Varie

Moschee, divieti e oneri di motivazione

Consiglio di Stato, sez. VII, 27 febbraio 2025, n. 1710

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione – Luogo di culto religioso – Provvedimento di diniego – Deficit istruttorio e motivazionale – Illegittimità – Diritto inviolabile di culto – Dovere delle autorità pubbliche di regolare il territorio senza frapporre ostacoli all’esercizio del culto –

A fronte di una domanda di un’associazione di promozione sociale volta all’individuazione e concessione da parte del comune di uno spazio da adibire in modo permanente e duraturo a luogo di culto religioso per la comunità musulmana, deve intendersi affetto da deficit istruttorio e motivazionale  il provvedimento di diniego fondato sul  rilievo dell’assenza di  un’area destinabile a culto, secondo la pianificazione urbanistica, laddove, al contrario, detta area non solo risulti esistente, ma il comune richieda contraddittoriamente adempimenti che ne presuppongono l’esistenza, evidenziando inoltre che, quando pure detta area fosse disponibile, sarebbe necessaria seguire una procedura ad evidenza pubblica. In siffatto modo il comune frappone un illegittimo e insormontabile ostacolo all’esercizio della libertà di culto da parte dell’associazione richiedente con un diniego che, nella sua perentorietà immotivata, blocca qualsiasi prospettiva e iniziativa

Secondo Corte cost., 5 dicembre 2019, n. 254, della libertà di religione, costituente diritto inviolabile, il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale, per cui l’esercizio pubblico e comunitario del culto va tutelato, e va assicurato ugualmente a tutte le confessioni religiose, a prescindere dall’avvenuta stipulazione o meno dell’intesa con lo Stato e dalla loro condizione di minoranza. La libertà di culto si traduce anche nel diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare (Corte cost. n. 67 del 2017) e comporta perciò più precisamente un duplice dovere a carico delle autorità pubbliche cui spetta di regolare e gestire l’uso del territorio (essenzialmente le regioni e i comuni): in positivo – in applicazione del principio di laicità – esso implica che le amministrazioni competenti prevedano e mettano a disposizione spazi pubblici per le attività religiose; in negativo, impone che non si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e che non si discriminino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici (Corte cost. n. 63 del 2016, n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993).

NCC e obbligo di autorimessa

Consiglio di Stato, sez. V, 10 marzo 2025, n. 1957

Circolazione stradale – Servizio di noleggio con conducente (NCC) – Obbligo di autorimessa nel territorio del Comune che rilascia l’autorizzazione – Ratio – Legittimità – Non violazione della libertà di stabilimento

L’obbligo di utilizzare, nell’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC), esclusivamente una rimessa ubicata all’interno del territorio del comune che rilascia l’autorizzazione, è immediatamente finalizzato a garantire che il servizio stesso, pur potendosi svolgere senza limiti spaziali, cominci e termini presso la medesima rimessa, ovvero entro il territorio comunale. Ciò risponde all’esigenza di assicurare che il detto servizio sia svolto, almeno tendenzialmente, a favore della comunità locale di cui il comune è ente esponenziale. La prescrizione che la rimessa sia ubicata entro il territorio dell’ente è coessenziale alla natura stessa dell’attività da espletare, diretta principalmente ai cittadini del comune autorizzante cui si vuol garantire un servizio, non di linea, complementare e integrativo rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta. La verifica del rispetto del vincolo di territorialità non può prescindere dall’accertamento dell’effettivo utilizzo della rimessa, non essendo a tal fine sufficiente la mera disponibilità (per tale, anche potenzialmente fittizia) della stessa.

Il particolare regime della necessaria territorialità delle licenze del servizio di noleggio con conducente (NCC) non viola le regole di diritto eurounitario, atteso che l’art. 49 del TFUE, che tutela la libertà di stabilimento, è posto a presidio della libera circolazione delle imprese da uno Stato membro all’altro, valore che non è certo posto in discussione dalle disposizioni legislative, le quali si limitano a richiedere, quale requisito oggettivo del servizio, la localizzazione della rimessa in ambito comunale.

Convenzioni urbanistiche, accordi sostitutivi, inadempimento e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 marzo 2025, n. 1962

Convenzioni urbanistiche – Natura giuridica – Disciplina – Inadempimento dell’amministrazione – Rimedi civilistici – Riparto dell’onere probatorio – Risarcimento dei danni – Danno emergente – Lucro cessante – Natura giuridica – Tesi ontologica

La convenzione stipulata tra privato ed amministrazione volta a disciplinare le modalità di realizzazione di opere di urbanizzazione deve assimilarsi a un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ex articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 al quale si applicano, ove non diversamente previsto, i principi civilistici in materia di inadempimento delle obbligazioni. Pertanto, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 del codice civile.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al danno emergente, alle spese documentate direttamente imputabili, anche pro quota, alla attuazione della convenzione, a meno che non si tratti di spese che, per la loro natura indivisibile, il privato avrebbe comunque dovuto sostenere e che pertanto non risultano sine causa, nell’an o nel quantum, in conseguenza del venir meno in parte qua della convenzione urbanistica.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) non può ricomprendere, quanto al danno emergente, le spese relative al regime di tassazione dell’immobile rimasto invenduto in quanto indice di capacità contributiva, cui si correlano peraltro anche vantaggi in termini di solvibilità, ampiezza della garanzia patrimoniale e possibilità di ottenere finanziamenti. Difatti, non si tratta di un pregiudizio patrimoniale suscettibile di ristoro ma dell’insieme di diritti e di obblighi legali connessi in via ordinaria alla titolarità del bene.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al lucro cessante per perdita di chance, all’utile presuntivamente ritraibile dall’operazione (nella specie stimato nel 10% del prezzo di compravendita) sul quale poi va calcolata la percentuale corrispondente alla concreta possibilità di conseguimento della utilità finale attesa (nella specie, rappresentata dalla vendita del bene e stimata nel 30% dell’utile teorico) che deve tener conto di specifiche circostanze (nella specie, presenza di una o più proposte di acquisto, eventuali condizioni disincentivanti all’acquisto, assoggettamento della convenzione edilizia al potere di recesso dell’amministrazione, scelta processuale dell’operatore di chiedere la risoluzione della convenzione senza ricercare ulteriori chance di vendita).

In materia di risarcimento del lucro cessante, va accolta la tesi ontologica del danno da perdita di chance, qualificando la chance alla stregua di una posta attiva del patrimonio del danneggiato assistita da una consistenza probabilistica adeguata circa il conseguimento dell’utilità finale attesa e, in ordine alla quantificazione, può farsi applicazione del criterio del principio della liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa

Tar Lazio, Roma, sez. I, 25 febbraio 2025, n. 4128

Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso – Iter procedimentale – Momento istruttorio e decisorio – Provvedimento di scioglimento – Natura giuridica – Interessi rilevanti – Motivazione rafforzata – Comunicazione avvio procedimento – Non necessarietà

Il decreto presidenziale di cui all’art. 143 Tuel è l’esito di un articolato iter procedimentale che si avvia con l’azione della Prefettura territorialmente competente la quale nomina un’apposita commissione d’accesso presso gli uffici dell’ente locale, finalizzata ad acquisire tutti gli elementi concernenti eventuali collegamenti (ovvero influenze) tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata. L’esito degli accertamenti viene vagliato dalla Prefettura la quale trasmette un’apposita relazione al Ministro dell’interno che, a sua volta, propone al Consiglio dei ministri lo scioglimento dell’ente locale e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dello stesso. Una volta deliberato dal Consiglio dei Ministri lo scioglimento, esso è disposto con decreto del Presidente della Repubblica. L’attività degli organi statali periferici è di natura istruttoria, mentre il momento decisorio è rimesso al Governo (nella sua composizione collegiale) in base alla proposta del Ministro dell’interno la quale, ovviamente, può recepire in tutto o in parte quanto evidenziato nella relazione prefettizia.

Il provvedimento di scioglimento è una misura straordinaria, di carattere non sanzionatorio bensì preventivo, per affrontare una situazione emergenziale e finalizzata alla salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. L’interesse curato dall’amministrazione statale è di rango talmente elevato che il potere nell’apprezzamento degli elementi fattuali posti a base della decisione di scioglimento di un ente locale democraticamente eletto è particolarmente ampio, andando anche oltre le responsabilità personali dei singoli amministratori: ciò si traduce, indi, in una valutazione complessiva dello stato dell’apparato burocratico mediante un giudizio globale e sintetico che deve però evidenziare degli elementi «concreti, univoci e rilevanti» di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso, non potendosi ricorrere al commissariamento nei casi di gestione meramente inefficiente o inefficace.

La decisione di commissariare un ente ai sensi dell’art. 143 Tuel è (quasi) sempre basata su una molteplicità di percorsi argomentativi che si fondono tra loro, pur mantenendo una loro unitarietà potendo (spesso) anche autonomamente costituire ragione sufficiente a giustificare lo scioglimento: pertanto, gli interessati debbono dimostrare l’erroneità della totalità (o quanto meno della gran parte) degli iter logico-motivazionali impiegati dall’amministrazione quale spiegazione della propria decisione.

È esclusa la necessità di garantire la piena partecipazione degli interessati, in considerazione della «natura di misura straordinaria di prevenzione che ha il provvedimento di scioglimento e della funzione ritenuta prevalente dall’ordinamento, di salvaguardia della funzionalità dell’amministrazione pubblica e di rimedio a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale, dovuto al condizionamento da parte della criminalità organizzata». Conseguentemente, la lamentata mancanza di una formale comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990) e l’omissione di un reale contraddittorio, sono perfettamente legittimi tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento e della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone, riguardando piuttosto la complessiva operatività dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale.

Formazione della giunta comunale e parità di genere

Tar Campania, Napoli, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 1087

Giunta comunale – Designazione componenti – Parità di genere – Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti – Onere sindacale di ricerca di componenti di genere femminile anche esterni al Consiglio – Mancata disponibilità – Onere motivazionale attenuato

Ai fini del rispetto della parità di genere nell’ambito della giunta comunale, ai sensi dell’art. 6 comma 3 e 46 comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli enti locali), spetta al sindaco svolgere l’attività volta ad acquisire la disponibilità di soggetti femminili, anche esterni al consiglio per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, ai sensi dell’art. 47, comma 4, del medesimo decreto legislativo, motivando adeguatamente l’eventuale impossibilità di adeguamento alla legge; incombe pertanto sul sindaco l’onere di provare di non essere riuscito ad acquisire la disponibilità allo svolgimento della funzione assessorile da parte di un rappresentante del genere femminile.

Ai fini del rispetto della parità di genere la natura fiduciaria della carica assessorile non può giustificare la limitazione di un eventuale interpello alle sole persone appartenenti alla stessa lista o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco; ciò a maggior ragione in realtà locali non particolarmente estese.

Alla Corte Costituzionale le norme liguri in materia di rimozione dei vincoli di destinazione d’uso

Tar Liguria, Genova, sez. II, ordinanza 23 gennaio 2025, n. 78

Pianificazione urbanistica – Vincoli conformativi ed espropriativi – Vincolo di destinazione produttiva – Rimozione per insostenibilità economica – Normativa Regione Liguria

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 della l.reg. Liguria 7 febbraio 2008, n. 1, con riferimento agli artt. 3, 41, 42, 117, comma 1, quest’ultimo in relazione all’art. 1 protocollo addizionale CEDU, e 117, co. 2, lett. l) della Costituzione, nella parte in cui non prevede come condizione sufficiente ai fini della rimozione del vincolo destinazione d’uso quella della insostenibilità economica dell’attività economica.

Sale da gioco e violazione degli orari di apertura

Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2025, n.  868

Sale da gioco e scommesse – Orari di apertura – Violazione reiterata – Sospensione dell’attività per un tempo ragionevole e adeguato – Legittimità

Pur nella consapevolezza di un precedente contrario (Cons. Stato, V, 7 dicembre 2023, n. 10632), ritiene il Collegio di dover confermare il proprio indirizzo, alla cui stregua il Comune può legittimamente prevedere che, in caso di reiterata violazione della disciplina sindacale sugli orari di apertura delle sale da gioco e di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro, si applichi la misura restrittiva della sospensione dell’attività per un tempo ragionevole e adeguato.

Le restrizioni al gioco d’azzardo lecito

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1066

Sale da gioco o scommessa – Localizzazione – Distanze minime – Scuola dell’infanzia e asilo nido – Restrizioni al gioco di azzardo lecito – Legittimità – Interessi protetti

Anche la scuola dell’infanzia è qualificabile come “istituto di istruzione” e non “di mera formazione” anche ai fini del rispetto dell’obbligo della distanza minima dai luoghi in cui sono praticate le attività di gioco e scommessa e comunque anche il nido rientra nel “complesso dei servizi all’infanzia” (si vedano gli “Orientamenti nazionali per servizi educativi per l’infanzia” adottati con decreto ministeriale 24 febbraio 2022, n. 43), nell’ambito del Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni (cfr. art. 1 del d. lgs. 13 aprile 2017, n. 65).

La giurisprudenza della Corte di giustizia consente agli Stati membri di adottare restrizioni al gioco d’azzardo lecito giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco (per tutte cfr. Corte di giustizia UE 22 ottobre 2014 C-344/13 e C-367/13 e 30 giugno 2011 C-¬212/08).

I rifiuti da fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1064

RSU – Nozione – Fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue

I fanghi prodotti nell’ambito dell’attività di depurazione dei reflui possono essere sottoposti alla disciplina dei rifiuti solo una volta completato il processo di trattamento, ovvero se il produttore abbia necessità di disfarsene, sì che il recupero dei fanghi presso impianti di depurazione più grandi e avanzati deve ritenersi consentito.

La nozione di rifiuto è definita dall’art. 183, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi; la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo; si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell’ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all’evidente fine quindi di sottrarsi dall’obbligo di recupero o smaltimento.

La Corte di Giustizia UE ha poi precisato che l’espressione “disfarsi” (utilizzata anche nella definizione di “rifiuto” fornita dalla direttiva 2006/12/CE) deve essere intesa in senso non restrittivo dovendosi tener conto dell’obiettivo di tale direttiva che, ai sensi del suo considerando 2, consiste nella tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. I, 12 dicembre 2013, cause riunite C-241/12 e C-242/12, par 38). Rilevante nella ricostruzione del quadro normativo è l’art. 127 del d.lgs. n.152 del 2006 (Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue), secondo cui “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”. L’espressione “comunque solo” è stata inserita dall’articolo 9, comma 1, del d.l. del 14 aprile 2023, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 13 giugno 2023, n. 68, e rafforza sostanzialmente quanto poteva già desumersi prima del citato intervento normativo ovvero che la qualifica di rifiuto può essere attribuita ai fanghi solo al termine del complessivo processo di trattamento.

Il potere organizzativo degli enti locali

Tar Lazio, Roma, sez. II bis, 12 febbraio 2025, n. 3093

Poteri amministrativi e potere regolamentare comunale di tipi organizzativo – Fonti di energie rinnovabili – Principio di massima diffusione – Deroga – Localizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili – Distanze minime – Contemperamento degli interessi

L’art. 117, comma 6, Cost. ha costituzionalizzato la potestà regolamentare di tipo organizzativo in capo agli enti locali, sancendo così il principio della corrispondenza tra poteri amministrativi e potestà regolamentare di tipo organizzativo. Ne deriva che gli enti locali sono chiamati ad adottare regolamenti organizzativi che disciplinino le loro funzioni e assetto organizzativo.

L’art. 7 TUEL stabilisce che – anche se la potestà regolamentare comunale è di tipo organizzativo – essa deve essere esercitata nel rispetto dei principi generali fissati dalla legge statale o regionale e comunque dello statuto dell’ente locale. Pertanto, tali regolamenti possono essere sindacati in sede giurisdizionale. Del resto, l’art. 14 DPR 1199/1971 individua il carattere sostanzialmente normativo del regolamento, ma gli riconosce altresì la veste formalmente amministrativa, con la conseguenza per la quale il regime di impugnazione ben può essere individuato nell’ordinario sistema rimediale (caducatorio-annullatorio).

Il diritto UE, in cui da ultimo s’inscrive il Regolamento UE 2022/2577, mira a favorire un quadro normativo che intende favorire la massima diffusione delle energie rinnovabili, cosicché la normativa nazionale che ponga dettami restrittivi rispetto a tale obiettivo deve essere ritenuta ostativa.

È fatto divieto al legislatore di introdurre disposizioni primarie, ma ciò vale a fortiori per quelle secondarie, contenenti un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili. E ciò in quanto la prescrizione di limiti normativi generali, specialmente in relazione alle distanze minime, viola il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili.

Tale principio, secondo l’insegnamento della Consulta, può sì trovare eccezione, ma solo in presenza di esigenze di tutela della salute, di necessità paesaggistico-ambientali o attinenti all’assetto urbanistico del territorio, tuttavia da valutarsi in concreto da parte della PA, all’esito di un procedimento amministrativo che ponderi i diversi interessi coinvolti. In altre parole, una disciplina normativamente prevista con riferimento alle distanze minime, stabilite in via generale, senza previa istruttoria o valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, non assicura il rispetto dei principi [di imparzialità e buon andamento della PA ex art. 97 Cost.], né offre una tutela adeguata ai diversi interessi coinvolti.