GIURISPRUDENZA

Circolazione stradale e piano urbano del traffico

Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 21 febbraio 2024, n. 654

Circolazione stradale – Piano urbano del traffico – ZTL – Tariffazione degli accessi – Relazione tecnica di accompagnamento

La facoltà concessa ai Comuni – a norma del comma 9 dell’art. 7 d.lg. 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dal d.lgs. 10 settembre 1993 n. 360 – di subordinare al pagamento di una somma l’ingresso o la circolazione dei veicoli a motore all’interno delle zone a traffico limitato presuppone che – secondo quanto prescritto dalla circolare 21 luglio 1997, n. 3816 dell’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale – i Comuni che abbiano istituito una z.t.l., abbiano adottato il Piano urbano del traffico ai sensi dell’art. 36 c. strad. e abbiano introdotto la tariffazione degli accessi alla z.t.l. all’interno del Piano urbano del traffico, avendo verificato che tale provvedimento si rende effettivamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi del Piano urbano del traffico, di cui deve essere data documentazione in uno specifico paragrafo della relazione tecnica che accompagna il suddetto Piano.

Incarichi dirigenziali

Tar Campania, Napoli, sez. II, 26 febbraio 2024, n. 1254

Pubblico impiego privatizzato – Incarichi dirigenziali comunali – Spoils system – Presupposti – Interpretazione – Durata massima – Art. 110, c. 3, TUEL – Cessazione – Revoca – Provvedimenti di macro-organizzazione – Onere motivazionale – Congruità e non irragionevolezza

Nel pubblico impiego privatizzato, l’applicazione dello “spoils system”, con riguardo agli incarichi dirigenziali, può essere ritenuta coerente con i principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost., solo ove ricorrano i requisiti della apicalità dell’incarico e della fiduciarietà della scelta del soggetto da nominare, da intendersi come preventiva valutazione soggettiva di consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico. Con specifico riguardo agli incarichi assegnati ai sensi dell’art. 110 T.U.E.L.: a) l’art. 110, comma 3, TUEL non può certamente essere inteso nel senso di consentire l’applicabilità dello “spoils system” ad incarichi non apicali e di tipo tecnico-professionale, a meno che non sia dimostrato che la “fiduciarietà” iniziale si configuri come preventiva valutazione soggettiva di consonanza politica e personale tra l’incaricato e il titolare dell’organo politico di cui si tratta; b) a tale risultato ermeneutico si perviene in base all’obbligo dell’interprete di intendere tutte le norme in materia di “spoils system” in senso costituzionalmente orientato al rispetto dell’art. 97 Cost., come interpretato dalla Corte costituzionale; c) in particolare, rispetto a tale interpretazione è incompatibile l’attribuzione all’espressione “in carica” posta alla fine della prima frase dell’art. 110, comma 3, cit. – il cui testo completo è il seguente: “3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco […] in carica” – del significato di consentire la decadenza automatica dall’incarico tutte le volte in cui il Sindaco per una qualunque ragione e, quindi, anche per il suo decesso improvviso, non sia più in carica, in quanto questo equivarrebbe a legittimare il ricorso al meccanismo dello “spoils system” anche in ipotesi nelle quali ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale; d) di conseguenza, la su riportata norma non può che essere intesa come diretta a stabilire un limite oggettivo e chiaro di durata massima degli incarichi di cui si tratta (la cui durata minima è quella stabilita dell’art. 19 TUPI), attraverso un implicito riferimento al precedente art. 51 TUEL, ove è stabilita la durata quinquennale del mandato elettivo “de quo”; e) nello stesso modo devono, quindi, intendersi tutti gli atti che per gli incarichi in parola fanno riferimento alla durata del mandato, quindi, anche una clausola contrattuale con la quale si stabilisce che il termine finale del rapporto in oggetto deve coincidere con lo scadere del mandato elettorale del Sindaco.

La scadenza del mandato del Sindaco non è causa di cessazione dell’incarico dirigenziale conferito ai sensi dell’art. 110 D. Lgs. 267/2000 e la sua revoca può essere giustificata soltanto da ragioni organizzative, quali una riorganizzazione della struttura amministrativa dell’ente.

