Urbanistica/edilizia

Titoli edilizi e legittimazione all’istanza

Consiglio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2024, n. 527

Titolo edilizio – Legittimazione all’istanza – Oneri istruttori del Comune

Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 380/2001, il permesso di costruire (o altro titolo edilizio) può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza ed è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio. Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente.

Dicatio ad patriam

Tar Lombardia, Milano, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 67

Pianificazione urbanistica – Costituzione di diritti reali – Onere probatorio – Servitù di uso pubblico – Dicatio ad patriam

Lo strumento urbanistico non vale a costituire diritti reali (salvo le ipotesi, ovviamente, di vincoli espropriativi), sicché un’area privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico.

Per la costituzione di un diritto reale su bene privato equivalente a servitù prediale, è necessario un titolo idoneo a detto scopo. In particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento. Dunque, affinché una strada privata possa essere gravata da servitù di parcheggio, non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario.

L’istituto della “dicatio ad patriam”, quale modalità di costituzione di una servitù di uso pubblico, è connotato da elementi di fatto: il proprietario, in particolare, deve mettere, in modo univoco, il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l’effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico; oppure, il proprietario deve mettere il bene a disposizione della collettività indifferenziata dei cittadini, per il tempo necessario al perfezionamento dell’usucapione.

L’affidamento della gestione degli impianti sportivi

Tar Lombardia, Milano, sez. V, 4 gennaio 2024, n. 26

Servizio pubblico – Gestione di impianti sportivi – Finalità – Vigilanza e controllo dell’Amministrazione – Concessione di immobili ad uso sportivo – Natura giuridica – Patrimonio indisponibile

La gestione di impianti sportivi comunali è un servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, per cui l’utilizzo del patrimonio si fonda con la promozione dello sport che, unitamente all’effetto socializzante ed aggregativo, assume in ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita, a beneficio non solo per la salute dei cittadini, ma anche per la vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio, etc.). Ne discende che l’affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici – appartenenti al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826 del c.c., quando siano o vengano destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive – non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura una concessione di servizi.

Gli impianti sportivi comunali appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell’art. 826, ult. comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, sicché, qualora tali beni siano dati in concessione a privati, restano devolute al giudice amministrativo le controversie sul rapporto concessorio, inclusa quella sull’inadempimento degli obblighi concessori e la decadenza del concessionario.

Soltanto nella concessione, la pubblica amministrazione concedente, esplicando le sue funzioni di vigilanza e controllo nei confronti del gestore (sulle quali l’art. 133 estende la giurisdizione esclusiva), svolge la sua attività autoritativa in funzione di regolazione del rapporto concessorio per tutta la sua durata, al fine di verificare costantemente la rispondenza dell’attività svolta dal concessionario ai canoni del servizio pubblico. In questa fase, si coglie quella commistione indissolubile tra posizioni giuridiche – di diritto soggettivo in capo al concessionario esecutore della prestazione ed esercizio di potere autoritativo in funzione di regolazione da parte dell’Amministrazione concedente – che rappresenta la ragione stessa della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle questioni che sorgono in tale ambito.

Interdittiva antimafia e titolo edilizio

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 8 gennaio 2024, n. 35

Titolo edilizio – SCIA – Interdittiva antimafia

In seguito ad un’informazione antimafia interdittiva emessa dal prefetto ai sensi dell’art. 89 bis d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, il Comune è tenuto ad adottare il provvedimento di inibizione dell’attività oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) presentata dal destinatario dell’informazione.

Pianificazione urbanistica e piani territoriali

Tar Campania, Salerno, sez. II, 5 gennaio 2024, n. 94

Pianificazione urbanistica – Piani territoriali comunali, provinciali, regionali – Piani dei consorzi ASI – Normativa Regione Campania

Il principio fondamentale di gerarchia della pianificazione urbanistica comporta che le scelte urbanistiche generali sono compiute dal Comune mediante gli strumenti urbanistici primari, mentre agli strumenti urbanistici secondari compete la funzione di attuare le suddette scelte programmatorie; di conseguenza, non è consentito al Comune di effettuare, in sede di approvazione dello strumento attuativo, valutazioni che contrastino con quelle già formalizzate con il piano regolatore generale.

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale ha, con riferimento all’individuazione delle aree agricole strategiche, una funzione non solo di indirizzo della programmazione urbanistica comunale, ma anche una funzione direttamente conformativa del territorio.

