GIURISPRUDENZA

Pianificazione urbanistica e distinzione tra tipologie di volumi

Consiglio di Stato, sez. II, 17 febbraio 2025, n. 1260

Pianificazione urbanistica – Intervento di nuova costruzione – Creazione di superfici utili o di volumi – Distinzione fra volume tecnico e di altro tipo – Accertamento postumo di compatibilità paesaggistica – Tassatività

Il rilascio della compatibilità paesaggistica non è consentito in presenza di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o di volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.

Premesso che sono tassative, e quindi di stretta interpretazione, le fattispecie di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica – in quanto istituto eccezionale che deve sempre essere rivolto alla salvaguardia della percezione visiva dei volumi e della conservazione del contesto paesaggistico – la regola che in materia urbanistica porta ad escludere i volumi tecnici, tombati o interrati dal calcolo della volumetria edificabile (che trova fondamento nel bilanciamento tra i vari e confliggenti interessi connessi all’uso del territorio), non può essere invocata al fine di ampliare la portata applicativa della lettera della norma di cui all’articolo 167, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 che, nel consentire l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai “lavori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, senza ulteriore specificazione e distinzione.

Istanza di riclassificazione di “area bianca”

Tar Sicilia, Catania, sez. V, 20 febbraio 2025, n. 671

Pianificazione urbanistica – Istanza di riclassificazione dell’area bianca – Rigetto per presenza di manufatti abusivi – Illegittimità – Onere motivazionale

È illegittimo il provvedimento con cui il Comune rigetta l’istanza di riclassificazione dell’area bianca per la presenza di manufatti abusivi non demoliti dall’istante ed acquisiti al patrimonio dell’ente, allorquando tale presenza appaia irrilevante rispetto all’estensione dell’intera area di proprietà della ricorrente di cui si chiede la riclassificazione e sia scollegata rispetto all’esigenza di imprimere doverosamente una disciplina urbanistica all’area in questione.

Titolo edilizio in sanatoria e requisito della doppia conformità

Consiglio di Stato, sez. II, 25 febbraio 2025, n. 1648

Titolo edilizio – Assenza o difformità – Accertamento di conformità – Permesso in sanatoria condizionato ad altri interventi – Non ammissibilità – Accordo ex art. 11 L. 241/1990 – Natura giuridica – Ratio – Requisito della “doppia conformità” – Natura giuridica

In ossequio alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. 29 maggio 2013, n. 101), l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non ammette ipotesi di “sanatoria” condizionata alla effettuazione di altri interventi (ad esempio di demolizione). Ciò vale a maggior ragione ove si pretenda di far confluire gli impegni del privato in un accordo ai sensi dell’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che comunque implica una “negoziazione” rimessa alla scelta discrezionale della p.a., estranea alla natura del provvedimento.

L’art. 11 della l. n. 241 del 1990, è relativo ad un modulo decisionale consensuale, comunque, soggetto al vincolo funzionale dell’interesse pubblico a “sottrarre” ambiti più o meno ampi alla decisione autoritativa. Esso non può essere identificato con il risparmio del futuro e ipotetico dispendio di tempo e risorse per l’eventuale demolizione in danno, ovvero per istruire ex novo la pratica edilizia eventualmente (ri)presentata. L’ordinamento non ammette infatti casi atipici di sanatoria, in quanto diversamente dal condono essa «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, ‘anche di natura preventiva e deterrente’, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture ‘sostanzialiste’ della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità» (Corte cost., n. 101 del 2013) . Ed è evidente che la necessità di “negoziare” l’adeguamento ovvero la sua realizzazione, altro non è che uno strumento per legittimare una sanatoria condizionata, ovvero per far rivivere la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, istituto di creazione pretoria da tempo abbandonato dalla giurisprudenza.

Il concetto di “doppia conformità” richiesto ai fini della concessione della sanatoria ordinaria presuppone una verifica di rispondenza al regime urbanistico vigente sia all’atto dell’effettuazione dei lavori, che della presentazione dell’istanza in senso “statico”. L’astratta assentibilità dell’opera previa attivazione di uno specifico procedimento non equivale a concreta rispondenza della stessa al regime edificatorio vigente in una determinata zona.

