GIURISPRUDENZA

Scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose

Tar Lazio, Roma, sez. I Ter, 11 marzo 2024, n. 4891

Scioglimento consigli comunali conseguente a fenomeni di infiltrazione mafiosa – Dichiarazione di incandidabilità – Natura giuridica – Discrezionalità – Condotta dell’amministratore

L’art. 143 TUEL – “Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti” – al comma 5 stabilisce: “ Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale, con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclusa la sospensione dall’impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione, con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell’autorità competente”.

Il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, comma 11, TUEL è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze ed alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio. È sufficiente, dunque, accertare la presenza di elementi di collegamento tra l’amministratore locale e l’oggetto dell’addebito, tali da essere ritenuti idonei ad influenzare e condizionare la formazione della volontà dell’ente pubblico, senza che la condotta dell’amministratore debba necessariamente assumere una connotazione penalmente rilevante.

Va evidenziata la natura di provvedimento non sanzionatorio, ma preventivo della misura ex art. 143, t.u. 18 agosto 2000, n. 267, in quanto posto a salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata.

Alla stregua di tale ratio, trovano giustificazione sia il margine, particolarmente ampio, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione, sia la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.

La scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale e le misure collegate e conseguenti a misure di prevenzione o a condanne in sede penale, né al compimento di specifiche illegittimità.

Tutto quanto sopra chiarito spiega anche perché, nell’ipotesi di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose – finalizzato, dunque, a contrastare una patologia del sistema democratico – l’Amministrazione goda di ampia discrezionalità, non richiedendosi né la commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili, ma solo che sussistano sufficienti elementi univoci e coerenti volti a far ritenere una relazione dinamica tra l’Amministrazione e i gruppi criminali.

Gioco d’azzardo e tutela dei giocatori tra diritto unionale e interno

Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo 2024, n. 2369

Gioco d’azzardo – Libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi – Effetti negativi per la salute e a livello sociale – Tutela dei consumatori – Decreto Balduzzi – Messaggi pubblicitari – Collocazione sale gioco – Ordinanze sindacali contenenti limitazioni orarie per l’esercizio del gioco lecito e l’apertura delle sale gioco – Ratio – Discrezionalità – Onere istruttorio e motivazionale – Principi di ragionevolezza, proporzionalità e precauzione – Attribuzioni del Comune – Contemperamento degli interessi pubblici e privati – Misura sanzionatoria della sospensione del funzionamento degli apparecchi di intrattenimento – Natura giuridica

Parimenti, la Commissione europea, nel 2014, è intervenuta sul tema con la raccomandazione 14 luglio sul gioco d’azzardo (anche se on line), stabilendo i principi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli.

In ambito nazionale, assume un rilievo centrale la disciplina del c.d. decreto Balduzzi, che ha attuato un intervento più organico in materia (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla l. 8 novembre 2012, n. 189), affrontando diverse tematiche. Con riguardo ai profili sanitari, è previsto l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2). In attuazione di tale disposizione, è stato approvato il Piano d’azione nazionale.

Per contenere i messaggi pubblicitari, si vieta l’inserimento di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive e radiofoniche, nonché durante le rappresentazioni teatrali o cinematografiche non vietate ai minori; sono anche proibiti i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco, ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, o che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco: per i trasgressori (sia il committente del messaggio pubblicitario sia il proprietario del mezzo di comunicazione interessato) è prevista una sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro (art. 7, commi 4 e 4-bis).

Benché non sia stato emanato il decreto ministeriale che avrebbe dovuto indicare i criteri e indirizzi, le amministrazioni regionali e locali hanno adottato legittimamente, in assenza di una normativa di coordinamento di ambito statale, propri regolamenti in materia.

In base al decreto Balduzzi, è stato istituito anche un Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Tale Osservatorio, inizialmente istituito presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è stato successivamente trasferito al Ministero della salute, ai sensi della legge n. 190 del 2014 (legge finanziaria per il 2015), che ne ha modificato anche la composizione, per assicurare la presenza di esperti e di rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni operanti in materia.

