GIURISPRUDENZA

Società in house e nomina amministratori

Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 24 gennaio 2024, n. 56

Servizi pubblici – Società di capitali partecipata – Natura giuridica – Nomina amministratori – Procedimento amministrativo – Atto presupposto

Una società di capitali non muta la sua natura di soggetto privato in ragione del fatto di essere in tutto o in parte partecipata da un Ente pubblico, il quale, a sua volta, è titolare esclusivamente di quei diritti che l’ordinamento riconnette alla qualità di socio, tra cui quello di concorrere alla nomina degli organi societari.

La nomina degli amministratori delle società partecipate è sì effettuata dal Sindaco, sulla base degli indirizzi stabiliti dal Consiglio comunale, giusta quanto prevede l’articolo 50, comma 8, D.Lgs. n. 267/2000, ma pur sempre uti socius, e non iure imperii.

La nozione di atto presupposto, in relazione ad atti di un unico procedimento o anche autonomi, si fonda sull’esistenza di un collegamento fra gli atti stessi, così stretto nel contenuto e negli effetti, da far ritenere che l’atto successivo sia emanazione diretta e necessaria di quello precedente, di modo che il primo è in concreto tanto condizionato dal secondo, nella statuizione e nelle conseguenze, da non potersene discostare.

Poteri di ordinanza

Tar Campania, Napoli, sez. V, 10 gennaio 2024, n. 275

Ordinanza sindacale contingibile e urgente – Fondamento – Presupposti – Oneri istruttori e motivazionali – Accertamento tecnico-scientifico – Proporzionalità

L’art. 54 (Attribuzioni del Sindaco nelle funzioni di competenza statale), comma 4, del D. Lgs. n. 267/2000 prevede che: “Il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire o di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”. Spetta, quindi, al Sindaco valutare l’esistenza di una situazione di grave pericolo, vale a dire il rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana; la valutazione, di carattere eminentemente tecnico, va compiuta sulla base di pareri acquisiti ed accertamenti tecnico-scientifici effettuati in sede istruttoria, di cui si deve dar conto nella motivazione del provvedimento. L’esito di tali accertamenti tecnico-scientifici deve condurre con sufficiente grado di attendibilità a ravvisare come sussistente un nesso causale tra la situazione fattuale come riscontrata e una possibile lesione della pubblica incolumità, non potendosi richiedere, per l’urgenza che connota il momento, che si pervenga ad un giudizio di certezza della derivazione causale degli eventi.

Il potere di ordinanza presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale.

Le ordinanze contingibili e urgenti sono, invero, rivolte alla disciplina del caso concreto e sono connotate da atipicità: la fonte primaria non disciplina in maniera specifica né i presupposti di applicazione di tali provvedimenti, facendosi riferimento genericamente alla necessità, urgenza e contingibilità, la cui individuazione concreta compete all’autorità amministrativa deputata, né tantomeno il contenuto, che può estrinsecarsi in una serie di provvedimenti che si rivelino idonei a fronteggiare quella determinata situazione. È indubbio, tuttavia, che il fondamento del potere di ordinanza debba comunque essere identificato nella legge, non potendo esso risiedere nella necessità in sé.

Le ordinanze di necessità e urgenza, quali espressione di un potere amministrativo extra ordinem, volto a fronteggiare situazioni di urgente necessità, laddove all’uopo si rivelino inutili gli strumenti ordinari posti a disposizione dal legislatore, presuppongono necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un’istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, tali da giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.

I presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente risiedono nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, nonché nella provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento, non essendo pertanto possibile adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità. In altri termini, il potere di urgenza, di cui agli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, può essere esercitato solo rispetto a circostanze di carattere eccezionale e imprevisto, costituenti un’effettiva minaccia per la pubblica incolumità, e unicamente in presenza di un preventivo accertamento delle condizioni concrete, fondato su prove empiriche e non su mere presunzioni. Tali presupposti non ricorrono laddove il Sindaco possa far fronte alla situazione con rimedi di carattere corrente nell’esercizio ordinario dei suoi poteri.