L’ipotetica ammissibilità di un intervento, ove realizzato ex novo, in ragione dell’esistenza di apposita norma regolatoria che lo consente, a condizioni date, non equivale a conformità dello stesso al regime urbanistico vigente, che non può essere desunto dal successivo esito di ulteriori valutazioni. La nozione di “doppia conformità” richiesta dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è infatti, per così dire, a valenza staticoricognitiva, nel senso che presuppone una mera verifica formale da parte degli uffici, in quanto solo formale e non sostanziale è la natura dell’illecito di riferimento. Diversamente opinando, esso si tradurrebbe in una sorta di condono, anziché di sanatoria ordinaria, consentendo cioè l’avallo postumo di interventi che sostanzialmente, non solo formalmente, sono in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.

Titolo edilizio e stato legittimo dell’immobile

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 25 gennaio 2025, n. 227

Titolo edilizio – Stato legittimo dell’immobile – Condizioni di riconoscimento – Verifica della legittimità dei titoli pregressi da parte dell’Amministrazione – Presunzione

L’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella versione d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2024, n. 120, nello stabilire che “lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali” subordina la sussistenza dello stato legittimo dell’immobile alla condizione che l’Amministrazione, in sede di rilascio di un titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, non ammettendosi un’implicita attestazione di regolarità per quelle opere che, seppure rappresentate nello stato di fatto nelle pratiche edilizie, siano estranee all’intervento in precedenza assentito.

Alla luce delle linee di indirizzo e criteri interpretativi sull’attuazione del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (DL Salva Casa), in www.mit.gov.it: “La verifica della legittimità dei titoli pregressi da parte dell’amministrazione competente può essere presunta qualora nella modulistica relativa all’ultimo titolo edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare siano stati indicati gli estremi dei titoli pregressi sulla base del presupposto che, in sede di rilascio di ciascun titolo, l’Amministrazione è chiamata a verificare puntualmente, in base alla documentazione tecnica fornita dal richiedente, eventuali situazioni di difformità che ostano al rilascio del medesimo.”

Condono e pianificazione urbanistica successiva

Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2025, n. 1158

Pianificazione urbanistica – Piano urbanistico generale – Condono – Diritto quesito al riconoscimento di volumetria aggiuntiva – Non configurabilità – Piano regolatore generale – Pubblicazione – Ratio

È legittima la delibera comunale di approvazione del piano urbanistico generale (PUG) che, riguardo alla zona A, preveda che, in caso di effettuazione di un intervento di demolizione e ricostruzione, il proprietario possa usufruire dell’indice assegnato alla zona, senza alcun vantaggio derivante dal pregresso condono che ha legittimato in via eccezionale l’immobile in un dato momento storico. Pertanto, non è configurabile un “diritto quesito” a vedersi riconosciuta la volumetria aggiuntiva oggetto di condono rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente in via ordinaria.

La pubblicazione del progetto di piano regolatore generale (PRG) prevista dalle diverse e concordanti leggi regionali è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano quale adottato dal comune. Tale pubblicazione non è richiesta di regola per le successive fasi del procedimento, anche se il piano risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o modifiche introdotte in sede di approvazione regionale, salvo che si tratti di modifiche tali da stravolgere il piano e comportare nella sostanza una nuova adozione.

Ciclo integrato dei rifiuti e integrazione verticale

Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 18 febbraio 2025, n. 140

RSU – Piano di smaltimento – Gestione integrata in senso verticale in unico lotto funzionale – Onere istruttorio e motivazionale rafforzato – Principio di proporzionalità – Salvaguardia della libera concorrenza

Il Comune può, nell’ambito della propria discrezionalità, optare per una gestione dei rifiuti integrata in senso verticale, affidando congiuntamente il servizio a monte di spazzamento, raccolta e traporto, ed il servizio a valle di recupero e smaltimento, anziché prevedere due distinti lotti funzionali, con ciascuna tipologia di servizio. Questa scelta di prevedere un unico lotto funzionale, anziché due distinti, deve essere frutto di un’adeguata istruttoria, deve essere supportata da un’idonea motivazione e deve essere proporzionata agli scopi perseguiti, com’è necessario in ogni caso in cui una stazione appaltante opti per un unico lotto anziché per lotti frazionati. L’onere istruttorio e motivazionale nonché il vincolo derivante dal rispetto dal principio di proporzionalità, sono ancora più stringenti quando la scelta di articolare la gara in un unico lotto abbia ad oggetto il servizio di gestione dei rifiuti, e l’unico lotto accorpa in sé il servizio a monte di spazzamento, raccolta e trasporto, e il servizio a valle di recupero e smaltimento, in un’ottica di gestione integrata verticale, poiché una tale scelta può determinare significativi effetti distorsivi della concorrenza.