Abbandono rifiuti e responsabilità

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 26 febbraio 2024, n. 688

RSU – Abbandono – Responsabilità solidale – Elemento soggettivo – Misure di protezione e prevenzione – Art. 192 D. Lgs. n. 152/2006 – Criteri interpretativi

In forza dell’art. 192 TUA, alla rimozione dei rifiuti devono provvedere non solo i responsabili dell’abbandono di rifiuti ma anche “in solido” (e quindi indipendentemente dall’individuazione dei primi) il proprietario e i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. La colpa dei predetti soggetti, in quanto qualificati dal loro rapporto proprietario o di titolarità di diritti reali o personali di godimento rispetto all’area, non può riguardare l’attività altrui, invece dolosa e criminosa, di abbandono dei rifiuti (rispetto alla quale i predetti soggetti non si differenziano dalla generalità dei consociati) e deve, quindi, invece, riguardare la mancanza di un’adeguata cura nella tenuta del terreno del quale hanno la titolarità, o comunque la disponibilità, evidenziata proprio dall’abbandono dei rifiuti.

Ordinanze sindacali extra ordinem

Tar Umbria, Perugia, sez. I, 16 gennaio 2024, n. 12

Ordinanze sindacali extra ordinem – Presupposti – Istruttoria – Onere motivazionale rafforzato – Atipicità – Manufatti in amianto – Sorveglianza

Ai sensi dell’art. 50 del TUEL, il Sindaco può adottare ordinanze extra ordinem per fronteggiare pericoli legali alla salute e all’incolumità pubblica, provvedimenti dal contenuto atipico, che devono ritenersi legittimi in presenza di stringenti presupposti di legge, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione: tali presupposti giustificano la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale.

Con specifico riferimento ai presupposti di adozione delle ordinanze sindacali, anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco, non essendo necessario attendere l’attualizzarsi della minaccia. Difatti, la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o si protragga per un periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell’agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi.

La sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della l. n. 257/1992.

Il presupposto circa l’esistenza di una situazione eccezionale ed imprevedibile va interpretato nel senso che non rileva la circostanza che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, bensì la sussistenza della necessità e urgenza attuali di intervenire a difesa degli interessi pubblici coinvolti, a prescindere dalla prevedibilità della situazione di pericolo che il provvedimento è volto a rimuovere: il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. Cosicché, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo.

Se anche è decorso del tempo dall’insorgenza della situazione di pericolo, ciò non esclude l’attualità della stessa e l’urgenza di provvedere con ordinanza extra ordinem.

È la presenza di un pericolo attuale che giustifica l’urgenza di provvedere con ordinanza contingibile e urgente, radicando la competenza del Sindaco ai sensi dell’art. 50 TUEL, qualora sia sconsigliabile attendere l’espletamento delle procedure ordinarie, come riguardo agli obblighi di bonifica in tema di cemento amianto.

Ordinanze sindacali e principio di proporzionalità

Tar Toscana, Firenze, sez. IV, 21 febbraio 2024, n. 198

Ordinanze sindacali – Principio di proporzionalità

L’emanazione di ordinanze sindacali deve avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità, che richiede il perseguimento del pubblico interesse con il sacrificio minore possibile degli altri interessi coinvolti e presuppone, quindi, un’attenta ponderazione e il bilanciamento tra le contrapposte esigenze che si fronteggiano nella vita delle città.

Trasporto pubblico locale, in house e ambiti ottimali

Consiglio di Stato, sez. V, 20 febbraio 2024, n. 1671

Servizi pubblici – In house providing – Trasporto pubblico locale – Legge Regionale Liguria – Ambiti o bacini territoriali ottimali – Dimensione – Livelli di governo incidenti sul servizio di trasporto – Servizi integrati di trasporto pubblico – Gruppo di autorità competenti – Controllo analogo

Nel settore del trasporto pubblico locale, l’in house providing è una modalità ordinaria di affidamento dei servizi, perfettamente alternativa al ricorso al mercato. Ciò si desume innanzitutto dall’art. 5, par. 2, del Regol. CE n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007 (relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70), secondo cui, salvo che «non sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti a livello locale, si tratti o meno di un’autorità singola o di un gruppo di autorità che forniscono servizi integrati di trasporto pubblico di passeggeri, hanno facoltà di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri, o di procedere all’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l’autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sulle proprie strutture».

