Varie

Ordinanze contingibili e urgenti e poteri istruttori

Tar Campania, Napoli, sez. V, 2 ottobre 2024, n. 5187

Ordinanza contingibile e urgente – Poteri istruttori sindacali – Destinatari – Materiale disponibilità della fonte di pericolo

Ancorché l’amministrazione non sia tenuta a svolgere un’approfondita istruttoria circa la proprietà dei beni stessi, l’ordinanza contingibile e urgente sindacale, adottata allo scopo di fronteggiare una situazione di pericolo, presuppone comunque il suo indirizzamento nei confronti di chi si trovi nella posizione di poter intervenire tempestivamente per eliminare la situazione di pericolo; tale è la condizione di chi abbia a qualsiasi titolo la materiale disponibilità dei beni dai quali il pericolo origina.

Accordi di diritto pubblico e di diritto privato

Consiglio di Stato, sez. IV, 5 settembre 2024, n. 7435

Accordi di diritto privato e di diritto pubblico – Interpretazione – Principio di buona fede – Caratteri

Gli accordi, tanto di diritto privato, quanto di diritto pubblico, devono essere interpretati in coerenza con il principio di buona fede che affascia tutti i rapporti di diritto privato (art. 1175, 1375 c.c.) e di diritto pubblico (art. 1, comma 2 bis, l. n. 241 del 7 agosto 1990, art. 5 d.lgs. n. 36 del 31 marzo 2023), anche perché il criterio di interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c. non può essere relegato a criterio di interpretazione meramente sussidiario rispetto ai criteri di interpretazione letterale e funzionale.: l’elemento letterale va integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui la buona fede, che si specifica in particolare nel significato di lealtà, ossia nell’evitare di suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte.

Servizi sociali e terzo settore

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 1 ottobre 2024, n. 2533

Servizi sociali – Gestione – Principio di sussidiarietà orizzontale – Co-programmazione e co-progettazione – Terzo settore

La gestione di servizi sociali può essere affidata dalle amministrazioni pubbliche mediante forme di co-programmazione e co-progettazione con gli enti del terzo settore, per l’individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi necessari e delle modalità di realizzazione degli stessi, ai sensi degli artt. 55 e 56 del d.lgs. n. 117 del 3 luglio 2017 (codice del terzo settore), che rappresentano un modello alternativo, espressione del principio di sussidiarietà orizzontale, a quello caratterizzato dall’acquisizione di beni e servizi mediante lo strumento dell’appalto pubblico o della concessione di cui al d.lgs. n. 36 del 31 marzo 2023 (codice dei contratti pubblici), il cui art. 6 infatti precisa che gli istituti di cui al Titolo VII del codice del terzo settore – che comprende gli artt. 55 e 56 – non rientrano nel campo di applicazione del codice dei contratti pubblici, le cui norme non sono quindi applicabili a siffatte procedure.

Classificazione delle vie pubbliche e giurisdizione

Tar Sicilia, Catania, sez. II, sentenza 23 settembre 2024, n. 3148

Classificazione delle vie pubbliche – Dichiarazione della Giunta comunale di servitù pubblica – Natura giuridica della pretesa – Presunzione di pubblicità – Prova contraria

La valutazione in merito alla contestazione dei provvedimenti di classificazione di una strada e di eventuali diritti reali sulla stessa è rimessa alla cognizione (rectius alla giurisdizione) del giudice civile, involgendo pretese di accertamento di un diritto soggettivo.

Distretti industriali e agroalimentari e riparto di competenze

Consiglio di Stato, sez. II, 19 settembre 2024, n. 7690

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione e localizzazione – Distretti industriali e agroalimentari – Discrezionalità

L’individuazione dei distretti industriali (anche in campo alimentare) e dei distretti del cibo – di competenza delle regioni e delle province autonome – non ha lo scopo di disciplinare l’uso del territorio, essendo essenzialmente preordinata al sostegno, sotto varie forme (regolamentari, organizzative e finanziarie) alle imprese che svolgono attività agricole e agroalimentari. Ciò non esclude che il Comune – nell’ambito del potere di pianificazione urbanistica da non intendersi limitato alla sola regolazione delle potenzialità edificatorie e alla “zonizzazione” del territorio comunale – possa orientare lo sviluppo economico di alcune zone verso determinate produzioni (escludendone altre), onde creare le condizioni affinché un territorio venga individuato dalle autorità competenti come distretto agroalimentare o un distretto del cibo, e, ove già istituiti, possano ulteriormente svilupparsi.