Lidi balneari, proroghe e accordi tra Stato e Commissione europea

Tar Liguria, Genova, sez. I, 19 febbraio 2025, n. 183

Demanio marittimo – Concessioni demaniali per finalità turistico ricreative – Scadenza dei termini ed indizione di nuove gare pubbliche – Rinnovo automatico – Divieto – Normativa eurounitaria e nazionale – Disapplicazione di norme in contrasto – Mancato rimborso per manufatti inamovibili – Legittimità

È legittima la delibera della giunta comunale di presa d’atto della scadenza delle concessioni demaniali marittime per attività turistico – ricreative alla data del 31 dicembre 2023 e di contestuale indizione di gare per l’assegnazione di nuove concessioni. Difatti, oltre tale data, le concessioni cessano di produrre effetti, dovendosi disapplicare per contrasto con le norme dell’ordinamento dell’Unione europea le ulteriori proroghe previste dall’articolo 12, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14 (fino al 31 dicembre 2024) e dall’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1.1, del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 2024, n. 166 (fino al 30 settembre 2027).

Va disapplicata, per contrasto con le norme dell’ordinamento dell’Unione europea, la proroga fino al 30 settembre 2027 delle concessioni demaniali marittime per attività turistico – ricreative prevista dall’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1.1, del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 2024, n. 166. Non può invocarsi in senso contrario un accordo tra lo Stato italiano e la Commissione europea, secondo cui le amministrazioni avrebbero l’obbligo di prorogare le concessioni balneari sino al settembre 2027 e ciò sia perché non risulta esistente un documento scritto racchiudente tale patto, sia in quanto, in ogni caso, un simile accordo non potrebbe prevalere sul dictum della Corte di giustizia dell’Unione europea in ordine all’incompatibilità unionale del rinnovo automatico delle concessioni.

È legittima la mancata previsione di un rimborso per i manufatti inamovibili in favore dei concessionari uscenti alla scadenza delle concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative. Difatti, deve ritenersi compatibile con il diritto europeo l’articolo 49 del codice della navigazione in base al quale, alla scadenza della concessione, il concessionario è tenuto a cedere gratuitamente e senza indennizzo le opere non amovibili erette sul sedime demaniale.

L’art. 4, comma 9, della l. n. 118 del 2022, sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b), del d.l. n. 131 del 2024, ha previsto in favore del nuovo concessionario, in aggiunta al valore degli investimenti non ancora ammortizzati al termine della concessione, un’equa remunerazione per gli investimenti effettuati nell’ultimo quinquennio, secondo criteri da definire con apposito decreto ministeriale e sulla base di una perizia redatta da un professionista scelto in una rosa di nominativi indicati dal presidente del consiglio nazionale dei dottori commercialisti.

Provvedimento autorizzatorio unico regionale e conferenza di servizi

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1071

Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (P.A.U.R.) – Ratio – Procedimento – Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area interessata dall’intervento nelle more del rilascio del P.A.U.R. – Principio di “doppia conformità” strumentale

Il procedimento scandito dall’art. 27-bis del decreto legislativo  3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), ha  ad oggetto il rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie non solo alla realizzazione, bensì anche all’esercizio del progetto stesso, configurando pertanto un procedimento “unico” che permette al proponente di ottenere il provvedimento finale che gli consenta, a seguito della sua adozione, di realizzare il progetto e porre in esercizio l’opera senza dover acquisire più alcun ulteriore titolo. Il P.A.U.R. peraltro non comporta un assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell’opera e non sostituisce i diversi provvedimenti, emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che mantengono la loro autonomia formale, bensì li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi.

