Varie

Divieto di affissione di manifesti e libertà di manifestazione del pensiero

Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2025, n. 362

Attività di propaganda pubblicitaria – Divieto di pubblicità ingannevole – Principi e criteri direttivi – Libertà di manifestazione del pensiero – Limitazioni – Ammissibilità – Affissione di manifesti nel territorio comunale – Diniego – Competenza comunale – Legittimità

La libertà di espressione del pensiero non è illimitata e assolutamente non controllata, ma, anche in applicazione dell’art. 10 comma 2 della Carta europea dei diritti dell’uomo, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposta dall’autorità pubblica anche a formalità, condizioni ovvero restrizioni, le quali, in una società democratica, appaiono misure necessarie a proteggere l’interesse pubblico superiore e la reputazione ovvero i diritti altrui. L’esplicazione di detta libertà – in specie quella che si avvale del mezzo pubblicitario, idoneo a raggiungere numerosi ed indifferenziati destinatari di una determinata comunità territoriale – non incontra solo i limiti della violenza e dell’aggressività verbale, dovendosi attribuire pari rilevanza alla “continenza espressiva” dei contenuti, nel rispetto della normativa, nonché dei principi di prudenza e precauzione, volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio e a garantirne la chiara corrispondenza al vero.

È legittima la delibera di giunta comunale avente ad oggetto il  diniego di affissione di manifesti nel territorio comunale, nell’ambito della campagna promossa da un’associazione anti-abortiva, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della pillola abortiva RU486, laddove siano  adeguatamente motivate le ragioni del diniego, senza l’espressione di alcun giudizio di valore in merito alla questione del diritto all’aborto, ma sul rilievo che i  manifesti siano  idonei a ingenerare in maniera ingiustificata allarme per la salute e la vita delle donne che ne fanno uso, trattandosi  di  farmaco approvato dalle autorità competenti. La libertà di manifestazione del pensiero non consente infatti di sovrapporre ingannevolmente la contestata finalità del farmaco alla sua distribuzione e utilizzazione debitamente autorizzate. Non è peraltro ravvisabile l’incompetenza della giunta, vertendosi su materia rientrante nella competenza residuale di detto organo, ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Il comune è competente ad adottare regolamenti e atti di indirizzo volti a limitare la pubblicazione di manifesti pubblicitari ingannevoli, non essendo ravvisabile un contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 21 Cost. Infatti, l’art. 3 del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 consente all’amministrazione comunale di disciplinare con regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità e di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in relazione ad esigenze di pubblico interesse. Detto potere, anche  ai sensi del  richiamo al “codice di autodisciplina della comunicazione commerciale” contenuto nel regolamento comunale  per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni – che non esaurisce per intero il potere regolamentare e di indirizzo del comune – non può  intendersi limitato alla sola comunicazione  commerciale,  ma investe  ogni tipo di comunicazione pubblicitaria,  destinata a veicolare messaggi, di contenuto vario, compresi quelli volti a “sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici”,  ai sensi dell’art. 46 del Codice di autodisciplina,  per il tramite degli impianti pubblicitari comunali.

I decreti legislativi 2 agosto 2007, nn. 145 e 146, pur riferiti ad attività commerciali, dettano principi generali applicabili alla pubblicità, stabilendo che debba rispondere a canoni di trasparenza, verità e correttezza, e vietano qualsiasi forma di pubblicità ingannevole, intesa come quella idonea ad indurre in errore le persone cui è rivolta o che raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, ne possa pregiudicare il comportamento.

Infrastrutture di comunicazione elettronica e avvio del procedimento

Tar Veneto, Venezia, sez. III, 3 febbraio 2025, n. 160

Procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici – Formalità – Comunicazione di avvio del procedimento – Omissione – Conseguenze – Contrasto interpretativo – Scopo dell’azione amministrativa – Art. 21 octies l. 241/1990 – Ratio – Rapporti con la normativa speciale – Silenzio assenso – Ratio

Non si registra nella giurisprudenza unanimità di vedute in ordine alle conseguenze dell’inosservanza delle formalità indicate all’art. 44, comma 5, d.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), con particolare riferimento all’applicabilità della regola del raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa – posta dall’art. 21-octies, comma 2, legge n. 241 del 1990 – soprattutto relativamente alla disposizione del secondo periodo del comma 2, ai sensi del quale “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

In base ad una prima tesi (Consiglio di Stato, sez. I, parere 10 febbraio 2023, n. 204), l’omissione delle formalità de quibus è un vizio sanabile in applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, legge n. 241 del 1990 e ciò in quanto «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di regole del procedimento, ivi inclusa la pubblicità di atti di avvio del procedimento, intesa a sollecitare la partecipazione di soggetti destinatari dell’atto conclusivo (nella specie, più in generale, tutti i soggetti interessati), se sia palese che anche con l’apporto partecipativo omesso il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia che si tratti di provvedimenti cd. “vincolati”, ma anche a di quelli a contenuto discrezionale».