In secondo luogo, si ricava dal fatto che l’art. 18, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016 esclude dalla propria applicazione le «concessioni di servizi di trasporto pubblico di passeggeri ai sensi del regolamento (CE) n. 1370/2007» (nello stesso senso, cfr. oggi l’art. 149, comma 4, d.lgs. n. 36 del 2023). Tanto ciò è vero, che non trova in questo settore applicazione la regola prevista dall’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, incentrata sulla comparazione tra gli opposti modelli di gestione dell’in house providing e del ricorso al mercato, giacché non è qui previsto un rapporto di regola ed eccezione fra l’uno e l’altra.

L’art. 61 l. n. 99 del 2009 (recante Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), prevede che «anche in deroga alla disciplina di settore», le amministrazioni competenti all’aggiudicazione di contratti di servizio di trasporto pubblico locale «possono avvalersi delle previsioni» di cui al citato art. 5, par. 2, Regol. n. 1370/2007. A ciò si è aggiunto, peraltro, lo ius singulare consistente nella legislazione di carattere emergenziale, adottata all’indomani del crollo del ponte Morandi, nell’ambito della quale, per il trasporto pubblico, nel Comune di Genova, è stata legittimata la scelta dell’in house providing senza la perdita dei trasferimenti statali prevista dall’art. 27, comma 2, lett. d), (oggi lett. c)) d.l. n. 50 del 2017, attraverso il differimento di quest’ultima disposizione al 31 dicembre 2019, a mente dell’art. 5, comma 4, d.l. n. 109 del 2018, recante Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze. A tale differimento, si è successivamente aggiunta, per l’intero territorio nazionale, un’ulteriore previsione normativa legittimante in termini generali il modello dell’in house providing per i servizi di trasporto pubblico locale, data dall’espressa non applicabilità del medesimo art. 27, comma 2, lett. d) (ora lett. c)), d.l. n. 50 del 2017 ai contratti di servizio «affidati in conformità alle disposizioni, anche transitorie, di cui al regolamento (CE) n. 1370/2007 […]» (art. 21-bis d.l. n. 119 del 2018, recante Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria, inserito dalla legge di conversione n. 136 del 2018).

La pertinente legislazione regionale della Liguria prevede che «per l’esercizio dei servizi di trasporto terrestre e marittimo», ad esclusione di quello ferroviario, siano istituiti quattro Ambiti Territoriali Ottimali e omogenei, uno dei quali coincidente proprio «col territorio della Città metropolitana di Genova» (art. 9, comma 1, lett. b), l. r. Liguria n. 33 del 2013). Il precedente art. 7, comma 1, l. r. Liguria n. 33 del 2013, nella formulazione ratione temporis applicabile alla fattispecie, stabilisce, poi, che la Città Metropolitana e gli enti di area vasta, quali «enti di governo degli ATO ai sensi dell’articolo 9 […] nell’ambito della gestione dell’ATO, anche attraverso la costituzione di Agenzie Locali di Mobilità di livello metropolitano o provinciale in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, interamente partecipate dagli enti locali e con i requisiti dei soggetti in house, espletano le procedure per l’affidamento dei servizi di trasporto previste dalla normativa comunitaria e statale e gestiscono il contratto di servizio stipulato […]». Il che è coerente con la previsione generale dell’art. 3-bis d.l. n. 138 del 2011, che prevede la formazione di ATO di livello almeno provinciale ai fini dell’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali.

La dimensione degli Ambiti o bacini Territoriali Ottimali, di norma, deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale. L’introduzione, quindi, di un’organizzazione del servizio su base territoriale più ampia risulta coerente con le esigenze di economie di scala oltre che di differenziazione attraverso la prevista suddivisione in lotti e la partecipazione degli enti provinciali e comunali ai comitati di indirizzo e monitoraggio dei servizi di TPL.

L’affidamento del servizio di t.p.l. è strutturato, di regola, su base provinciale (sicché anche le eventuali configurazioni con sub-Ambiti presentano rilievo essenzialmente organizzativo interno), né rileva, in senso contrario, l’art.14, comma 27, d.l. n. 78 del 2010, n.78, come novellato dall’art.19, comma 1, lett. b), d.l. n. 95 del 2012, laddove prevede, tra le funzioni fondamentali dei Comuni, l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale, atteso che “tale disposizione […] non impone la dimensione comunale dei servizi in parola”.

Nello stesso senso, nel quadro della legislazione regionale ligure, l’art. 8, comma 1, l. r. n. 33 del 2013, stabilisce che «I Comuni, in conformità a quanto previsto dall’articolo 19 del d.l. 95/2012 convertito dalla L. 135/2012, esercitano le funzioni di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico comunale»: anche in questo caso, a fronte di un potere di affidamento riconosciuto alla Città Metropolitana quale soggetto che governa l’ATO, le concorrenti funzioni organizzative del t.p.l. competono ai singoli Comuni per quanto di rispettiva pertinenza.

Ai fini dell’affidamento diretto, sarebbe già di per sé sufficiente l’esercizio del controllo analogo da parte di una delle autorità del gruppo, in un contesto in cui l’art. 5, par. 2, fa riferimento, appunto, al controllo di «almeno una di esse», consentendo di prescindere dall’apprezzamento circa l’interesse diretto al servizio.

Ordinanze contigibili e urgenti

Tar Campania, Salerno, sez. III, 7 febbraio 2024, n. 369

Ordinanza contingibile e urgente – Legittimazione passiva – Presupposti – Costi dell’intervento urgente

Le ordinanze contingibili e urgenti, proprio per il loro contenuto “extra ordinem”, possono rivolgersi a chiunque abbia, con il bene che minaccia la pubblica incolumità, una relazione tale da consentirgli di disporne e quindi effettuare gli interventi necessari a ripristinare le condizioni di sicurezza.

Tra i presupposti dell’ordinanza contingibile e urgente deve essere annoverato anche quello soggettivo, cioè la riferibilità del bene interessato, in tesi produttivo di danno, ad un soggetto che ne abbia la disponibilità, ovvero si trovi in rapporto tale con la fonte del pericolo da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di emergenza. E ciò evidentemente perché, in caso contrario, l’ordine sarebbe illogicamente destinato a non poter essere eseguito.

Per poter essere eseguita, l’ordinanza contingibile e urgente può dirigersi nei confronti del destinatario solamente per la realizzazione di lavori su beni di cui lo stesso sia proprietario e che rientrino nella sua disponibilità, vale a dire che si trovi in rapporto tale con la fonte di pericolo da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di rischio.

Il termovalorizzatore di Roma Capitale

Consiglio di Stato, sez. IV, 9 febbraio 2024, n. 1349

Rifiuti – Piano di smaltimento rifiuti di Roma Capitale – VAS – Realizzazione termovalorizzatore – Diritto dell’Unione europea e legislazione degli Stati membri – Principio della gerarchia dei rifiuti – Ratio – Discrezionalità

Abbandono di rifiuti e principio di precauzione

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1110

RSU – Abbandono – Responsabilità – Principio di precauzione e di prevenzione – Misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza – Gestione d’affari altrui – Presupposti – Gestione nomine proprio o con spendita del nome – Principio di proporzionalità – Teoria dei tre gradini – Cessione della proprietà del sito – Traslazione dell’obbligo di bonifica – Acque emunte – Classificazione

Le misure di messa in sicurezza di emergenza, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell’azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente) solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa.

Il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell’inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell’attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale – per una sua condotta commissiva od omissiva – sia imputabile l’inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d’ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un’azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito, dopo l’esecuzione degli interventi medesimi.

Ne discende che il proprietario non responsabile dell’inquinamento – nell’accezione prima chiarita – è tenuto, ai sensi dell’ art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.

Tali consolidati principi non possono, nondimeno, trovare applicazione nel caso in cui il proprietario, ancorché non responsabile, ha attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In tale caso, infatti, la fonte dell’obbligazione del proprietario incolpevole va rinvenuta nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa.

Secondo l’art. 2028 c.c. colui che, scientemente e senza esservi tenuto, assume la gestione di un affare altrui ha l’obbligo di proseguirla fino a quando l’interessato possa provvedervi da sé stesso.

I presupposti necessari perché si configuri una gestione di affari altrui sono tradizionalmente individuati: a) nella c.d. absentia domini, dedotta dall’art. 2028 c.c. allorché fa riferimento ad un dominus che non è in grado di provvedere ai suoi interessi; b) nell’altruità dell’affare, dato l’esplicito riferimento normativo alla gestione di un affare altrui; c) nella spontaneità dell’intervento del gestore che, infatti, ai sensi dell’art. 2028 c.c., deve agire “senza essere obbligato”; d) nella consapevolezza dell’alienità dell’affare, desumibile dall’avverbio “scientemente”. Particolarmente discusso è, poi, il c.d. requisito dell’utiliter coeptum che, data la formulazione dell’art. 2031 c.c., è da una parte della dottrina considerato condicio iuris di efficacia di una fattispecie già strutturalmente perfetta e, da altra parte, ritenuto presupposto dei soli effetti a carico del dominus.

Il requisito della c.d. absentia domini deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi il caso in cui l’interessato, pur presente fisicamente nei luoghi ove la gestione è eseguita, non sia comunque in grado di presidiare all’amministrazione dei propri interessi esistenziali. A tal riguardo, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell’interessato alla gestione dei propri affari, ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l’anzidetto requisito là dove il dominus non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari.

Quanto agli effetti della gestione, deve essere distinta la fattispecie in cui il gestore ha agito nomine proprio,da quella in cui spende il nome dell’interessato (art. 2031, comma 1, c.c.). Nel primo caso (c.d. gestione rappresentativa fondata sulla legge e condizionata dal presupposto dell’utiliter coeptum), gli effetti della gestione sono proiettati recta via nella sfera giuridico-patrimoniale dell’interessato, il quale deve pertanto adempiere le obbligazioni assunte in suo nome. Nel secondo caso, valgono le regole in tema di mandato senza procura, di guisa che l’interessato dovrà tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte. Il gestore è tenuto a continuare la gestione e a completarla finché l’interessato non sia in grado di provvedervi autonomamente (art. 2028, comma 1, c.c.).

Nella negotiorum gestio, si ravvisano i tratti distintivi dell’obbligazione – che nasce per effetto della libera determinazione del gerente – senza obbligo primario di prestazione, da cui discende la eventuale responsabilità ex art. 1218 c.c., quale conseguenza della c.d. mala gestio.

Il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa una adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, l’esercizio del potere in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.

Inoltre, il principio di proporzionalità postula un giudizio di valutazione che si articola in tre passaggi successivi, che prevedono l’utilizzo di altrettanti criteri di valutazione (c.d. «teoria dei tre gradini»):

– l’idoneità della decisione a raggiungere lo scopo, intesa come rapporto fra mezzo utilizzato e fine da raggiungere. Secondo questo primo indice di valutazione, la soluzione prospettata dalla pubblica amministrazione dev’essere effettivamente idonea a realizzare gli obiettivi legittimi di interesse pubblico, o la tutela di diritti fondamentali, per come dichiarato dalla stessa amministrazione;

– la sua necessarietà, intesa come inesistenza di alternative più miti per il raggiungimento dello stesso risultato. In base a tale criterio, la scelta amministrativa deve necessariamente ricadere su quella che determini il sacrificio minore per i soggetti che ricevono un pregiudizio dalla decisione: in questo secondo passaggio si ha, dunque, un quid pluris rispetto al primo, consistente nella valutazione delle alternative plausibili per il raggiungimento degli stessi interessi pubblici con misure meno gravose;

– l’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto, intesa come tollerabilità della decisione da parte del suo destinatario. In virtù di quest’ultimo indice valutativo, l’amministrazione deve effettuare una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, onde verificare se la misura sia «non eccessiva» rispetto all’obiettivo da perseguire.

La proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido e immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa e come concreto bilanciamento tra interessi potenzialmente antagonisti: il bilanciamento tra interessi potenzialmente incompatibili è una vicenda di allontanamento più o meno intenso da quel nucleo di massima protezione e che dipende dalle relazioni di prevalenza o subordinazione che, all’interno della ponderazione, si stabiliscono con i principi concorrenti.

La cessione della proprietà del sito non determina una vicenda estintiva, né a livello soggettivo, né a livello oggettivo, dell’obbligazione volontariamente assunta, venendo nel caso in esame in rilievo un’obbligazione di fonte legale, discendente da un fatto/atto idoneo, ai sensi dell’art. 1173, a generare la nascita di un’obbligazione in capo al soggetto che ha spontaneamente intrapreso la gestione dell’attività di bonifica. In tale direzione depone anche la considerazione che, anche nel caso di cessione di azienda, l’art. 2560, comma 1, c.c. espressamente dispone che, dopo la cessione, il cedente rimane ex lege titolare degli obblighi (e, più in generale, delle posizioni di responsabilità) rivenienti dalla gestione del ramo di azienda precedente alla cessione.

La fattispecie della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si verifica, invece, nel diverso caso della successione a titolo universale, ovvero quando si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione): in tali ipotesi, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus.

Il principio di precauzione consiste, come noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”. Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”. Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili, la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.

Il fondamento concettuale della logica precauzionale può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.

Ne discende che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.

Le acque emunte, di regola, devono essere ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art. 243, d.lgs. 152/06, consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali. L’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere.

Contratti pubblici e segretezza delle offerte

Tar Campania, Napoli, sez. III, 19 febbraio 2024, n. 1155

Contratti pubblici – Procedura di gara – Segretezza delle offerte – Principio di trasparenza – Mancata pubblicità – Principio di imparzialità – Annullamento e revoca in autotutela – Annullabilità – Titoli edilizi – Art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990 – Omessa comunicazione avvio procedimento

La segretezza delle offerte è riconducibile ai principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), sub specie dei principii di trasparenza e par condicio dei concorrenti: la loro lesione deve essere apprezzata ex ante, rilevando, cioè, non solo la lesione effettiva del bene giuridico tutelato, ma anche il mero pericolo di lesione, sicché il condizionamento della valutazione rileva anche solo sotto il profilo potenziale, in quanto astrattamente idoneo a compromettere la garanzia di imparzialità dell’operato dell’organo valutativo.

L’obbligo di apertura delle offerte tecniche in seduta pubblica discende dal principio di trasparenza, espressamente richiamato dall’articolo 30 del d.lgs. 50/2016, secondo cui “nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.

La mancata pubblicità delle sedute di gara costituisce non una mera mancanza formale, ma una violazione sostanziale, che invalida la procedura, senza che occorra la prova di un’effettiva manipolazione della documentazione prodotta e le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli e aperti i plichi. Ne discende che la rilevanza della violazione prescinde dalla prova concreta delle conseguenze negative derivanti dalla sua violazione, rappresentando un valore in sé, di cui la normativa nazionale e comunitaria predica la salvaguardia a tutela non solo degli interessi degli operatori, ma anche di quelli della stazione appaltante. Ai fini della tutela della segretezza delle offerte e per assicurare la par condicio e la trasparenza delle operazioni concorsuali, occorre che la Commissione di gara predisponga particolari cautele per la conservazione delle buste contenenti le offerte e di dette cautele si faccia espressa menzione nel verbale di gara, non potendo tale verbalizzazione essere surrogata da dichiarazioni postume del presidente circa lo stato di conservazione dei plichi.

Nelle gare pubbliche, viola il principio di segretezza delle offerte la mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla Commissione di gara, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l’erronea apertura, dato che la regola è posta a garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte, che altrimenti non risultano assicurati, in quanto l’apertura del plico deve essere effettuata dalla Commissione pubblicamente, in contraddittorio ed il giorno della gara, e non invece in circostanze tali da non consentire alcuna certezza in ordine al rispetto delle regole di legalità previste per lo svolgimento della gara; e ciò ancorché la busta contenente l’offerta economica sia intatta, essendo pervenuta alla Commissione regolarmente sigillata.

L’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese partecipanti a gare pubbliche, in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, discende necessariamente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in quanto l’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati dall’art. 97 Cost., ai quali deve uniformarsi l’azione amministrativa.

Il principio di imparzialità (art. 97 Cost.), inteso come terzietà della P.A. rispetto agli interessi toccati dall’azione amministrativa, rileva non solo in una dimensione sostanziale, ma anche in una dimensione formale.

La dizione letterale di cui all’art. 21 nonies legge n.241/1990 fa riferimento, in generale, a “ragioni di interesse pubblico”, sicché nulla esclude, a priori, una rivalutazione dell’interesse pubblico originario, anche nel caso dell’annullamento d’ufficio di un precedente provvedimento amministrativo: si deve, più precipuamente, avere, però, riguardo alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, che sia diverso dal mero ripristino della legalità violata, dovendo anche considerarsi le posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.

L’esercizio del potere di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, postula, in particolare, un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’atto, che non possa essere soddisfatto se non a danno dell’interesse del privato alla conservazione dell’atto annullato.

Il potere di revoca in autotutela, ai sensi dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, ha carattere discrezionale e si differenzia dal potere di autoannullamento, disciplinato dall’art. 21 nonies, l. n. 241/1990, in ragione della diversità dei presupposti, ricorrendo i quali può e deve essere esercitato l’uno o l’altro potere di secondo grado. In tal senso, se il presupposto per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio è l’illegittimità del provvedimento originario, il presupposto della revoca, viceversa, consiste nella nuova valutazione della situazione originariamente giustificativa dell’emissione del primo provvedimento, ovvero della incompatibilità tra gli effetti dell’originario provvedimento e l’interesse pubblico che l’Amministrazione è chiamata a perseguire.

I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento e dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, che è un principio diverso dal mero ripristino della legalità violata, tenendo anche conto delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. Conseguentemente, l’annullamento concerne il caso di illegittimità che inficia il provvedimento che ne viene colpito e che conseguentemente viene ritirato con effetto ex tunc.

La Stazione appaltante conserva, anche dopo l’aggiudicazione definitiva e addirittura dopo il conseguimento dell’efficacia di quest’ultima, il suo potere di autotutela rispetto alla procedura seguita nel caso in cui il rapporto risulti già viziato a monte, come stabilito dall’art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50/2016; potere da esercitare ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241/1990, all’esito di una puntuale ed approfondita istruttoria. Difatti, il potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa da parte della stessa Amministrazione procedente, deve riconoscersi alla stessa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova ora un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124/2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241/1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa. Ciò che è precluso a seguito della stipulazione del contratto è soltanto l’esercizio del potere di revoca, ma non anche di quello di annullamento d’ufficio, che, per sua natura, presuppone il riscontro di un vizio di legittimità dell’atto oggetto di annullamento.

Laddove il contenuto dell’atto lesivo non possa essere diverso da quello in concreto adottato, l’apporto collaborativo del privato non sarebbe comunque stato in grado di influire nel processo di formazione del provvedimento finale, con conseguente applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990. Ed invero, l’art. 21-octies, l. 241/1990, deve essere interpretato nel senso di evitare che l’amministrazione sia onerata in giudizio di una prova diabolica, e cioè della dimostrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso in relazione a tutti i possibili contenuti ipotizzabili; pertanto, si deve porre a carico del privato quanto meno l’onere di allegare gli elementi conoscitivi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento.

L’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7, l. n. 241/1990 non inficia la legittimità del provvedimento finale in applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della medesima legge, laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto esser diverso da quello in concreto adottato.