La circostanza che sia conclusa la conferenza di servizi ex art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), con il rilascio della V.I.A., non comporta il rilascio del P.A.U.R. Infatti, affinché la conferenza di servizi possa valere come provvedimento autorizzatorio unico regionale, deve concludersi con una determinazione motivata che deve recare in allegato non solo la relazione finale della conferenza di servizi e il provvedimento di V.I.A. ma anche   le autorizzazioni e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto. Pertanto, ove nelle more del rilascio del P.A.U.R., comprensivo dell’A.I.A., sia intervenuta una proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area interessata dall’intervento, devono applicarsi le misure di salvaguardia di cui all’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), con conseguente immodificabilità dell’area oggetto di protezione, ai sensi dell’art. 146, comma 1 del citato decreto legislativo. Pertanto, a decorrere dalla data di adozione della proposta, e fino all’emanazione dell’eventuale decreto, l’amministrazione è obbligata a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni, operando immediatamente il principio di “doppia conformità” strumentale, dovendo ogni intervento risultare conforme agli strumenti vigenti e alle previsioni medio tempore adottate.

Occupazione sine titulo e istanza di acquisizione sanante

Consiglio di Stato, sez. IV, 13 novembre 2024, n. 9120

Espropriazione per pubblico interesse – Occupazione sine titulo – Obbligo di provvedere – Acquisizione sanante ex art. 42 bis d.P.R. 327/2001 – Discrezionalità – Potere sollecitatorio del privato – Silenzio della P.A. – Nuova istanza del privato – Obblighi di buona fede e collaborazione

Nei casi di illecita apprensione di immobili in violazione delle disposizioni del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, una volta scaduti i termini del decreto di occupazione d’urgenza in assenza del provvedimento espropriativo, sorge automaticamente a carico dell’amministrazione l’obbligo di porre rimedio agli effetti di un comportamento divenuto contra ius mediante la restituzione dell’immobile ovvero l’acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 bis. Tale scelta rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione che non attiene all’an, incompatibile con l’esistenza di un obbligo di provvedere, ma al quomodo, trattandosi di ipotesi decisionali alternative.

Nei casi di illecita apprensione di immobili in violazione delle disposizioni del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 spetta al privato la facoltà di sollecitare l’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’articolo 42 bis o, in alternativa, la restituzione del bene. Tale iniziativa ha funzione di sollecito e non di impulso procedimentale in senso proprio, rispetto ad un obbligo di provvedere che sorge a carico dell’amministrazione sin dal perfezionarsi dell’illecita occupazione e la cui violazione può essere accertata dal giudice su ricorso del privato senza bisogno di istanze formali.

In caso di silenzio serbato dall’amministrazione sulla domanda volta ad ottenere l’acquisizione sanante del bene occupato sine titulo ai sensi dell’art. 42 bis del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, l’eventuale irricevibilità del ricorso proposto oltre il termine annuale di decadenza di cui all’articolo 31, comma 2, del codice del processo amministrativo, non preclude al privato, in applicazione dei doveri di collaborazione e buona fede che incombono sulle parti della relazione procedimentale, di presentare una istanza sollecitatoria all’amministrazione, manifestando la persistenza dell’interesse all’adozione del provvedimento conclusivo. Tale domanda ha l’effetto di rendere nuovamente ammissibile l’azione avverso il silenzio ai sensi della seconda parte dell’articolo 31, comma 2, del codice del processo amministrativo, qualora l’inerzia dell’amministrazione perduri.

Dagli obblighi di buona fede e collaborazione contemplati dall’articolo 1, comma 2 bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241 discende che nei procedimenti d’ufficio in cui, a rigore, la legge non contempla oneri di impulso di natura procedimentale in capo al privato, è configurabile uno specifico onere per il privato di sollecitare l’amministrazione ad esercitare i propri poteri, evidenziando la persistenza dell’interesse ad una conclusione del procedimento con un provvedimento espresso, con conseguente applicabilità della seconda parte dell’articolo 31, comma 2, del codice del processo amministrativo.

Impianti di telecomunicazione e siti archeologici

Consiglio di Stato, sez.VI, 3 febbraio 2025, n. 846

Pianificazione urbanistica – Piano di localizzazione di impianti di telecomunicazione – Vicinitas sito archeologico – Sicurezza sanitaria – Onere motivazionale rafforzato

È legittimo il piano di localizzazione di impianti di telecomunicazione che sia adeguatamente motivato con la necessità di consentire la piena fruizione del sito archeologico rispetto alla inevitabile perturbazione derivante dai limiti di sicurezza sanitaria riferiti ai campi elettromagnetici generati dall’impianto ed in ipotesi aumentati dalla collocazione di nuove antenne trasmittenti sul medesimo traliccio.