La stessa legge (art. 1, comma 133) destina annualmente, a decorrere dal 2015, una quota di 50 milioni di euro, nell’ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, per la cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d’azzardo (1 milione annuo per la sperimentazione di software per monitorare il comportamento del giocatore e generare messaggi di allerta).

In tale contesto, si inserisce il potere del sindaco di adottare, come nell’ipotesi di specie, ordinanze volte alla limitazione oraria delle apparecchiature per l’esercizio del gioco lecito e di apertura delle sale gioco.

La normativa in materia di gioco d’azzardo – con riguardo alle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché all’impatto sul territorio dell’afflusso ai giochi degli utenti – non rientra nella competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117 comma 2 lett. h), Cost., bensì nella tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, tutela che rientra nelle attribuzioni del Comune, ex artt. 3 e 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

La disciplina degli orari di apertura e funzionamento delle sale da gioco autorizzate e del funzionamento delle apparecchiature, ex art. 110, comma 6, TULPS, costituisce un crocevia di valori nel quale confluiscono una pluralità di interessi che devono essere adeguatamente misurati e contemperati.

Difatti, da un lato, emergono le esigenze dei privati – ovvero dei soggetti autorizzati all’esercizio del gioco lecito – titolari di una concessione con l’amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia. Tali soggetti mirano alla massimizzazione dei loro profitti, al fine di ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici, attraverso la più ampia durata giornaliera dell’apertura dell’esercizio, invocando i principi costituzionali di libertà di iniziativa economica, di libera concorrenza e del legittimo affidamento ingenerato proprio dal rilascio dei titoli – concessorio e autorizzatorio – necessari alla tenuta delle sale da gioco.

Dall’altro lato, sussistono interessi pubblici e generali, non contenuti in quelli economico – finanziari (tutelati dalla concessione) o relativi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (tutelati dall’autorizzazione questorile), ma estesi anche alla quiete pubblica (in ragione dei non improbabili disagi derivanti dalla collocazione delle sale gioco in determinate zone cittadine più o meno densamente abitate a causa del possibile congestionamento del traffico o dell’affollamento dei frequentatori) e alla salute pubblica, quest’ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più evidente, della ludopatia.

Il sindaco, nell’esercitare il potere per definire gli orari di apertura delle sale da gioco e dei locali in cui sono presenti le apparecchiature, ex art. 110, comma 6, TULPS, è tenuto a valutare le posizioni di ciascuno dei soggetti coinvolti, senza impiegare mezzi eccessivi rispetto agli obiettivi perseguiti, ma tenendo comunque in considerazione la prevalenza del bene salute, ex art. 32 Cost., rispetto all’iniziativa economica, ex art. 41 Cost. È al riguardo pacifico il potere del sindaco di cui all’art. 50, comma 7, del TUEL, di adottare provvedimenti funzionali a regolamentare gli orari delle sale giochi e degli esercizi pubblici in cui sono installate apparecchiature da gioco: in forza della generale previsione dell’articolo 50, comma 7, d. lgs. 267 del 2000, il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale.

La previsione di una limitazione oraria mira, in primis, a contrastare il fenomeno della ludopatia, inteso come disturbo psichico che induce l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco, in maniera ossessiva e compulsiva, con ovvie ricadute sul piano familiare e professionale, nonché con l’innegabile dispersione del patrimonio personale.

Nell’attuale momento storico, la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della popolazione costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale.

Un’ordinanza sindacale di regolazione degli orari delle sale da gioco non può considerarsi viziata da deficit di istruttoria o di motivazione soltanto perché il numero dei giocatori ludopatici non sia in assoluto elevato, giacché ciò che massimamente va considerato è la tendenza registrata nel periodo considerato, la quale, da sola, induce allarme negli enti pubblici preposti alla tutela della salute e giustifica, pertanto, l’adozione di misure restrittive.