Il Piano Urbanistico Comunale è lo strumento urbanistico generale attraverso cui il Comune disciplina la tutela ambientale, le trasformazioni urbanistiche ed edilizie dell’intero territorio comunale. Tale strumento urbanistico, a norma degli artt. 22 e 23 della L. Reg. 22 dicembre 2004 n. 16, deve essere esercitato in coerenza con le previsioni della pianificazione territoriale regionale e provinciale e, quindi, va raccordato anche con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.) di cui all’art. 18 della medesima legge regionale: nella Regione Campania, all’ente provinciale è riservato, nell’ambito del procedimento di approvazione del piano urbanistico comunale, il compito di vagliare la coerenza di questo con il piano territoriale di coordinamento provinciale e di promuovere quindi, secondo un determinato iter, gli eventuali adeguamenti a ciò necessari. L’intero procedimento, per come disciplinato da queste norme è finalizzato ad attuare, nel quadro del principio di leale cooperazione, un coordinamento tra i vari attori istituzionali deputati al governo del territorio, in un’ottica di ordinato assetto di formazione del piano; peraltro, una volta conclusosi il processo di formazione del piano comunale, le funzioni della Provincia sono esaurite e non è consentito ad essa di incidere autonomamente e ulteriormente sull’efficacia del piano comunale stesso.

I Piani regolatori dei Consorzi ASI costituiscono strumenti equiparabili ai piani territoriali di coordinamento, e cioè strumenti ai quali i Comuni devono necessariamente adeguarsi nella redazione dei propri strumenti urbanistici, ma, pur trattandosi di piani sovracomunali, non hanno alcuna efficacia di disciplina diretta dell’uso del territorio. In altri termini, i Comuni, in sede di redazione dei propri piani regolatori, sono tenuti a conformarsi alle disposizioni contenute nel piano regolatore del consorzio Asi, ma qualora ciò non avvenga, va escluso ogni effetto automatico di conformazione dell’uso del territorio, potendo unicamente i consorzi Asi reagire con gli ordinari strumenti giurisdizionali avverso l’inadempimento dei Comuni. Pertanto, in assenza di recepimento delle prescrizioni dei piani regolatori dei consorzi Asi nell’ambito dei piani regolatori comunali successivamente adottati, dette prescrizioni non sono rilevanti come parametro di legittimità di atti amministrativi.

Zonizzazione acustica

Consiglio di Stato, sez. VII, 2 gennaio 2024, n. 42

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione acustica – Criteri – Contemperamento di interessi – Discrezionalità dei Comuni

L’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l’ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale.

In materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio. Infatti, a rilevare sono, da un lato, l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata; da un altro lato, l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria.

In definitiva, la disciplina legislativa statale e quella regionale perseguono l’obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall’inquinamento acustico.

L’art. 6, comma 3°, della l. 27/10/1995, n. 447, prevede che: “i Comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera f)”. Tale norma consente (e non obbliga) i Comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico, ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione dell’emissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l’esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l’istituzione di fasce orarie in cui soltanto possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest’ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata. Restano fermi i limiti alle immissioni sonore previste dalla l. n. 447 del 1995, i quali non possono comunque essere diminuiti.

Pianificazione urbanistica e affidamento dei terzi

Consiglio di Stato, sez. IV, 18 dicembre 2023, n. 10976

Pianificazione urbanistica – Definizioni – Affidamento – Limiti – Onere motivazionale rafforzato – Vendita immobile comunale

In tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte: a) le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo); b) le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull’osservanza di canoni estetici, sull’assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull’attività costruttiva).

Per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s’impone, in relazione all’immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale, a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio; invece, le prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo, possono essere oggetto di censura in occasione dell’impugnazione di questo.

L’affidamento costituisce un principio regolatore di ogni rapporto giuridico, compresi quelli di diritto amministrativo, che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata. Oltre che nei termini di fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparente, il principio coincide anche con il convincimento ragionevole della spettanza di un bene della vita o, ancora, con l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito dell’attività della pubblica amministrazione, o, infine, declinata come aspettativa del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo rilasciato, che, se frustrata, può essere fonte di responsabilità della prima.

L’affidamento del privato si configura, dunque, in ragione del convincimento ragionevole del legittimo esercizio del potere pubblico e del convincimento ragionevole dell’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, individuandosi in ciò il duplice parametro al quale ancorare la fiducia, il convincimento, o l’aspettativa del privato.

Nella tutela dell’affidamento risulta centrale la dimensione soggettiva, ma sussistono, anche, limiti fisiologici, riconducibili alle caratteristiche del rapporto amministrativo ed alla esigenza di proteggere anche altri principi ritenuti pari-ordinati o superiori alle aspettative di profitto dei singoli, quali, a titolo di esempio, sopravvenienze normative, scelte di politica economica, necessità di superare prassi amministrative illegittime, sia pure reiterate nel tempo.