Dissesto finanziario e mancata presentazione nei termini dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato

Tar Campania, Napoli, sez. I, 20 settembre 2024, n. 5039

Enti locali – Gestione finanziaria – Dichiarazione di dissesto – Condizioni – Doverosità – Onere motivazionale attenuato – Presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato – Questione di legittimità costituzionale

La dichiarazione del dissesto ex art. 244 del Tuel costituisce atto dovuto in presenza delle condizioni normativamente prescritte, costituite dalla “incapacità funzionale”, ovvero dalla “decozione finanziaria”.

La decisione di dichiarare lo stato di dissesto finanziario dell’ente locale rappresenta una determinazione vincolata ed ineludibile, in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge. Pertanto, essa non può in alcun caso dirsi frutto di una scelta discrezionale dell’ente medesimo. La dichiarazione di dissesto finanziario è un atto rigidamente vincolato che, ai sensi dell’articolo 244 del decreto legislativo 267 del 2000, si rende necessario, laddove l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero qualora esistano nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con gli strumenti forniti dalle norme di contabilità. Deve ritenersi, dunque, motivazione sufficiente per la dichiarazione di dissesto la semplice ricognizione della esistenza di uno o di entrambi i suddetti presupposti.

Non appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che, escludendo il potere sollecitatorio del Prefetto, riconducono la mancata approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato da parte del Consiglio, nel perentorio termine di tre mesi, ad un’ipotesi di scioglimento che mal si concilia con la natura dell’inadempimento e produce un effetto esorbitante, conducendo alla rimozione del Consiglio democraticamente eletto, eccedendo la misura del doveroso rispetto delle autonomie locali. È altresì difficilmente comprensibile l’equiparazione della mancata presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato al compimento di atti contrari alla Costituzione o a gravi e persistenti violazioni di legge, mancando da un lato la volontà preordinata a disattendere le norme fondamentali dello Stato e, d’altro lato, difettando il connotato di un operato che si contraddistingua per la gravità e persistenza del comportamento negativo od omissivo dell’Ente locale.

L’ipotesi di scioglimento del Consiglio comunale può ritenersi giustificata a fronte di inderogabili e superiori esigenze di garantire l’unitarietà dello Stato, altrimenti risultando violate le prerogative delle autonomie locali e dei singoli consiglieri, laddove – similmente con quanto avviene per l’ipotesi di mancata approvazione del bilancio – all’omissione riscontrata possa ovviarsi attraverso il potere sollecitatorio del Prefetto, che consenta all’ente locale territoriale di “recuperare” la propria autonomia e di assolvere alle proprie funzioni, in linea con quanto previsto all’art. 245, terzo comma, del T.U.E.L., che rimette agli organi istituzionali dell’ente il compito di assicurare “condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto”.

Va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 della Costituzione:

a) dell’art. 259, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 36, limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto;

b) dell’art. 261, quarto comma, del T.U.E.L., limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, per la parte in cui ugualmente stabilisce la perentorietà del termine (di 45 giorni) per la presentazione di una nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, susseguente all’istruttoria negativa della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali;

c) dell’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., limitatamente alla previsione secondo cui “l’inosservanza del termine per la presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all’articolo 261, comma 1, o del termine di cui all’articolo 261, comma 4, […] integrano l’ipotesi di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a)”.

Revoca del revisore contabile e giurisdizione

Tar Puglia, Lecce, sez. III, 20 settembre 2024, n. 1025

Enti locali – Attività del revisore contabile – Gravi inadempienze – Mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto nei termini di legge – Potere di revoca – Natura giuridica – Contrasto interpretativo – Potestà/facoltà privatistica

La revoca del Revisore contabile degli Enti Locali è disciplinata dall’art. 235, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., secondo cui “2. Il Revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d)”. Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria ha qualificato la revoca di che trattasi alla stregua di un vero e proprio potere pubblicistico, inquadrabile nell’alveo dell’autotutela della P.A., finalizzata alla salvaguardia dell’interesse dell’Ente territoriale, allorquando il Revisore contabile si riveli inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla legge. Secondo tale impostazione, siffatto potere di revoca sarebbe necessariamente caratterizzato da elementi pubblicistici, rinvenibili nel fatto che il predetto potere sarebbe del tutto speculare rispetto a quello contemplato per la nomina di tale Revisore contabile, previsto, invece, dall’art. 234, comma 1, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., secondo cui “1. I consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane eleggono con voto limitato a due componenti un collegio di revisori composto da tre membri”. Inoltre, tale orientamento valorizza la circostanza che la funzione di Revisore contabile degli Enti Locali costituisca un c.d. munus pubblico, per cui non potrebbero giammai venire in rilievo posizioni di diritto soggettivo. Ne conseguirebbe che ogni questione relativa al sindacato sull’esercizio di tale potere di revoca non possa che essere attratta nella giurisdizione generale di legittimità del G.A.

A fronte di tale orientamento, si contrappone invece, quello minoritario, secondo il quale tale provvedimento viene ad incidere su posizioni giuridiche di diritto soggettivo e, segnatamente, sul diritto all’esatto adempimento del contratto stipulato inter partes e, nonostante la formale qualificazione in termini di revoca, deve più propriamente essere qualificato quale atto di recesso espressione di un diritto potestativo. Ne discende che della controversia insorta in merito alla effettiva esistenza dei fatti di inadempimento contestati ed alle relative conseguenze patrimoniali, deve essere investito il giudice ordinario in applicazione dell’ordinario criterio di riparto della giurisdizione.

Ebbene, ritiene questo Collegio, meditatamente, di dover dare seguito al secondo orientamento – pur se allo stato minoritario.

In primo luogo, si evidenzia che il dato letterale dell’art. 235, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., secondo cui la “revoca” (rectius, recesso) possa avvenire solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto nei termini di legge, implica che si siano verificati gravi inadempimenti relativi alla fase di esecuzione dell’incarico professionale (ancorché connotato da tratti pubblicistici), ossia di vicende rispetto alle quali l’ente pubblico ed il revisore sono posti in posizione paritetica.

Ancora, il termine “revoca” adoperato dalla norma in parola non può essere in alcun modo dirimente, non essendo tale “atto” espressione di una potestà pubblicistica, dal momento che non si è in presenza di alcuna ipotesi (tipica) di autotutela della P.A.; nel dettaglio, non può trattarsi né di una ipotesi di annullamento d’ufficio, di cui all’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 e ss.mm., poiché non viene in rilievo, nel caso di specie, alcuna illegittimità dell’atto di nomina, né di una ipotesi di revoca (pubblicistica) di cui all’art. 21-quinquies della Legge n. n. 241/1990 e ss.mm., atteso che non si verte in tema di inopportunità e di rivalutazione dell’(originario o sopravvenuto) interesse pubblico al verificarsi del denunciato inadempimento. In altri termini, l’Ente locale – nel disporre la revoca/risoluzione per ravvisate gravi inadempienze nell’espletamento dell’incarico di Revisore dei Conti – non esercita alcuna potestà discrezionale di valutazione comparativa di interessi pubblici (primari e secondari) rispetto all’interesse del privato destinatario dell’atto di “revoca”, né è tenuta ad esprime una motivazione sull’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale (necessaria, invece, nella diversa ipotesi di esercizio del potere pubblicistico di secondo grado di autotutela della P.A.), ma deve – solo – accertare se vi siano state (o meno) gravi inadempienze nell’espletamento dell’incarico di Revisore dei Conti (e se sussiste il grave inadempimento, non ha alcun potere discrezionale, ma deve operare la revoca/recesso).

Non può, peraltro, nemmeno essere applicato, nel caso di specie, il dedotto principio di simmetria delle forme, secondo cui la revoca dovrebbe possedere la stessa natura (pubblicistica) dell’atto di nomina di cui all’art. 234, comma 1, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., dal momento che, una volta conclusasi la fase di nomina del Revisore contabile, tutte le vicende inerenti la corretta esecuzione dell’incarico professionale conferito non possono che attenere alla successiva fase esecutiva dell’incarico e, dunque, a posizione di diritto soggettivo come, pure, accade per le similari ipotesi di risoluzione o recesso dal contratto di appalto pubblico da parte della S.A. (vedi: artt. 122 – 123 del D. Lgs. n. 36/2023), stipulato a seguito del provvedimento amministrativo di aggiudicazione.

Concessioni di spazi pubblici, discrezionalità e organizzazioni di tipo fascista

Consiglio di Stato, sez. II, 19 settembre 2024, n. 7687

Concessioni amministrative – Discrezionalità – Criteri per l’esame delle istanze – Definizione preventiva – Legittimità – Competenze – Condizioni per il rilascio – Finalità antidemocratiche proprie del partito fascista – Rigetto dell’istanza

La concessione di spazi pubblici, comportando un utilizzo a fini privati di aree o locali che vengono così sottratti all’uso comune, è espressione di una potestà ampiamente discrezionale, sia nell’an, sia nella definizione di tempi, modi e condizioni dell’occupazione.

La definizione in via preventiva e generale di criteri e indirizzi per l’esame delle relative istanze da parte del Comune, proprietario e concedente, non è illegittima, anzi, comportando un vincolo che la stessa Amministrazione pone rispetto all’esercizio dell’ampia discrezionalità che le è riconosciuta in materia, costituisce attuazione del principio d’imparzialità di cui all’art. 97 Cost.

Inoltre, la circostanza che il Comune possa approvare o abbia invero emanato un regolamento in materia non esclude l’adozione di atti d’indirizzo, con il solo limite che questi siano rispettosi del primo (e, ovviamente, delle altre fonti sovraordinate): da una lettura congiunta dell’art. 107 (secondo cui ai dirigenti spettano i compiti di gestione e agli organi di governo dell’Ente le funzioni d’indirizzo e controllo) e dell’art. 48 del TUEL (secondo cui la Giunta compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati al Consiglio comunale o al Sindaco) emerge infatti una generale competenza della Giunta all’adozione di atti d’indirizzo rispetto alla concreta gestione amministrativa, finanziaria e tecnica demandata ai dirigenti.

Nel definire le condizioni cui è subordinata la concessione di questi spazi, l’Amministrazione ben può perseguire l’obiettivo di evitare che essi vengano utilizzati per il perseguimento delle finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, ovvero per la pubblica esaltazione di esponenti, principi, fatti, metodi e finalità antidemocratiche del fascismo – comprese le idee e i metodi razzisti – o ancora per il compimento di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste. Si tratta, infatti, di un obiettivo di sicuro interesse pubblico. Infatti, la matrice antifascista della Costituzione repubblicana emerge tanto dalla sua genesi – in quanto essa è stata elaborata dalle forze che avevano partecipato alla Resistenza, conclusasi con quella “cesura ordinamentale” rappresentata dalla fondazione della Repubblica e dall’avvento del nuovo ordine democratico – quanto soprattutto dalla sua struttura e dal contenuto: le norme e i principi costituzionali – in particolare, il principio lavoristico, quelli di democrazia, solidarietà ed eguaglianza, il riconoscimento dei diritti dell’uomo (anteriori a ogni concessione da parte dello Stato) come singolo e nelle formazioni sociali nonché delle autonomie, pur nell’unità e indivisibilità della Repubblica, la pace e l’apertura alla Comunità internazionale – si pongono (consapevolmente, come emerge anche dai lavori preparatori della Costituente) in chiara discontinuità rispetto a quelli propri del regime precedente, riconoscendo espressamente diritti e libertà che dal fascismo erano stati violati e approntando gli istituti giuridici per garantire loro tutela – non ultimo, prevedendo un controllo di costituzionalità delle leggi. In tale contesto, il primo comma della XII disposizione, che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», non può ritenersi meramente transitoria. A tale disposizione ha dato attuazione legge 20 giugno 1952, n. 645 (c.d. “legge Scelba”), che fornisce a quel bene giuridico definibile come “ordine pubblico democratico e costituzionale” una tutela anticipata in relazione a manifestazioni che, in connessione con la natura pubblica delle stesse, espressamente richiesta dalla norma, possano essere tali da indurre alla ricostituzione di un partito che, per la sua ideologia antidemocratica, e per espressa previsione appena sopra richiamata, contenuta nella stessa Carta del 1948 (XII, disp. trans. fin. Cost.), è contraria all’assetto costituzionale.