In presenza di attività discrezionali della pubblica amministrazione, il sindacato del giudice amministrativo è limitato, con possibile esito caducatorio, alle sole fattispecie in cui emergano palesi illogicità o elementi di irragionevolezza, oppure, ancora, errori su elementi di fatto; per valutare o parametrare tali limiti, vengono in gioco vari principi che permeano l’azione amministrativa; il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa; il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione debba ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l’amministrazione deve realizzare; il principio di precauzione, che discende dai primi due (sviluppatosi nell’ambito della tutela dell’ambiente e del diritto alla salute), può essere invocato quando un fenomeno o un evento preso in considerazione dall’attività amministrativa (ed individuati tramite una valutazione scientifica ed obiettiva che però non consente di determinare l’esistenza del rischio con sufficiente certezza) possano avere effetti potenzialmente pericolosi, e consente il sacrificio o la compressione degli interessi coinvolti a valle della applicazione dei criteri ed analisi tecniche dei rischi poste alla base dell’istruttoria procedimentale; in base al combinato di tali principi, una istruttoria può dirsi ragionevolmente completa quando, sulla base della analisi di contesto e ponderazione dei rischi, le misure adottate rispettino la proporzionalità rispetto al livello di protezione ricercato (devono cioè essere idonee, adeguate e necessarie), siano coerenti con quelle già prese in situazioni analoghe.

Il principio di proporzionalità impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato: definito lo scopo avuto di mira, il principio di proporzionalità è rispettato se la scelta concreta dell’amministrazione è in potenza capace di conseguire l’obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza).

L’amministrazione comunale è obbligata a porre in essere interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati, per un verso, alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco e, per altro verso, al principio di precauzione, citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il cui scopo è garantire un alto livello di protezione dell’ambiente, grazie a precise prese di posizione preventive in caso di rischio, ma il cui campo di applicazione è molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. L’assioma fondamentale di tale ultimo principio è che, nell’ipotesi di un rischio potenziale, laddove vi sia un’identificazione degli effetti potenzialmente negativi di un’attività (come può risultare dallo stesso decreto Balduzzi) e vi sia stata una valutazione dei dati scientifici disponibili, è d’obbligo predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione, pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti.

Le amministrazioni comunali, con le suddette ordinanze, realizzano un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore, con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare i fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresca il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie e che, anche alla luce delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione Europea nel settore dell’esercizio dell’attività imprenditoriale del gioco lecito, le esigenze di tutela della salute vengono ritenute del tutto prevalenti rispetto a quelle economiche.

È rispettoso del principio di proporzionalità il contenimento dell’orario di apertura di una sala giochi entro il limite delle otto ore giornaliere.

Pur nella consapevolezza di un distinto orientamento, secondo cui i Comuni potrebbero discostarsi dall’Intesa de qua solo con adeguata motivazione, il collegio intende dar seguito al diverso orientamento giurisprudenziale seguito dalla Sezione, secondo cui “È, dunque, espressamente previsto che l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata sia recepita in un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Prevedendo l’adozione di un decreto ministeriale che abbia ad oggetto profili di regolamentazione del gioco pubblico, l’amministrazione statale si è attribuita un potere di indirizzo e coordinamento per aver ritenuto che in tale specifico settore (quello del gioco lecito) si incrociano materie attribuite dalla Costituzione alla competenza di diversi livelli di governo, anche regionale, ma si avverte l’esigenza di una regolamentazione unitaria; […] In questi casi – quando cioè lo Stato attribuisce per legge a sé stesso un potere di indirizzo e coordinamento in relazione ad un settore che investe in maniera trasversale materie di competenza anche delle Regioni – è dovuta nella legge statale la previsione del previo raggiungimento dell’Intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 28, quale strumento tipico di coinvolgimento delle Regioni in attuazione del principio di leale collaborazione. Il potere di indirizzo e coordinamento non è stato, tuttavia, ancora esercitato perché il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze non è stato adottato, mentre è stata conclusa l’intesa nell’ambito della Conferenza Unificata Stato Regioni Enti locali il 7 settembre 2017. Per essere prevista quale atto prodromico all’esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle Regioni, all’Intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente”.