Secondo la tesi opposta (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 settembre 2023, n. 8436), in passato sostenuta anche da questo Tribunale (T.A.R. Veneto, sez. III, 21 luglio 2021, n. 961), nell’economia del procedimento di autorizzazione all’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici la pubblicizzazione dell’istanza di autorizzazione costituisce «l’adempimento di un obbligo di legge sostanziale, e non meramente formale, preordinato alla conoscibilità del procedimento ed alla possibile partecipazione di cittadini interessati», e non consente deroghe di sorta. In ogni caso, non si potrebbe escludere tout court la rilevanza dell’apporto partecipativo degli interessati nel procedimento stesso.

A fronte del ricordato contrasto giurisprudenziale, il Collegio ritiene di fare proprio il primo dei suddetti orientamenti. In particolare, occorre accertare se, nonostante l’avvenuta violazione dell’art. 44, comma 5, d.lgs. n. 259 del 2003, lo scopo dell’azione amministrativa sia realizzato dal titolo formatosi per silentium, e quindi si deve innanzi tutto verificare se sia possibile assimilare le forme di pubblicità di cui al riportato art. 44, comma 5, alla comunicazione di avvio del procedimento, prevista e disciplinata dal combinato disposto degli artt. 7 e 8 legge n. 241 del 1990.

Difatti l’art. 21-octies, comma 2, della predetta legge si riferisce a due distinti tipi di procedimento amministrativo: al procedimento avente ad oggetto un’attività vincolata, considerato nella disposizione del comma 2, primo periodo, e al procedimento avente ad oggetto un’attività discrezionale, considerato nella disposizione sempre del comma 2, ma al secondo periodo. Inoltre la disposizione di cui al comma 2, secondo periodo, astrattamente applicabile nel caso in esame, trattandosi di un procedimento avente ad oggetto un’attività discrezionale: A) è applicabile solo in caso di “mancata comunicazione dell’avvio del procedimento”; B) è una norma eccezionale, in quanto deroga alla regola generale di cui al comma 1 dell’art. 21-octies, secondo il quale la violazione di legge, ivi compresa la violazione di norme sul procedimento amministrativo, comporta l’annullabilità del provvedimento amministrativo; C) può trovare applicazione solo a condizione che “l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, sicché grava sull’amministrazione l’onere di provare che, nonostante la natura discrezionale del potere, comunque la partecipazione degli interessati non avrebbe potuto incidere sull’esito finale del procedimento; D) ha natura processuale, perché il provvedimento conclusivo del procedimento (espresso o formatosi per silentium), pur essendo illegittimo, non è annullabile se il giudice, all’esito dell’accertamento sulla spettanza del bene della vita, ritiene che la partecipazione degli interessati non avrebbe potuto incidere sull’esito finale del procedimento.

Sulla base delle riportate premesse, il Collegio ritiene che l’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, legge n. 241 del 1990, pur riferendosi testualmente al mancato rispetto della garanzia prevista dall’art. 7 della medesima legge, sia applicabile anche all’art. 44, comma 5, d.lgs. n. 259 del 2003, perché tale norma, speciale, si limita a riaffermare quanto già previsto dalla norma, generale, dell’art. 8, comma 3, legge n. 241 del 1990 – a sua volta espressamente richiamato dall’art. 7 della medesima legge n. 241 – in tema di modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento. Difatti, ai sensi dell’art. 8, comma 3, legge n. 241 del 1990, “Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima”.

Pertanto, confrontando le due disposizioni, le stesse si pongono in rapporto di genus a species, ma sono entrambe accomunate dall’esigenza di garantire ai soggetti potenzialmente interessati il contraddittorio procedimentale, con le modalità ritenute in concreto più idonee, perché l’art. 44, comma 5, d.lgs. n. 259 del 2003 si limita a riaffermare (con una disposizione che tiene conto della specialità del procedimento previsto per gli impianti di telefonia mobile) quanto già previsto in termini generali dal combinato disposto degli artt. 7 e 8, comma 3, legge n. 241 del 1990.

Ne consegue che l’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, si presta ad essere interpretato nel senso che – proprio in virtù del rinvio operato dall’art. 7 legge n. 241 del 1990 all’art. 8, comma 3, della medesima legge – esso si applica anche nel caso in cui il Comune non provveda a pubblicizzare l’istanza, in violazione dell’art. 44, comma 5, d.lgs. n. 259 del 2003.

L’istituto del silenzio assenso risponde ad una valutazione legale tipica che comporta l’equivalenza dell’inerzia dell’amministrazione ad un provvedimento di accoglimento, con la conseguenza che, per effetto del decorso del termine di legge, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche nel caso di una domanda astrattamente non conforme al paradigma normativo.