È legittimo che il Comune, nel definire gli indirizzi per la concessione degli spazi pubblici, adotti delle cautele preventive volte a evitare che questi siano utilizzati per il compimento di atti o fatti che possano favorire la riorganizzazione “sotto qualsiasi forma” del partito fascista come definita dall’art. 1 della legge n. 645 del 1952 (secondo cui «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista»), comprese dunque quelle manifestazioni che siano tali da provocare adesioni e consensi e concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.

Le assunzioni nelle Unioni di comuni

Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2024, n. 7605

Unioni dei Comuni – Assunzione di personale a tempo indeterminato – Normativa – Modalità

L’art. 33, comma 2, del d.l. 30 aprile 2019, n. 34 convertito dalla legge n. 162 del 2019 e ss.mm. e ii. e il decreto interministeriale del 17 marzo 2020, che fissano la nuova disciplina per l’assunzione di personale a tempo indeterminato per i Comuni, non trovano applicazione alle Unioni dei Comuni.

La facoltà di assunzione delle Unioni dei Comuni è tuttora disciplinata dall’art. 1, comma 229, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che costituisce norma speciale, consentendo il reclutamento di personale con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nei limiti del 100% delle spese relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente.

In merito ai vincoli assunzionali applicabili l’Unione di Comuni ha, ad oggi, a disposizione due strumenti per procedere alle assunzioni di personale: – da una parte può assumere autonomamente, utilizzando direttamente spazi assunzionali propri ed applicando la consueta regola dei turnover al 100% ex comma 229 della legge 208/2015, senza alcun adeguamento del limite del trattamento accessorio; – dall’altra può avvalersi, seppur assumendo direttamente, di spazi assunzionali ulteriori, ceduti (ex art. 32, comma 5, TUEL) dai Comuni virtuosi (così come definiti in base alla nuova normativa in materia, ovvero capaci di assumere a tempo indeterminato aumentando la propria spesa di personale nel rispetto dei valori soglia), concretamente aumentando la propria dotazione organica.

La localizzazione degli impianti di telefonia mobile

Tar Campania, Napoli, sez. VII, 16 settembre 2024, n. 4982

Pianificazione urbanistica – Piano di rete – Localizzazione – Limiti e criteri – Installazioni fisse di telefonia mobile – Legittimità – Interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio

La procedura avente ad oggetto la presentazione, da parte di ciascun gestore e in via necessaria, di un Piano annuale riguardante le installazioni fisse di telefonia mobile da realizzarsi nel territorio comunale (non imposta dalla legislazione statale) può riconoscersi rispondente a criteri di razionalità dell’azione amministrativa, perseguendosi con essa l’intento di conseguire un minimo di conoscenza preventiva e di pianificazione circa l’installazione degli impianti, al fine di poter orientare l’attività amministrativa di preliminare controllo urbanistico edilizio e ambientale in merito all’assentibilità di dette strutture nonché presentando tale previsione (nella sua finalità istruttorio-ricognitiva) una stretta inerenza allo svolgimento della funzione autorizzatoria.

Il piano di rete e il regolamento per la localizzazione e realizzazione degli impianti radioelettrici sono illegittimi nella parte in cui obbligano i gestori a collocare i nuovi impianti esclusivamente nei siti individuati dal piano di rete comunale, con divieto di allocazione su altri siti del territorio comunale.

Tenuto conto di quanto previsto dall’art.8 l. n. 36/2001, non è ammessa l’individuazione di un’area singola o di porzioni ristrette del territorio ove collocare gli impianti in base al perseguimento di interessi di tipo urbanistico esclusivamente locali, costituendo ciò un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’amministrazione comunale di identificare le zone dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio.

Detto piano di localizzazione – alla luce di quanto sopra osservato circa il fatto che la potestà comunale di identificare le zone dove collocare gli impianti è condizionata dalla condizione che l’esercizio di tale facoltà sia rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio – non può considerarsi vincolante e conformativo del territorio, dovendo esso contribuire a disegnare dei criteri per una migliore distribuzione della rete e copertura del territorio, ma non potendo introdurre limiti assoluti alla localizzazione, come invece finirebbe per essere se il progettista fosse rigidamente vincolato dalle proposte di localizzazione effettuate anno per anno al Comune.