La misura sanzionatoria della sospensione del funzionamento degli apparecchi di intrattenimento non è riconducibile alle sanzioni amministrative previste dalla l. 689 del 1981 (trattandosi, invece, di potere rientrante nell’ambito del c.d. rapporto amministrativo instauratosi tra amministrazione comunale e privato autorizzato).

Il Comune può legittimamente prevedere che, in caso di reiterata violazione della disciplina sindacale sugli orari di apertura delle sale da gioco e di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro, si applichi la misura restrittiva della sospensione dell’attività per un tempo ragionevole, adeguato e idoneo.

Con il passaggio dall’autorità di pubblica sicurezza ai Comuni delle funzioni di cui al TULPS, per opera dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 616 del 1977 (“Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22/7/1975, n. 382”, tra le quali, appunto, al n. 8) “la licenza per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè ed altri esercizi in cui si vendono o consumano bevande non alcooliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giuochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili di cui all’art. 86”), sono transitati nella competenza dei Comuni anche i poteri sanzionatori, utilizzabili in presenza di violazione delle discipline specifiche che attengono alla tutela degli interessi pubblici diversi da quello dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Tra le misure sanzionatorie, l’art. 10 del T.U.L.P.S. prevede la revoca o la sospensione dell’autorizzazione nel caso di abuso della persona autorizzata; l’abuso consisterebbe anche nella violazione delle disposizioni dirette a garantire il corretto esercizio dell’attività autorizzata, fra le quali rientra l’orario di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago.

Abbondono di rifiuti e proprietà dell’area

Tar Toscana, Firenze, sez. II, 12 marzo 2024, n. 285

RSU – Abbandono – Onere accertativo e probatorio della corresponsabilità in capo al Comune – Disponibilità del bene

Ai sensi dell’art. 192, comma 3, D. Lgs. n. 152/2006, il Comune deve provvedere ad uno specifico accertamento dell’eventuale corresponsabilità del proprietario dell’area, volta ad appurare l’infrazione, anche da parte di quest’ultimo, “a titolo di dolo o colpa”.

Tanto è predicabile laddove il proprietario (a parte i casi di connivenza o complicità negli illeciti) si disinteressi del proprio bene e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione o la affronti con misure palesemente inadeguate, omettendo accorgimenti e cautele che l’ordinaria diligenza impone per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area.

Nei casi in cui il proprietario dell’area inquinata non abbia nemmeno la materiale disponibilità del bene interessato dall’abbandono dei rifiuti, è ancor più evidente l’onere dell’Amministrazione di dimostrarne la corresponsabilità, considerato che prima di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati ed il ripristino dello stato dei luoghi, il Comune deve accertare l’elemento soggettivo dolo o colpa in capo al proprietario non responsabile dello sversamento di rifiuti.

Usi civici

Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 1800

Usi civici – Nozione – Normativa – Funzione – Beni giuridici protetti – Principi di indisponibilità, imprescrittibilità e non usucapibilità – Occupazione abusiva – Interesse pubblico alla reintegrazione – Onere motivazionale attenuato

Per “usi civici” possono intendersi i diritti spettanti ad una collettività – ed a ciascuno dei suoi componenti, che può quindi esercitarlo uti singulus – organizzata ed insediata su di un territorio, il cui contenuto consiste nel trarre utilità dalla terra, dai boschi e dalle acque, nonostante la loro titolarità formale in capo a differenti soggetti pubblici o privati.

La materia degli usi civici è disciplinata da una complessa normativa, risalente ad epoche molto diverse, essenzialmente dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766 e dalla legge 20 novembre 2017, n. 168. Dall’analisi delle succitate disposizioni, emerge un’evoluzione normativa in materia di usi civici e domini collettivi – categoria di non agevole inquadramento teorico-pratico – in relazione al graduale processo di trasformazione dell’istituto, in considerazione del cambiamento del contesto economico-sociale e degli orientamenti della giurisprudenza.

La tradizionale funzione degli usi civici consiste nell’assicurare agli appartenenti alle collettività locali utilità derivanti dalla terra, ai fini del loro sostentamento. L’istituto è stato, in seguito e progressivamente, inciso da esigenze di riforma, tendenti all’estinzione dell’uso civico, liberando il fondo dal peso e realizzando, in questo modo, la riespansione del regime di piena proprietà. Ed invero, la finalità della legge n. 1766 del 1927 consisteva proprio nell’individuazione degli usi civici ai fini della liquidazione degli stessi da parte del proprietario, mediante riconoscimento di un indennizzo.

Nella più recente disciplina in materia di domini collettivi (legge n. 168 del 2017), il legislatore afferma che, con l’imposizione del vincolo paesaggistico, l’ordinamento garantisce l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire, tra l’altro, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio (cfr. art. 3, comma 6, l. n. 168 del 2017). Il legislatore include, dunque, i beni collettivi nell’ambito del patrimonio naturale, economico e culturale inteso quale forma di comproprietà assistita da un peculiare regime di tutela di tipo conservativo.

L’istituto degli usi collettivi ha subìto, dunque, un totale rivolgimento culturale, atteso che dalla sostanziale liquidazione degli usi civici, così come disciplinata dalla legge n. 1766 del 1927, si è passati alla loro costituzionalizzazione, con la legge n. 168 del 2017, che ha messo in risalto i capisaldi della più moderna tutela dei beni pubblici collettivi, fondata sui principi di indisponibilità, imprescrittibilità e non usucapibilità.

Regime giuridico dei beni confiscati

Tar Lazio, Roma, sez. IV bis, 4 marzo 2024, n. 4385

Patrimonio indisponibile – Beni confiscati alla criminalità organizzata – Regime giuridico – Vincolo di destinazione a finalità pubbliche

La ratio della disciplina dettata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – recante il Codice delle leggi antimafia – in ordine alla confisca dei beni è di contrastare le associazioni criminali attraverso l’eliminazione dal mercato, ottenuta con il provvedimento ablatorio finale, di un bene di provenienza illecita, destinandolo ad iniziative di interesse pubblico; il vincolo di destinazione impresso sulla base della citata normativa ai beni oggetto di confisca definitiva, che vengono devoluti al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, ne implica, quindi, l’automatico assoggettamento al relativo regime giuridico, come dettato dagli artt. 823 e seguenti del codice civile.

Occupazione abusiva di suolo pubblico e poteri pubblici

Consiglio di Stato, sez. VII, 12 marzo 2024, n. 2408

Occupazione abusiva di suolo pubblico – Potere di autotutela possessoria iuris publici – Disciplina speciale – Ratio – Termini – Natura giuridica – Autotutela petitoria – Termini

Quello regolato dall’art. 378 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F) è un potere di autotutela possessoria iuris publici, inteso all’immediato ripristino dello stato di fatto preesistente e non sottoposto a limiti temporali, attesa la specialità della disciplina che lo contempla e stante l’inapplicabilità della normativa sulla tutela possessoria di cui all’art. 1168 del c.c., secondo cui, chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di questo la reintegrazione del possesso medesimo.

I poteri di autotutela iuris publici che discendono dall’articolo 378 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), e mediatamente dall’articolo 823 del codice civile non presentano la medesima identità, né stessa ratio delle azioni di cui dispone il privato e possono essere esercitati anche dopo che sia decorso un anno dalla alterazione, o dalla turbativa. In particolare, si tratta di un potere autoritativo con cui vi è il doveroso ripristino della disponibilità del bene in favore della collettività (poco importando se per trascuratezza o connivenza, o per mera mancata conoscenza delle circostanze di fatto, o per esigenze di approfondimento delle questioni, gli organi pro tempore non abbiano emanato gli atti di autotutela).

