspettative di profitto dei singoli, quali, a titolo di esempio, sopravvenienze normative, scelte di politica economica, necessità di superare prassi amministrative illegittime, sia pure reiterate nel tempo.

In determinate occasioni, anche lo strumento urbanistico generale richiede una motivazione specifica di certe scelte, soprattutto in ipotesi nelle quali vi è un affidamento qualificato del privato, ovvero: a) ipotesi di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree; b) il caso del privato che abbia ottenuto un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o di un silenzio-rifiuto su una domanda edilizia, in ordine alla pretesa di variante di nuove previsioni urbanistiche rilevanti, in quanto sopravvenute nel corso del giudizio.

Sussiste un affidamento tutelabile in capo al privato, e dunque l’obbligo in capo al Comune di motivare la scelta pianificatoria, qualora sia concluso un contratto di vendita di un immobile comunale che, al tempo della stipulazione, aveva una più favorevole disciplina urbanistica, mentre, subito dopo, ha visto mutata quella disciplina in senso deteriore, per l’effetto dell’attività pianificatoria del medesimo ente locale, il quale aveva però impostato le trattative sul presupposto del più favorevole regime urbanistico. Infatti, benché il contratto non abbia ad oggetto l’attività di conformazione e trasformazione del territorio, nondimeno l’affidamento del privato può considerarsi sorto e qualificabile come “legittimo”, in quanto maturato in presenza di una serie di concomitanti circostanze che si reputano idonee a far sorgere e consolidare “la fiducia”, “il convincimento”, “l’aspettativa” del privato, sulla persistenza di quel regime urbanistico che disciplinava il compendio immobiliare.

Abuso edilizio e interventi successivi

Consiglio di Stato, sez. VII, 23 novembre 2023, n. 10039

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Interventi edilizi successivi

La normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive. Pertanto, la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.

Il condono straordinario ex lege n. 47/1985 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni. D’altra parte, v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.