In linea di principio, le ordinanze contingibili e urgenti possono essere adottate al ricorrere di due presupposti: l’inutilizzabilità di mezzi ordinari di intervento e la necessità di contrastare una minaccia per l’incolumità pubblica o la sicurezza urbana: anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco, non essendo necessario attendere l’attualizzarsi della minaccia. Difatti, la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell’agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente, in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi.

Le misure adottate con le ordinanze contingibili e urgenti devono garantire il corretto bilanciamento degli interessi che vengono in rilievo, essere rispettose del principio di proporzionalità, risultare coerenti con il livello di attendibilità del giudizio causale e non eccedere quanto sia necessario per conseguire lo scopo prefissato.

Centro abitato e limitazioni alla circolazione stradale

Consiglio di Stato, sez. V, 9 gennaio 2024, n. 282

Circolazione stradale – Libertà di locomozione e iniziativa economica – Limitazioni in centro abitato – Discrezionalità – Tutela di ambiente, paesaggio e salute

L’art. 16 Cost. non preclude l’adozione di misure che, per ragioni di pubblico interesse, influiscano sul movimento della popolazione; è pertanto costituzionalmente legittima una previsione come quella dell’art. 7 del Codice della strada, in quanto l’art. 16 Cost. consente limitazioni giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela. Conseguentemente, non sono utilmente proponibili, contro atti amministrativi attuativi della norma, doglianze di violazione degli artt. 16 e 41 Cost., quando non sia vietato tout court l’accesso e la circolazione all’intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell’abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico.

La parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica è giustificata, laddove derivi dall’esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali e ambientali, specie di rilievo mondiale o nazionale; la gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario e assoluto che la Costituzione riconosce all’ambiente, al paesaggio, alla salute.

È legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione e alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando una nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzione di continuità.

I provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all’interno dei centri abitati sono espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che vanno contemperati secondo criteri di ragionevolezza, la cui scelta è rimessa all’autorità competente.

L’uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengano al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare e alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere.

La tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi rilevanti: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’uso indiscriminato del mezzo privato, trattandosi di disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela e alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza il cui sindacato va compiuto dal giudice amministrativo in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, ab externo, nei limiti della abnormità.

Concessioni demaniali marittime e disapplicazione proroghe automatiche

Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200

Concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – Proroga automatica – Contrasto diritto eurounitario – Abuso edilizio e paesaggistico – Valutazione

Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici, né dalla pubblica amministrazione.

La valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall’insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni.

Accesso difensivo

Tar Lazio, Roma, sez. II, 19 gennaio 2024, n. 990

Procedimento amministrativo – Potere di vigilanza – Accesso – Interesse qualificato – Riservatezza – Ammissibilità

Chi subisce gli effetti di un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti. Invero, l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività, e, di conseguenza, il denunciante perde consapevolmente la disponibilità sulla propria segnalazione. Quest’ultima, infatti, diventa un elemento del procedimento amministrativo e come tale nella disponibilità dell’Amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da generiche esigenze di tutela della riservatezza, giacché il già menzionato diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.

La pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso, ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.

Installazione stazione radio e silenzio-assenso

Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11203

Procedimenti amministrativi – Servizi pubblici – Installazione stazione radio per telefonia mobile – Silenzio assenso – Formazione

L’assenso tacito sull’istanza per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile si forma allorquando sulla domanda, se corredata di tutti gli elementi occorrenti alla valutazione della pubblica amministrazione, sia decorso il termine di legge senza che questa abbia provveduto, mentre non può essere escluso per difetto delle condizioni sostanziali per il suo accoglimento, ossia, per contrasto della richiesta con la normativa di riferimento.