La disciplina speciale sul potere pubblicistico di autotutela possessoria non si pone su un piano di parallelismo con le azioni possessorie previste dal codice civile, in quanto il «potere», per i principi di legalità e di tipicità, è disciplinato nel suo esercizio dai principi generali del diritto amministrativo e non è sottoposto a termini di decadenza, a meno che il legislatore – con una espressa disposizione – disponga il contrario, a tutela di particolari interessi. In particolare, non si può invocare l’analogia per applicare la normativa sul termine annuale, previsto dal codice civile per l’esercizio dell’azione possessoria, poiché nessuna lacuna vi è da colmare.

L’art. 823 c.c. attribuisce alla P.A. il potere di agire a tutela non solo del possesso, ma anche della proprietà dei beni pubblici e in questa evenienza non è ravvisabile alcun termine decadenziale. Invero, la natura del bene oggetto di tutela, quale bene facente parte del demanio o del patrimonio indisponibile, fa sì che, ai sensi dell’art. 823, secondo comma c.c., la P.A. possa agire anche in via di autotutela petitoria, senza limiti di tempo.

Pianificazione urbanistica e partecipazione dei privati

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 11 marzo 2024, n. 199

Pianificazione urbanistica – Istanze ambientali ed ecologiche – Discrezionalità – Destinazioni d’uso edificatorie diverse – Onere motivazionale – Osservazioni dei privati

Le scelte effettuate dalla p.a. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale per cui, nel merito, appaiono insindacabili e sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse; in ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano.

Nell’ambito del relativo procedimento, le osservazioni dei privati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici, il cui rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ritenute, in modo serio e ragionevole, in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.

Nella pianificazione urbanistica trovano spazio esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi.

Abuso edilizio e data di esecuzione dello stesso

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 8 marzo 2024, nn. 1, 2, 3

Abuso edilizio – Fiscalizzazione – Sanzione – Determinazione

Con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, deve intendersi il momento di realizzazione delle opere abusive.

Ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria, da determinare ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, deve procedersi all’individuazione della superficie convenzionale, ai sensi dell’art. 13 della l. n. 392 del 1978, ed alla determinazione del costo unitario di produzione, sulla base del decreto aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. Il costo complessivo di produzione, dato dalla moltiplicazione della superficie convenzionale, con il costo unitario di produzione, va attualizzato secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione.

Concessioni di bene pubblico e rinnovo automatico

Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 23 febbraio 2024, n. 3637

Concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche – Rinnovo automatico – Non applicazione – Principio di legalità e certezza del diritto – Roma Capitale – Libera concorrenza – Scarsità della risorsa – Interpretazione – Gare pubbliche – Principi di trasparenza e non discriminazione

Le disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni sono illegittime per contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; il dovere di disapplicazione delle stesse si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, anche in caso di direttiva “self executing”. Opinare diversamente, infatti, significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.

I posteggi per l’esercizio del commercio, nel comune di Roma Capitale, sono un bene limitato, considerato anche il ristretto carattere territoriale del Comune concedente, l’attuale assenza di concorrenzialità del settore e l’elevata attrattività che rivestono per gli operatori tali attività, specie nel contesto caratterizzato da profili di unicità e assoluta particolarità, quale è quello di Roma.

Il concetto di scarsità della risorsa parcheggi va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato.

La direttiva 2006/123/CE “Bolkestein” è “self executing” e il settore del commercio in aree pubbliche rientra nell’ambito di applicazione della stessa: pertanto, si impone l’indizione di gare pubbliche a tutela della concorrenza per il mercato, materia “trasversale”, che è suscettibile di trovare applicazione in vari settori dell’ordinamento nazionale, tra cui deve senz’altro farsi rientrare quello delle concessioni di parcheggi a rotazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche caratterizzati dalla scarsità delle concessioni assentibili.

La sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione.