GIURISPRUDENZA

La lottizzazione abusiva e l’elemento soggettivo

Tar Sicilia, Catania, sez. II, 10 agosto 2024, n. 2858

Pianificazione urbanistica – Lottizzazione abusiva – Accertamento – Elemento soggettivo – Ininfluenza – Tutela dei terzi acquirenti

La lottizzazione abusiva rappresenta un fenomeno che lede il potere di pianificazione urbanistica del Comune e deve essere quindi esaminato non in modo atomistico, con riferimento alla singola particella, bensì nel suo complesso, in rapporto all’intera vicenda della proprietà originaria frazionata in modo illegittimo.

Non può negarsi la configurabilità della fattispecie della lottizzazione abusiva anche nei casi di illegittime variazioni che incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso di manufatti già realizzati.

La lottizzazione abusiva ex art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001 prescinde dallo stato soggettivo di buona o mala fede dei lottizzanti: e ciò in quanto rileva in via esclusiva il mero dato oggettivo dell’intervenuta illegittima trasformazione urbanistica del territorio, fermo restando che la tutela dei terzi acquirenti in buona fede, estranei all’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante.

Oneri procedimentali e rilevanza della loro violazione

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 5 agosto 2024, n. 2350

Procedimento amministrativo – Partecipazione – Ratio – Onere motivazionale

Le norme in materia di partecipazione procedimentale devono interpretarsi non in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la loro inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica Amministrazione. La partecipazione al procedimento amministrativo, difatti, non deve garantire un puntuale e analitico vaglio e contraddittorio in ordine a tutte le possibili argomentazioni che possono essere svolte dalla parte privata, bastando che la parte sia stata messa in condizione di interloquire con l’Amministrazione e che tale aspetto emerga con chiarezza dalla motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto conclusivo; è sufficiente che siffatta motivazione renda palese l’inconciliabilità della determinazione assunta con le tesi contenute nelle deduzioni della parte istante.

Concorsi, evidenza pubblica e sospetto di illeciti penali

Tar Puglia, Lecce, sez. II, 19 agosto 2024, n. 990

Procedura ad evidenza pubblica – Imparzialità e correttezza – Commissione giudicatrice – Illeciti penali – Principio di precauzione – Caducazione – Revoca – Discrezionalità

La sola verosimile realizzazione dei gravissimi illeciti penali ipotizzati con riguardo ai componenti della Commissione di concorso – ossia diffusione delle tracce e degli argomenti oggetto di prova scritta e orale in favore di alcuni candidati, o attribuzione di votazioni senza alcun reale esame di merito della preparazione dei medesimi – appare circostanza di per sé sufficiente a far dubitare in radice dell’oggettiva correttezza e imparzialità dell’espletamento delle diverse fasi del concorso, nonché degli esiti dello stesso, radicando così in capo all’Amministrazione, anche solo in virtù di un principio di precauzione, l’interesse pubblico del Comune all’integrale caducazione della procedura selettiva, in piena coerenza con i presupposti delineati dall’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990.

La facoltà di revocare un bando concorsuale rientra tra gli ordinari e ampi poteri discrezionali riconoscibili all’Amministrazione, potendo quest’ultima provvedere in tal senso – in presenza di fondati motivi di pubblico interesse che rendano inopportuna la prosecuzione dell’iter concorsuale – fino a quando non sia intervenuta la nomina dei vincitori.

Il market comparison approach

Consiglio di Stato, sez. II, 3 giugno 2024, n. 4971

Edilizia e urbanistica – Abuso edilizio – Parziale difformità – Sanzione – Quantificazione – Uso diverso da quello residenziale – Valore venale – Calcolo – Criteri – Market comparison approach (MCA) – Legittimità

Ai fini del calcolo del valore venale del fabbricato dall’art. 34, comma 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 delle opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire per fabbricati adibiti ad usi diversi da quello residenziale è legittimo l’utilizzo da parte dell’Agenzia del territorio del market comparison approach (MCA), metodo comparativo pluriparametrico, fondato sull’assunto che il prezzo di un immobile può essere considerato come la somma di una serie finita di prezzi componenti, ciascuno collegato a una specifica caratteristica apprezzata dal mercato.

La scelta del prezziario DEI – che associa ad ogni lavorazione il costo corrispondente – in luogo di quello regionale che, invece, correla ogni voce di spesa all’unità di misura di riferimento della lavorazione, costituisce una scelta tecnico-discrezionale non illogica né irragionevole al fine della determinazione della sanzione prevista dall’art. 34, comma 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 con riferimento al costo delle opere di completamento.

Immobili risalenti e abusi edilizi

Tar Puglia, Bari, sez. III, 12 luglio 2024, n. 844

Abuso edilizio – Assenza di titolo edilizio – Immobili risalenti nel tempo – Stato legittimo – Vincoli diretti e accessori – Discrezionalità tecnica

Per gli immobili risalenti nel tempo, in carenza di titolo edilizio ed in caso di rinvenimento soltanto parziale del titolo o di altri titoli, specie se pubblici (o comunque prodotti al tempo ad autorità pubbliche in data certa), che scandiscono le consistenze essenziali degli stessi, deve potersene ricavare lo stato legittimo. Lo stesso è, in linea di principio, desumibile dal titolo legittimante la costruzione nonché da una pluralità di documenti o elementi di fatto coevi, in presenza di un mero principio di prova. Allorchè il manufatto verta in area incisa da vincolo indiretto, l’imposizione limitativa de qua è espressione della potestà tecnico-discrezionale dell’amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale, soltanto in caso di istruttoria insufficiente, motivazione inadeguata, incongruenze oppure carenza di proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico. Tale vincolo ha natura giuridica accessoria e secondaria ed assolve una funzione meramente strumentale di offrire una tutela ambientale al bene culturale protetto, mediante prescrizioni, divieti e limiti all’utilizzo degli spazi adiacenti, che ingenerano la fascia di rispetto. A differenza del vincolo diretto (storico, artistico), che riguarda, beni o aree, nei quali sono stati rinvenuti beni di tale valenza (o in relazione ai quali vi sia la certezza della loro esistenza), il vincolo indiretto viene imposto sui beni e sulle aree circostanti a quelli sottoposti al vincolo diretto, così da garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva nonché migliori condizioni ambientali e di decoro.

Verde pubblico e vincolo conformativo

Consiglio di Stato, sez. IV, 9 agosto 2024, n. 7077

Pianificazione urbanistica – Destinazione a verde pubblico – Vincoli conformativi ed espropriativi – Diritto di proprietà

La destinazione a verde pubblico non comporta l’imposizione di un vincolo espropriativo, bensì di un vincolo conformativo, funzionale all’interesse pubblico conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico, avente validità a tempo indeterminato, che definisce i caratteri generali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale.

I vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore generale per attrezzature e servizi, fra i quali rientra il verde pubblico attrezzato, realizzabili anche a iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato, hanno carattere particolare, ma sfuggono allo schema ablatorio e alle connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività fra indennizzo e durata predefinita, non costituendo vincoli espropriativi, bensì soltanto conformativi, funzionali all’interesse pubblico generale.

I vincoli conformativi sono compatibili con la tutela del diritto di proprietà, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Primo Protocollo addizionale, art. 1).

Le concessioni di suolo pubblico

Consiglio di Stato, sez. II, 23 luglio 2024, n. 6666

Concessione di suolo pubblico – Fonti – Coordinamento – Limiti – Principio di correttezza tra le parti e leale collaborazione – Vincolo paesaggistico – Libertà di iniziativa economica – SCIA – Accordi tra pubbliche amministrazioni – Necessità

La disciplina delle concessioni di suolo pubblico può essere ricondotta a varie fonti, esclusive o concorrenti, statali, regionali e comunali. A livello regolatorio comunale, essa incontra il limite costituzionale della tutela della libertà d’impresa (e del lavoro da essa generato) in un mercato regolato, ma senza eccessi di restrizioni pubbliche della concorrenza. La legislazione statale ha tuttavia individuato nel tempo, a partire dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (art. 52, comma 1) i rimedi che l’Autorità preposta alla tutela del vincolo ovvero il Comune possono mettere in campo per riconnettere in maniera esplicita la disciplina di tutela dei beni aventi rilievo storico, artistico e culturale (che è qualificante il regime di protezione e fruizione di tali beni, costitutiva di un loro speciale status di conformazione delle attività di conservazione, manutenzione, destinazione e disposizione), con quella – di ordine commerciale – che presiede la regolazione delle attività di libera iniziativa economica, per quanto qui interessa, su area pubblica. La forma privilegiata nella quale racchiudere lo svolgimento in collaborazione di funzioni riservate a più attori pubblici di un sistema multilivello è costituita al riguardo dall’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Il coordinamento tra fonti di regolazione, nazionali, regionali e locali, in materia di limiti all’esercizio di attività commerciali, anche su suolo pubblico, spetta all’amministrazione che rilascia il relativo titolo, al fine di garantire certezza della situazione giuridica all’operatore economico. Costituisce infatti principio di correttezza tra le parti e leale collaborazione, da ultimo consacrato anche nell’art. 1, comma 2-bis, della l. 7 agosto 1990 n. 241, quello che impone di rapportarsi alla istanza di un cittadino in maniera unitaria, non frammentandone le interlocuzioni in ragione di un anacronistico quanto illegittimo riparto di competenze addirittura all’interno della stessa amministrazione pubblica.

La sottrazione di una porzione di territorio alla fruizione della collettività a seguito di concessione ad un operatore economico ha ovviamente carattere oneroso e per tale ragione l’ambito normativo a carattere generale che vi fa riferimento è quello di matrice tributaria. Accanto alla stessa, tuttavia, la tematica ne richiama di ulteriori, presentando sfaccettature poliedriche che attingono vari e mutevoli ambiti giuridici. Per tale ragione, essa non dà luogo ad un diritto soggettivo pieno e perfetto alla fruizione della superficie concessa, essendo soggetta ad una permanente regolamentazione da parte della p.a. relativa non solo all’an, ma anche al quomodo, sicché ne resta ferma anche la revocabilità per ragioni di interesse generale, tra le quali rientrano certamente l’esigenza di tutela del decoro dell’ambiente urbano circostante e la sicurezza pubblica, come meglio chiarito nel prosieguo. Il principio, immanente alla disciplina del rapporto tra p.a. proprietaria del bene e privato titolare dell’attività che su tale bene insiste, implica cioè che nel bilanciamento degli opposti interessi (quello pubblico alla fruizione collettiva ed indifferenziata, ma anche qualificata, del suolo e quello privato a trarre utilità economica-imprenditoriale da un uso in regime di esclusiva dello stesso), non può essere trascurato il rilievo e la pregnanza del valore storico o artistico o più in generale urbano del contesto ove il suolo si colloca, che giustifica un più elevato grado di comprimibilità dell’interesse legittimo degli operatori economici, specie poi laddove questi ultimi abbiano avuto accesso alle relative utilità senza il discrimine di una procedura di evidenza pubblica. La cornice giuridica può inoltre essere diversa in ragione delle modalità di realizzazione dell’occupazione. Laddove la stessa avvenga ad esempio mediante strutture connotate da una certa consistenza e durata, essa può acquisire rilevanza sotto il profilo urbanistico-edilizio, ovvero paesaggistico; in relazione alla sua funzionalizzazione, entrerà invece in gioco la regolamentazione della specifica attività produttiva della quale costituisce ampliamento o luogo di esercizio esclusivo, ivi comprese le regole attinenti al profilo igienico-sanitario. In ogni caso, può assumere rilievo la sua configurazione estetica, che il Comune può pretendere in armonia col contesto, ovvero omogenea rispetto alle altre che insistono nella stessa zona, previamente individuata, in una logica di miglioramento dell’impatto visivo, ma anche di prevenzione/calmierazione di fenomeni di degrado, quali tipicamente la c.d. “movida molesta”. Ed è in ragione di tali variegate finalità che possono sovrapporsi le più disparate scelte generali di ciascun Comune in merito. L’art. 15 della l. n. 241 del 1990 costituisce la forma privilegiata nella quale racchiudere lo svolgimento in collaborazione di funzioni riservate a più attori pubblici di un sistema multilivello. Le amministrazioni, cioè, possono farvi ricorso ogni qualvolta la competenza a trattare una certa questione sia distribuita fra più autorità, fra il centro e la periferia, fra lo Stato e gli enti locali. La necessità del coordinamento delle competenze dei soggetti pubblici con obiettivi evidenti di semplificazione procedimentale rappresenta dunque la fondamentale ragione genetica di siffatte figure di accordo, per ricompattare secondo logiche ed obiettivi di efficienza e di efficacia presso centri omogenei di governo e di amministrazione un ordine troppo frammentato di attribuzioni multilivello.

Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali), il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222 (c.d. “SCIA 2”) e il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, sulla sicurezza nelle città, esemplificano i tentativi messi in campo dal legislatore a fronte della progressiva liberalizzazione delle attività commerciali per porre dei limiti alle stesse onde evitare lo scadimento qualitativo degli insediamenti, sia incidendo sulla regolamentazione delle attività commerciali lato sensu intese (comprensive, ad esempio, anche di quelle artigianali) esercitate in locali privati, sia sui loro ampliamenti su suolo pubblico. In sintesi, a fronte della progressiva liberalizzazione delle attività commerciali, si è cercato di porre dei limiti alla stessa onde evitare lo scadimento qualitativo degli insediamenti. Il che è avvenuto per lo più valorizzando il concetto di «motivi imperativi di interesse generale» che l’art. 12 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2016/123/CE relativa ai servizi del mercato interno (c.d. Bolkestein) ha indicato come legittimanti le restrizioni quantitative o territoriali all’accesso e all’esercizio di un’attività di servizio. Il regime giuridico delle o.s.p., dunque, specie nelle aree urbane, è un ambito di incidenza e di compresenza di una pluralità di interessi pubblici e, conseguentemente, di molte discipline amministrative, oltre a quella, specifica, di concessione onerosa dei suoli, che non sempre si palesano di immediata percepibilità e inquadramento da parte dei cittadini. Molte di esse sono contenute in piani e programmi tipici, di natura urbanistico-edilizia, della circolazione stradale, paesaggistici, tributari; altre si rinvengono in strumenti atipici, che comunque sono accomunati agli altri dall’obiettivo di tutela dei beni culturali attraverso il controllo della tipologia degli insediamenti di qualunque genere su area normalmente in uso alla collettività. È dunque impensabile rimettere al singolo la corretta esegesi del rapporto di gerarchia o di competenza funzionale fra norme distinte afferenti la medesima materia, a maggior ragione laddove la lettura proposta da un ufficio diverga totalmente da quella propugnata ed esplicita da un altro. Quale che sia lo o gli strumenti che il Comune sceglie di adottare, elementari esigenze di certezza del diritto, oltre che di correttezza e buona fede tra le parti, impongono che i relativi contenuti siano tra di loro armonici e comprensibili. Quanto detto in coerenza con il disposto dell’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, che impone di rapportarsi alla istanza di un cittadino in maniera unitaria, non frammentandone le interlocuzioni in ragione di un anacronistico quanto illegittimo riparto di competenze addirittura all’interno della stessa amministrazione pubblica. Di tale principio sono espressione anche il d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, che individua un unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative che lo riguardano e che diverrebbe mero simulacro privo di sostanza ove non esprimesse anche l’esigenza di garantire che l’amministrazione si esprima con una voce unica, nonché la disciplina della conferenza dei servizi e del silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni (art. 17-bis della l. n. 241/1990).

Arricchimento senza causa

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 29 luglio 2024, n. 598

Contratti pubblici e obbligazioni – Appalto di servizi – Strumenti di reintegrazione della sfera patrimoniale – Azione risarcitoria – Arricchimento senza giusta causa – Limiti

L’arricchimento senza causa sussiste quando tra due soggetti si verifica, senza alcuna giustificazione giuridica, uno spostamento patrimoniale tale che uno subisca pregiudizio e l’altro si arricchisca. Trattasi di un’azione generale, perché esperibile in una serie indeterminata di casi; sussidiaria, ai sensi dell’art. 2042 c.c., perché proponibile solo quando il danneggiato non possa esercitare alcun’altra azione, basata su un contratto, su un fatto illecito o su altro atto o fatto produttivo dell’obbligazione restitutoria o risarcitoria. Fermo restando il diritto dell’esecutore del contratto alla definitiva copertura dei costi effettivamente sostenuti per lo svolgimento del lavoro o del servizio (attribuzione patrimoniale che trova la propria iusta causa nel fatto stesso del relativo svolgimento da parte dell’accipiens), l’attribuzione di una utilità eccedente detto costo, all’esito del giudizio in ordine alla illegittimità dell’affidamento, non trovando alcuna giustificazione causale, consente l’attivazione dei rimedi approntati dall’ordinamento per rimuovere arricchimenti ingiustificati nei rapporti tra affidatario originario del contratto e avente diritto all’affidamento, anche con l’eventuale intermediazione della pubblica amministrazione appaltante ove quest’ultima avesse in concreto ottenuto la restituzione dell’utile di impresa dall’esecutore materiale della commessa. L’azione risarcitoria non esaurisce lo strumentario giuridico approntato dall’ordinamento per reintegrare la sfera patrimoniale incisa dall’atto illegittimo, potendo il concorrente pretermesso – che avrebbe avuto titolo all’affidamento e all’esecuzione del contratto di appalto – agire in giudizio per ottenere, nei limiti legalmente tipizzati, che il vantaggio economico ottenuto dall’affidatario del contratto, tradottosi in uno spostamento di ricchezza senza idonea causa, venga riverso a chi ha subìto un impoverimento in conseguenza dell’illegittimo operato della stazione appaltante, almeno nella misura in cui la parte non è riuscita a ottenere quelle utilità cui, in virtù della definitiva decisione del giudice amministrativo sull’atto, avrebbe avuto certamente titolo.

Servizi funebri, servizi di ambulanza di trasporto e tutela del mercato

Tar Calabria, Reggio Calabria, ordinanza 30 luglio 2024, n. 503

Servizi pubblici – Sanità pubblica – Servizio di ambulanza di trasporto – Divieto di accesso al mercato – Imprese funebri – Regione Calabria

È rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli articoli 117, comma 2, lett. e), 41 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lett. a), della legge della Regione Calabria, 7 agosto 2023, n. 38 (avente ad oggetto la modifica dell’art. 7, comma 4, della l.reg. 29 novembre 2018, n. 48), limitatamente all’inciso “servizio di ambulanza…nonché ogni altro servizio parasanitario, socioassistenziale o assimilabile”. Questo in ragione del fatto che i divieti e gli obblighi posti in capo alle imprese autorizzate al servizio di NCC, per essere legittimi, devono essere adeguati e proporzionati rispetto allo scopo da perseguire l’esigenza di una connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore ed il fine che questi intende perseguire. Tale connessione difetta nella disposizione censurata, che introduce il divieto di accesso al mercato del servizio di ambulanza di trasporto nei confronti di una specifica categoria di operatori economici (le imprese funebri), non giustificato da motivi imperativi di interesse generale e con vulnerazione del confronto concorrenziale nonché della stessa libertà garantita dal primo comma dell’art. 41 della Costituzione.

TARI e motivazione

Consiglio di Stato, sez. V, 8 luglio 2024, n. 6021

Servizi pubblici – Tributi locali – Rifiuti urbani – Comune e provincia – Aliquote – Tariffe – Delibera di approvazione – Natura giuridica – Periodo della pandemia da Covid – Onere motivazionale attenuato

È legittima la delibera di approvazione delle aliquote Tari (tassa sui rifiuti) adottata ai sensi dell’art. 107, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 con cui il comune, nel particolare scenario della pandemia da Covid, provveda a confermare per il 2020 le aliquote approvate e già applicate per l’anno 2019; tale attività non richiede alcun particolare onere di motivazione, se non il richiamo alla fonte primaria.

In materia di determinazione delle aliquote Tari (tassa sui rifiuti), non è ravvisabile uno stringente obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili.