GIURISPRUDENZA

Consigliere comunale e decadenza dalla carica

Tar Campania, Napoli, sez. I, 9 maggio 2024, n. 3021

Consiglio comunale – Decadenza dalla carica di consigliere comunale – Natura giuridica – Cause – Astensionismo ingiustificato e astensionismo deliberato e preannunciato – Protesta politica – Termini per contestare i presupposti per la decadenza dalla carica di consigliere comunale

In via generale, la decadenza dalla carica di consigliere comunale costituisce una limitazione all’esercizio di un munus publicum, sicché la valutazione delle circostanze cui è conseguente la decadenza vanno interpretate restrittivamente.

Il carattere sanzionatorio del provvedimento, destinato ad incidere su una carica elettiva, impone la massima attenzione agli aspetti garantistici della procedura, anche per evitare un uso distorto dell’istituto come strumento di discriminazione nei confronti delle minoranze. Sotto distinto profilo, l’istituto della decadenza è posto a presidio di una ordinata e proficua attività dell’organo collegiale e tende a sanzionare il comportamento del consigliere che, una volta eletto, si disinteressi del mandato conferitogli dai cittadini.

L’elettorato passivo trova tutela a livello costituzionale (art. 51 Cost.): le ragioni che, in relazione al modo di esercizio della carica, possano comportare decadenza devono essere obiettivamente gravi nella loro assenza o inconferenza di giustificazione, ovvero nella loro genericità e carenza di prova, tale da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza.

L’astensionismo ingiustificato di un consigliere comunale costituisce legittima causa di decadenza sul presupposto del disinteresse e della negligenza che l’amministratore mostra nell’adempiere il proprio mandato, con ciò generando non solo difficoltà di funzionamento dell’organo collegiale cui appartiene ma violando, altresì, l’impegno assunto con il corpo elettorale che lo ha eletto e che ripone in lui la dovuta fiducia politico–amministrativa.

A differenza dell’astensionismo deliberato e preannunciato che può considerarsi uno strumento di lotta politico-amministrativa a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi, dialettici e democratici delle forze di maggioranza, quello non preventivamente comunicato e addotto solo successivamente – e su richiesta di giustificazione per la mancata partecipazione ai lavori consiliari – costituisce legittima causa di decadenza, generando difficoltà di funzionamento dell’organo collegiale cui appartiene il consigliere comunale e violando l’impegno assunto con il corpo elettorale che lo ha eletto e che ripone in lui la dovuta fiducia politico–amministrativa.

La mera protesta politica, dichiarata a posteriori, non è idonea a costituire valida giustificazione delle assenze dalle sedute consiliari, in quanto, a tale scopo, occorre che il comportamento ed il significato della protesa che il consigliere comunale intende annettervi siano in qualche modo esternati al Consiglio o resi pubblici in concomitanza alla estrema manifestazione di dissenso, di cui la diserzione delle sedute costituisce espressione.

Procedimento amministrativo e termine di conclusione

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 maggio 2024, n. 772

Procedimento amministrativo – Termine per la conclusione – Obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi

Decorso il termine di legge per la conclusione del procedimento, quand’anche si profili una assenza dei presupposti per l’ottenimento di un provvedimento favorevole all’istante, l’amministrazione non è esonerata dall’obbligo di pronunciarsi con un provvedimento espresso, attesa la sussistenza di tale obbligo, secondo i principi generali, ogniqualvolta, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica ed indipendentemente da una previsione espressa di legge, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle relative determinazioni, le quali, peraltro, non potrebbero neppure essere surrogate da motivazioni espresse soltanto con la costituzione in giudizio a seguito della proposizione dell’actio contra silentium.

Servizi a rete, affidamenti in house e obblighi di detenzione della partecipazione societaria

Consiglio di Stato, sez. V, 9 maggio 2024, n. 4153

Servizi pubblici – In house providing –  Delibera degli organi societari – Determinazione amministrativa prodromica – Atto meramente confermativo ed atto di conferma – Nozioni – Costituzione di una società pubblica – Oggetto – Aggiudicazione di appalto pubblico da parte di società controllate – Esenzione da applicazione Direttiva UE/2014/24 e normativa interna – Condizioni necessarie – Servizio Idrico Integrato – Affidamento diretto – Ente di governo d’ambito – Obbligo partecipativo dell’ente locale

La volontà del soggetto pubblico che è socio di una società mista (ovvero di una società in house), analogamente a quella di ogni soggetto collettivo socio di una società di capitali, e a differenza di quanto accade per il socio persona fisica, non si forma nel foro interno per essere, poi, esternata mediante dichiarazione e voto in assemblea, ma all’esito di un evidente procedimento amministrativo, il cui atto principale è deliberato dall’organo competente per legge. V’è, dunque, una fase pubblicistica che precede la fase privatistica interna alla società e che si conclude con l’adozione della delibera da parte degli organi societari. Il socio pubblico, infatti, agisce prima come autorità e, poi, come socio: come autorità determina e come socio delibera. La determinazione amministrativa precede ed è prodromica alla delibera societaria, secondo l’usuale schema dell’atto amministrativo prodromico all’adozione di un atto negoziale.

L’atto meramente confermativo differisce dall’atto di conferma: il primo si limita a dichiarare il mero dato dell’esistenza di un precedente provvedimento; il secondo, invece, pur arrivando alle stesse conclusioni ed avendo lo stesso contenuto dell’atto confermato, è pronunciato all’esito di una nuova valutazione degli interessi coinvolti e di una nuova istruttoria. In tale ottica, pertanto, per stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile), o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi.

L’ente locale, ai sensi dell’art. 149-bis, d.lgs. n. 152/2006, è obbligato a partecipare alla società in house alla quale l’Ente di governo d’ambito ha affidato direttamente la gestione del servizio idrico integrato. Tale partecipazione comporta l’applicazione, nei confronti dell’ente pubblico partecipante, dell’art. 3-bis, c. 1-bis, ultimo periodo, d.l. n. 138/2011, senza che lo stesso ente socio possa opporre generici impedimenti finanziari per sottrarsi agli adempimenti richiesti dalla legge. Infatti, l’erogazione di servizi inerenti a un bene primario, quali sono le risorse idriche, non può essere condizionata da esigenze finanziarie del singolo ente locale, il quale deve agire nel rispetto del principio della programmazione, di cui al d.lgs. n. 118/2011, allegato 4/1, trattandosi di spesa ampiamente prevedibile, e del principio stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 275/2016, secondo il quale “E’ la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa applicazione”. Tale principio può applicarsi anche laddove venga in rilievo una parte del SII da erogarsi in qualità di grossista nell’interambito, stante l’impossibilità di assicurazione dello stesso da parte del gestore unico.

Servizio di cremazione e necessità di gara

Consiglio di Stato, sez. V, 22 aprile 2024, n. 3605

Servizi pubblici – Servizio di cremazione – Gestione – Competenza dei Comuni – Affidamento mediante indizione di gara a evidenza pubblica

Nelle leggi di inizio del secolo scorso che hanno disciplinato la cosiddetta municipalizzazione dei servizi pubblici locali (disposta in particolare con la legge 29 marzo 1903, n. 103, legge Giolitti; e poi con il successivo testo unico sull’assunzione diretta dei pubblici servizi dei Comuni, di cui al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578) non era espressamente contemplato il servizio di cremazione, il quale, tuttavia, era preso in considerazione da altre norme sia di livello legislativo, che regolamentare, essenzialmente a fini di igiene e sanità pubblica. Il problema di qualificazione del servizio – già all’inizio del secolo e anche prima della legislazione sopra richiamata – si presentava non con riferimento alle ipotesi in cui una norma di fonte primaria qualificava espressamente l’attività come servizio pubblico, obbligando altresì i Comuni a procedere alla sua assunzione e al suo concreto svolgimento, ipotesi che non suscitava particolari questioni di qualificazione (se non sotto il profilo della individuazione delle forme giuridiche e organizzative mediante le quali i Comuni dovevano attuare il servizio). La questione si prospettava, invece, soprattutto con riguardo alla facoltà dei Comuni di assumere, fra i loro compiti, anche attività non comprese tra quelle che il legislatore (si pensi all’elenco di cui all’art. 1 della legge Giolitti, riproposto come art. 1 del testo unico del 1925) individuava quali servizi pubblici locali. In ogni caso, veniva sottolineato come si trattava di un elenco a carattere esemplificativo e non tassativo, che consentiva ai Comuni di estendere il catalogo dei servizi pubblici anche ad attività non comprese tra i servizi obbligatori, o tra quelli elencati dal legislatore.

Abuso edilizio, ordine di demolizione e inottemperanza

Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 3 maggio 2024, n. 8858

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Accertamento dell’inottemperanza – Natura giuridica – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Effetti giuridici

Il verbale di accertamento dell’inottemperanza ad un ordine di demolizione ha valore endoprocedimentale ed è, come tale, privo di portata lesiva, limitandosi con esso gli agenti della Polizia municipale al compimento di un’attività di mera constatazione che riveste carattere strumentale rispetto all’atto di acquisizione al patrimonio comunale di cui all’art. 31, commi 3 e 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

È con il formale atto di acquisizione – adottato, a valle del verbale di accertamento dell’inottemperanza, dal dirigente o comunque dal responsabile del competente ufficio comunale – che viene certificato il passaggio di proprietà del bene al patrimonio pubblico e formato il titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari. Solo a tale provvedimento, e non al verbale, deve dunque essere riconosciuta capacità lesiva dell’interesse del privato.