Del resto, a conferma dell’operatività del meccanismo del silenzio assenso in caso di istanza incompleta ovvero irregolare, milita la disposizione dell’art. 20, comma 3, legge n. 241 del 1990, che prevede il rimedio dell’annullamento in autotutela, cui l’amministrazione può ricorrere proprio per rimuovere le conseguenze del silenzio assenso formatosi in difetto dei presupposti di legge.

TARI: metodo “normalizzato” e metodo “puntuale”

Consiglio di Stato, sez. V, 7 gennaio 2025, n. 81

Servizi pubblici – RSU – TARI – Natura giuridica – Ratio – Delibere tariffarie – Metodo “normalizzato” e “puntuale” – Discrezionalità – Onere motivazionale

In materia di tari (tassa sui rifiuti), rientra nella facoltà dell’ente comunale dare applicazione al “metodo normalizzato” (applicazione della tariffa sulla base di parametri predeterminati dal legislatore) oppure al “metodo puntuale” (applicazione della tariffa sulla base di una valutazione quantitativa dei rifiuti effettivamente producibili), purché vengano adeguatamente giustificate le ragioni per cui si ritiene di optare per un metodo in luogo dell’altro e non derivino conseguenze manifestamente sproporzionate per i contribuenti. La scelta deve essere il frutto di adeguata ponderazione che induca l’amministrazione a scegliere uno dei due modelli non solo per ragioni di opportunità organizzativa, ma anche per le ricadute in termini pratici ed economici nei confronti degli utenti.

La tari (tassa sui rifiuti) è stata istituita con legge 27 dicembre 2013, n. 147, è destinata a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. Le tariffe devono assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti e sono determinate con delibera del consiglio comunale sulla base dei costi individuati e classificati nel piano finanziario approvato dallo stesso consiglio.

Toponomastica e riparto di competenze

Consiglio di Stato, sez. I, parere 7 gennaio 2025, n. 4

Toponomastica – Competenza comunale – Procedimento di intitolazione di nuove strade – Deliberazione di Giunta comunale – Necessarietà

Da una lettura sistematica del quadro normativo vigente – legge 23 giugno 1927, n. 1188; legge 24 dicembre 1954, n. 1228; decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 – si desume che il Comune è l’esclusivo titolare della funzione amministrativa di toponomastica, mentre il Prefetto è chiamato a rilasciare o meno l’autorizzazione basandosi su ragioni di tutela dell’ordine pubblico o esigenze di regolarità anagrafica. Ne consegue che il corretto procedimento per l’intitolazione di nuove strade si articola in due fasi, la prima delle quali consta della delibera di giunta comunale e, la seconda, del nulla osta del Prefetto, di guisa che, in assenza di una preventiva deliberazione di giunta non vi sarebbe alcuna ipotesi di intitolazione da sottoporre al vaglio prefettizio.

Disabilità, sostegno e danno non patrimoniale

Consiglio di Stato, sez. VI, 15 gennaio 2025, n. 306

Assistenza scolastica – Alunni disabili – Insegnante di sostegno – Necessarietà – Danno non patrimoniale – Presupposti

La presenza dell’insegnante di sostegno è fondamentale per l’attuazione dei principi costituzionali relativi all’istruzione, all’inclusione di tutti i soggetti anche quelli con diversità, all’eguaglianza dei cittadini, secondo l’interpretazione dell’art. 3 Cost., che legittima il trattamento differenziato quando serve a evitare situazioni penalizzanti per certe categorie di cittadini, ossia quando è la non applicazione a determinare le osteggiate discriminazioni.

Il danno non patrimoniale, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, purché la lesione dell’interesse superi una soglia minima di tollerabilità (imponendo il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., di tollerare le intrusioni minime nella propria sfera personale, derivanti dalla convivenza) e purché il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi.

La valutazione dell’interesse culturale

Consiglio di Stato, sez. VII, 17 dicembre 2024, n. 10140

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Valutazione dell’interesse culturale – Discrezionalità tecnico-valutativa

La valutazione dell’interesse culturale di un bene è un’esclusiva prerogativa dell’amministrazione responsabile del relativo vincolo e comporta un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché richiede l’applicazione di conoscenze tecniche specialistiche in settori scientifici come storia, arte e architettura.

Elezioni e principio di “strumentalità delle forme”

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 20 dicembre 2024, n. 1023

Procedimento elettorale – Principio di strumentalità delle forme – Ratio – Illegittimità non invalidante – Irregolarità sostanziali e non sostanziali – Rilevanza

Nel procedimento elettorale vige il principio di strumentalità delle forme, che, in correlazione con la regola di conservazione delle operazioni elettorali, mira finalisticamente alla stabilità del risultato elettorale nonché al rispetto della volontà espressa dagli elettori. In ragione dell’operatività dell’istituto della illegittimità non invalidante, sono rilevanti soltanto le irregolarità sostanziali, influenti, cioè, sulla libera espressione del voto e sulla complessiva attendibilità del risultato finale. Sono invece irrilevanti le irregolarità non sostanziali, ovvero i vizi nella compilazione dei verbali delle sezioni elettorali, inerenti la corrispondenza tra il numero degli iscritti e i votanti, il numero delle schede autenticate, il riepilogo dei voti relativi allo scrutinio, la congruenza tra i voti di preferenza e i voti di lista. È, in ogni caso, sempre onere di chi agisce in giudizio avverso gli atti elettorali dimostrare in che modo le presunte irregolarità, alterando la manifestazione del voto, comportino l’illegittimità del risultato proclamato e l’ottenimento di quello auspicato.

Sale da gioco, interessi economici e tutela della salute

Consiglio di Stato, sez. V, 20 dicembre 2024, n. 10252

Sale da gioco – Limitazioni orarie – Presupposti – Tutela della salute

La regolazione degli orari delle sale da gioco non può considerarsi viziata da deficit di istruttoria o di motivazione soltanto perché il numero dei giocatori ludopatici non sia in assoluto elevato, poiché ciò che massimamente va considerato è la tendenza registrata nel periodo considerato, la quale, da sola, induce allarme negli enti pubblici preposti alla tutela della salute e giustifica, pertanto, l’adozione di misure restrittive.

L’interesse pubblico alla tutela della salute deve ritenersi prevalente su quello economico dei gestori delle sale gioco, per cui l’eventuale riduzione degli introiti di questi ultimi, dipendente dalla riduzione dell’orario di funzionamento degli apparecchi di gioco e di apertura delle sale gioco, che non sia tale da determinare la chiusura di tali attività, è da considerare proporzionale allo scopo e tale da contemperare gli interessi in conflitto, che, in ogni caso, hanno una diversa tutela.

Disabilità, garanzie minime e limiti finanziari

Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 10 dicembre 2024, n. 925

Istruzione pubblica – Alunno minore disabile – Piano educativo individuale – Diritto di accesso all’istruzione – Ore assistenza scolastica – Risorse comunali disponibili – Discrezionalità – Limiti

Le necessità di un alunno con disabilità, così come definite dal piano educativo individuale (PEI), in linea di principio, non vincolano il Comune, il quale è tenuto a garantire l’assistenza “nei limiti delle proprie disponibilità”. Per altro verso, l’esercizio del potere discrezionale di allocazione delle risorse non può ledere il “nucleo indefettibile di garanzie minime” del diritto sociale all’integrazione scolastica, da parametrare in ragione del particolare grado di disabilità dell’interessato. Nel caso di alunni sordi, pertanto, deve ritenersi illegittima, per violazione del diritto costituzionalmente garantito “all’accesso” all’istruzione, la determinazione del Comune che ha ridotto, per mere ragioni finanziarie, le ore di assistenza giornaliera del traduttore LIS previste dal PEI, precludendo al disabile l’accesso effettivo alla formazione scolastica per la durata dell’intero orario settimanale.

Illegittimo diniego dell’autorizzazione all’attività di noleggio con conducente (NCC)

Tar Campania, Salerno, sez. III, 7 novembre 2024, n. 2094

Autorizzazione amministrativa – Noleggio con conducente – Diniego – Non legittimità – Registro informatico delle imprese esercenti i servizi di taxi e noleggio con conducente – Operatività – Libertà di iniziativa economica e di stabilimento

È illegittimo il diniego di autorizzazione per il servizio di noleggio da rimessa con conducente che sia fondato sulla previsione contenuta nell’articolo 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, in legge 11 febbraio 2019, n. 12 – in virtù del quale non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni fino alla piena operatività dell’archivio informatico delle imprese esercenti i servizi di taxi e noleggio con conducente – in quanto la scelta amministrativa adottata impinge, senza alcuna limitazione temporale, su diritti costituzionalmente garantiti quali la libertà di iniziativa economica (art. 41 Costituzione) e la libertà di stabilimento, con la connessa tutela della concorrenza tra le imprese, anche nel più esteso ambito unionale (articolo 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’articolo 49 TFUE). Inoltre, vanno applicati i principi enunciati dalla Corte costituzionale con sentenza 19 luglio 2024, n. 137 la quale, anche se successiva al provvedimento impugnato, determina la cessazione della efficacia erga omnes della norma contenuta nell’articolo 10-bis, comma 6 dichiarata incostituzionale ed impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti, in relazione ai quali la norma risulti ancora rilevante, stante l’effetto retroattivo dell’annullamento, escluso solo per i c.d. “rapporti esauriti”.