Ove l’istanza non sia stata corredata da tutta la documentazione necessaria, ovvero si presenti imprecisa o foriera di possibili equivoci, in modo tale che l’amministrazione destinataria sia stata impossibilitata per il comportamento dell’istante a svolgere un compiuto accertamento di spettanza del bene, il silenzio assenso non può formarsi, per cui si avrà un’ipotesi di inesistenza dello stesso e non di sua illegittimità.

Farmacie e pianificazione comunale

Tar Marche, Ancona, sez. II, 20 gennaio 2024, n. 64

Servizi pubblici – Servizio farmaceutico – Pianificazione territoriale – Competenza comunale – Trasferimento – Concorso per assegnazione sedi

L’Amministrazione comunale dispone di poteri in materia di apertura, esercizio e trasferimento di farmacie ai sensi della legge n. 475 del 1968, come incisivamente modificata dal D.L. n. 1/2012, convertito dalla legge n. 27/2012. Inoltre, l’art. 2 di detta legge attribuisce ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. In particolare, tale norma prevede che il Comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifichi le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurarne un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate. La competenza comunale si estende inoltre, anche al trasferimento della farmacia all’interno della sede assegnata, disciplinato dall’art. 1 della medesima legge, che subordina l’autorizzazione al trasferimento all’unica condizione della distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (comma 4).

Il compito di individuare le zone ove collocare le farmacie è assegnato espressamente ai soli Comuni dall’articolo 11, commi 1 e 2, del dl 1/2012, a garanzia soprattutto dell’accessibilità del servizio farmaceutico ai cittadini. La decisione del legislatore statale di affidare ai Comuni il compito di individuare le zone risponde all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività alla quale concorrono plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l’individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, il correlato esame di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali – come si è detto – sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti all’area del merito amministrativo, rilevanti ai fini della legittimità soltanto in presenza di chiare ed univoche figure sintomatiche di eccesso di potere, in particolare sotto il profilo dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà. Inoltre, lo strumento pianificatorio (in passato denominato pianta organica) non è più configurato come atto complesso che si perfezioni con il provvedimento di un ente sovracomunale (la Regione ovvero la Provincia, o altro, a seconda delle legislazioni regionali), bensì come un atto di esclusiva competenza del Comune (e per esso della Giunta): e ciò tanto nella prima applicazione del D.L. n. 1 del 2012, quanto nelle future revisioni periodiche.

Mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune.

All’Adunanza Plenaria alcune questioni in materia di regolarità contributiva e tributaria

Consiglio di Stato, sez. III, 4 gennaio 2024, n. 161

Procedure ad evidenza pubblica – Regolarità contributiva e tributaria – Verifica e sindacabilità in corso di gara – Obbligo di esclusione

Primo orientamento: Nelle gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni; spetta, infatti, in via esclusiva all’Agenzia delle entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali.

Secondo orientamento: Proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A. E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente ), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere, al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica.

Quesiti rimessi all’Adunanza Plenaria:

i) se, fermo restando il principio della insussistenza di un potere della stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;

ii) se, correlativamente, sussista a carico della stazione appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicatario della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;

iii) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla stazione appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’amministrazione di escluderlo dalla procedura stessa.

Interdittiva antimafia e cauzione

Consiglio di Stato, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 392

Contratti pubblici – Cauzione definitiva – Ipotesi di riscossione – Interdittiva antimafia – Natura giuridica

L’art. 103 del d.lgs. 50 del 2016 impone che sussistano due condizioni al ricorrere delle quali la stazione appaltante è legittimata a riscuotere la cauzione definitiva: che vi sia un inadempimento contrattuale imputabile all’aggiudicatario e che risulti, allo stesso tempo, pregiudizievole per l’Amministrazione.

Nell’ipotesi di risoluzione intervenuta a causa del factum principis costituito dal sopravvenire di un provvedimento pubblicistico interdittivo, la ragione di impedimento opera dall’esterno del contratto, precludendone l’ulteriore corso: l’interdittiva antimafia non rientra tra le cause legittimanti l’escussione della garanzia definitiva previste dal citato art. 103 (cfr. comma 2 nel quale è indicato come la stessa cauzione può essere trattenuta solo qualora l’Amministrazione debba rivalersi per la maggiore spesa sostenuta in ragione dell’inadempimento di controparte ovvero debba provvedere al pagamento di quanto dovuto sempre dall’esecutore in ragione di inosservanze delle regole contrattuali). E, seppure volendo ricondurre l’interdittiva all’inadempimento di cui all’art. 103, deve essere sottolineato come la cauzione definitiva prevista dalla stessa disposizione, che si atteggia come garanzia di adempimento in senso stretto, cioè garanzia reale generica destinata a soddisfare le pretese, anche risarcitorie, vantate anche dalla stazione appaltante per l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, potrebbe operare nei limiti del pregiudizio effettivamente subito (che dunque va dimostrato).

In definitiva, deve essere esclusa l’escussione della garanzia definitiva in via automatica basata sulla risoluzione per la sopravvenuta interdittiva prefettizia, in modo da attribuire alla stessa una funzione sanzionatoria che risulterebbe estranea all’istituto e tale da configurare l’indebito arricchimento della stazione appaltante.

Più in generale, l’interdittiva antimafia è una misura priva di portata sanzionatoria che prescinde da qualsivoglia colpevolezza dell’impresa colpita, trovando giustificazione in fondamentali esigenze di contrasto preventivo della criminalità organizzata. Tale impostazione, che peraltro assicura la compatibilità dell’eccezionale strumento interdittivo con principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, finirebbe per essere sostanzialmente disattesa laddove si equiparasse automaticamente, ai fini della disciplina sulla cauzione definitiva, il caso dell’inadempimento colpevole dell’appaltatore e quello dell’impossibilità di eseguire la prestazione per il sopraggiungere di un’interdittiva antimafia. In questo modo, infatti, si finirebbe per attribuire alla stessa quella base di colpevolezza che fonda la disciplina sull’inadempimento delle obbligazioni e che dovrebbe, invece, rimanere estranea, per evidenti ragioni di coerenza sistematica, rispetto a una fattispecie che non ha natura sanzionatoria perché non colpisce un illecito (quale, invece, è l’inadempimento delle obbligazioni in senso civilistico), configurandosi quale misura preventiva di contrasto della criminalità organizzata.

Nozione di bene culturale

Tar Liguria, Genova, sez. I, 11 gennaio 2024, n. 16

Beni culturali – Nozione – Vincoli – Discrezionalità

L’Amministrazione può assoggettare a tutela culturale i beni di proprietà di un ente pubblico in uno spettro di situazioni più ampio rispetto all’ipotesi di cespiti appartenenti a privati: infatti, per i beni del demanio e del patrimonio pubblico l’art. 10, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 42/2004 postula la sussistenza di un “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, vale a dire di un interesse culturale, per così dire, semplice; diversamente, per quelli in proprietà privata, l’art. 10, comma 3, richiede il riscontro di un interesse “particolarmente importante” o “eccezionale”.

La nozione di bene culturale non si presta ad una definizione tassativa e puntuale, ma costituisce un concetto aperto, il cui contenuto viene riempito dalle elaborazioni di diversi campi del sapere, afferenti alle scienze non esatte. In ragione delle peculiarità epistemologiche insite nell’apprezzamento della qualitas culturale di un bene, il giudizio che presiede alla dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnica, poiché implica l’applicazione di cognizioni specialistiche proprie di settori scientifici della storia, dell’arte, dell’architettura, dell’archeologia e di altre discipline caratterizzate da canoni elastici e mobili e, quindi, da lati margini di opinabilità. Ne consegue che la valutazione dell’Amministrazione può essere censurata soltanto se la decisione risulti in contrasto con la realtà fattuale, ovvero sia irragionevole, incoerente o inattendibile sotto il profilo tecnico, ponendosi al di fuori della naturale ed intrinseca opinabilità del sapere che definisce il carattere culturale del bene.