Permesso in sanatoria e autotutela

Consiglio di Stato, sez. VI, 3 maggio 2024, n. 4060

Abuso edilizio – Permesso in sanatoria – Annullamento in autotutela – Onere motivazionale

È illegittimo l’annullamento in autotutela di un permesso in sanatoria, laddove esso sia privo di una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e la posizione di affidamento dei destinatari dell’atto stesso.

Ordinanza di demolizione ed effetti dell’inottemperanza

Tar Marche, Ancona, sez. I, 30 aprile 2024, n. 429

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Inottemperanza – Effetti giuridici – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Natura giuridica

L’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura dichiarativa e comporta – in base alle regole dell’obbligo propter rem – l’acquisto ipso iure del bene identificato nell’ordinanza di demolizione alla scadenza del termine di 90 giorni fissato con l’ordinanza di demolizione. Qualora, per la prima volta, sia con esso identificata l’area ulteriore acquisita, in aggiunta al manufatto abusivo, l’ordinanza ha natura parzialmente costitutiva, in relazione solo a quest’ultima (comportando una fattispecie a formazione progressiva).

L’inottemperanza all’ordinanza di demolizione comporta la novazione oggettiva dell’obbligo del responsabile o del suo avente causa di ripristinare la legalità violata, poiché, a seguito dell’acquisto del bene da parte dell’Amministrazione, egli non può più demolire il manufatto abusivo e deve rimborsare all’Amministrazione le spese da essa sostenute per effettuare la demolizione d’ufficio, salva la possibilità che essa consenta anche in seguito che la demolizione venga posta in essere dal privato.

Servizi pubblici locali, affidamento e oneri motivazionali

Tar Sicilia, Catania, sez. V, 30 aprile 2024, n. 1577

Servizi pubblici – Servizio Idrico Integrato – Gestione – Ambiti territoriali ottimali – Normativa statale e della Regione Sicilia – Affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea – Onere motivazionale rafforzato

La normativa di settore in materia di Servizio Idrico Integrato, dalla Legge n. 36/1994 (c.d. Legge Galli) fino alle pertinenti disposizioni del d.lgs. n. 152/2006, è interamente incentrata sulla necessità di organizzare la gestione del Servizio Idrico Integrato per ambiti territoriali sovracomunali, con individuazione del soggetto unico incaricato della gestione del servizio in ciascun ambito territoriale individuato.

In Sicilia, in applicazione della l. r. n. 19 del 2015, l’Ente di Governo d’Ambito, di cui al d.l. n. 133/2014 (che ha sostituito le preesistenti Autorità d’Ambito), è rappresentato dall’Assemblea Territoriale Idrica (A.T.I.), costituita dai Sindaci di tutti i Comuni ricadenti nel territorio dell’Ambito, la cui perimetrazione è rimasta coincidente con i limiti territoriali delle ex Province regionali.

Per la scelta del modello della società mista, non è richiesta una “qualificata motivazione”: essa, invece, è dovuta, ai sensi dell’art. 17 del d. lgs. n. 201 del 2022, per il caso di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici.

Servizio idrico integrato e gestioni autonome

Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 29 aprile 2024, n. 1434

Servizi pubblici – Servizio Idrico Integrato – Principio dell’unicità della gestione – Eccezioni – Gestione autonoma – Presupposti – Condizioni di salvaguardia

Il legislatore nazionale, in deroga al principio dell’unicità della gestione, ha inteso salvaguardare quegli affidamenti in forma autonoma che diano sicure garanzie di efficienza nell’uso della risorsa idrica, e per i quali un altro gestore – come quello unico di ambito – non potrebbe fare meglio.

La gestione autonoma si caratterizza, quindi, per essere un’eccezione alla regola generale della gestione unica, consentita solo qualora sia dimostrata una efficienza ed efficacia – e, dunque, una vera e propria eccellenza – che andrebbe perduta con la gestione aggregata. L’efficienza, in particolare, è uno dei presupposti per poter configurare l’eccezione della gestione autonoma del servizio idrico integrato (SII), che, altrimenti, per regola generale, deve essere unitaria.

La fattispecie prevista dall’art. 147, comma 2 -bis del d.lgs. n.152/2006 consente – solo in casi eccezionali – a singoli Comuni, la gestione in forma autonoma del SII; si tratta di norma derogatoria ed eccezionale, che deve essere interpretata in modo rigoroso e restrittivo, atteso che una più ampia interpretazione comporterebbe l’effetto di vanificare il principio dell’unicità di gestione per ambiti territoriali ottimali, riducendone fortemente la portata applicativa. A tal fine, come si evince dall’art. 147, co. 2 bis, sono poste delle stringenti condizioni cumulativamente richieste dalla norma (cd. condizioni di salvaguardia), le quali devono essere accertate ed esistenti al momento in cui si valuta la salvaguardia della gestione.