In determinate occasioni, anche lo strumento urbanistico generale richiede una motivazione specifica di certe scelte, soprattutto in ipotesi nelle quali vi è un affidamento qualificato del privato, ovvero: a) ipotesi di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree; b) il caso del privato che abbia ottenuto un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o di un silenzio-rifiuto su una domanda edilizia, in ordine alla pretesa di variante di nuove previsioni urbanistiche rilevanti, in quanto sopravvenute nel corso del giudizio.

Sussiste un affidamento tutelabile in capo al privato, e dunque l’obbligo in capo al Comune di motivare la scelta pianificatoria, qualora sia concluso un contratto di vendita di un immobile comunale che, al tempo della stipulazione, aveva una più favorevole disciplina urbanistica, mentre, subito dopo, ha visto mutata quella disciplina in senso deteriore, per l’effetto dell’attività pianificatoria del medesimo ente locale, il quale aveva però impostato le trattative sul presupposto del più favorevole regime urbanistico. Infatti, benché il contratto non abbia ad oggetto l’attività di conformazione e trasformazione del territorio, nondimeno l’affidamento del privato può considerarsi sorto e qualificabile come “legittimo”, in quanto maturato in presenza di una serie di concomitanti circostanze che si reputano idonee a far sorgere e consolidare “la fiducia”, “il convincimento”, “l’aspettativa” del privato, sulla persistenza di quel regime urbanistico che disciplinava il compendio immobiliare.

Abuso edilizio e interventi successivi

Consiglio di Stato, sez. VII, 23 novembre 2023, n. 10039

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Interventi edilizi successivi

La normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive. Pertanto, la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.

Il condono straordinario ex lege n. 47/1985 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni. D’altra parte, v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.

Occupazione sine titulo

Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 23 novembre 2023, n. 885

Occupazione sine titulo – Istanza di acquisizione sanante – Obbligo di provvedere – Discrezionalità

Il dovere dell’amministrazione di far venire meno l’occupazione sine titulo, ossia di adeguare la situazione di fatto con quella di diritto non incisa dall’occupazione medesima, costituisce espressione del principio generale di legalità dell’azione amministrativa. Deve pertanto ritenersi la sussistenza di un obbligo di provvedere ex art. 2 l. n. 241/1990 sull’istanza del proprietario volta a sollecitare il potere di acquisizione ex art. 42-bis (o, in alternativa, a disporre la restituzione del bene), fermo restando il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla pubblica amministrazione sul merito dell’istanza.

Tettoia e titolo edilizio

Tar Lazio, Roma, sez. IV ter, 23 novembre 2023, n. 17395

Titolo edilizio – Intervento di nuova costruzione – Realizzazione di una tettoia – Vincoli ambientali e paesaggistici – Diniego di sanatoria – Onere motivazionale attenuato

La realizzazione di una tettoia, indipendentemente dalla sua eventuale natura pertinenziale, è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/01, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi ed impianti ed è quindi subordinata al regime del permesso a costruire, ai sensi dell’art. 10, comma primo, lettera c), dello stesso d.P.R., laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce.

Non sussiste la natura pertinenziale nel caso in cui sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata un’opera qualsiasi, quale può essere, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.

La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari.

Possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del decreto legge n. 269 del 2003, integrate dalle opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, mentre per le altre tipologie di abusi, riconducibili alle tipologie di illecito di cui ai nn. 1, 2 e 3, del menzionato Allegato, interviene una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive; la norma statale di cui all’art. 32, comma 27, del decreto legge n. 269 del 2003 è chiara nell’indicare come ostativa alla possibilità di rilascio del condono la realizzazione di opere recanti nuove superfici e nuovi volumi su aree soggette a vincoli posti a tutela dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere.

Il richiamo al vincolo paesaggistico insistente sull’area su cui sono stati realizzati gli abusi edilizi e alle caratteristiche di questi ultimi costituisce in primo luogo motivazione sufficiente a fondare i dinieghi di condono impugnati, con conseguente carattere vincolato del provvedimento di rigetto e sostanziale inutilità dell’accertamento di compatibilità paesaggistica; a nulla rileva la circostanza che l’Amministrazione non avrebbe correttamente indicato la natura del vincolo di cui ex lett. b) che rinvia all’art.142 lett. m) del d.lgs. 42/2004, atteso che la presenza di altri vincoli compiutamente identificati è idonea ex se a sostenere l’impianto motivazionale del provvedimento.