GIURISPRUDENZA

Strade urbane e classificazione

Corte di Cassazione, Civile, Sez. III, 26 giugno 2024, n. 17668

Enti locali – Strade urbane – Classificazione – Definizione – Centri abitati – Termini – Condizioni

La Corte di Cassazione ha affermato che a norma dell’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, le strade urbane di cui al comma 2, lettere D), E) ed F), del medesimo articolo, sono sempre comunali quando sono situate nell’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti; ne consegue che, ai fini dell’individuazione dell’ente proprietario della strada inclusa nel centro abitato di un Comune, non è sufficiente il mero dato topografico, ma è necessario accertare se il Comune ha un numero di abitanti superiore o inferiore a diecimila.

TARSU e natura stagionale dell’attività

Corte di Cassazione, Sez. V, 8 agosto 2024, n. 22420

Enti locali – Tributi locali – TARSU – Natura stagionale dell’attività – Riduzione tariffaria ex art. 66, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 – Esplicita previsione regolamentare – Necessità – Fondamento

In tema di TARSU, la riduzione tariffaria per la c.d. natura stagionale dell’attività esercitata dal contribuente richiede un’esplicita previsione regolamentare, poiché l’art. 66, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 è una disposizione derogatoria, la cui applicazione è rimessa ad una facoltà discrezionale dell’ente locale.

Trasferimento del personale e conservazione del trattamento economico

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 10 settembre 2024, n. 24289

Lavoro pubblico – Pubblico impiego – Funzioni locali – Trasferimento – Inquadramento – Trattamento economico

In tema di pubblico impiego privatizzato, nel caso di passaggio di lavoratori da un’amministrazione ad altra ex art. 31 D. Lgs. n. 165 del 2001, devono essere assicurati la continuità giuridica del rapporto e il mantenimento del trattamento economico, il quale, ove superiore a quello spettante presso l’ente di destinazione, va calcolato applicando la regola del riassorbimento degli assegni ad personam attribuiti in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti a seguito del trasferimento. Il lavoratore dell’Ente sviluppo agricolo siciliano che, ai sensi dell’art. 7 della legge Regione Sicilia n. 19 del 2005, sia trasferito alle dipendenze dell’Agenzia regionale per i Rifiuti e le Acque, mantiene il diritto a conservare, se maggiore, il livello del trattamento economico precedente; tale trattamento economico va calcolato tenendo conto di tutti gli elementi della retribuzione la corresponsione dei quali sia certa nell’an e nel quantum e, quindi, anche del trattamento di Anzianità professionale edile, c.d. APE, previsto dall’art. 29 CCNL per le imprese edili ed affini del 20 maggio 2004 e legittimamente dovuto allo stesso lavoratore fino al momento del suo passaggio alla P.A. di destinazione, fatto salvo l’effetto del riassorbimento, che opererà sulla medesima retribuzione nella sua globalità e non sulle singole voci di questa.

Società in house e controllo analogo congiunto

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 8 luglio 2024, n. 18623

Enti locali – Società in house – Requisito del controllo analogo congiunto – Presupposti – Costituzione di un ufficio comune tra gli enti locali partecipanti – Ammissibilità

Il requisito del cd. “controllo analogo congiunto” – previsto, per le società “in house”, dall’art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 175 del 2016 – implica la necessaria previsione, da parte dello statuto, di strumenti idonei ad assicurare che ciascun ente partecipante, insieme agli altri, sia in grado di controllare l’attività della società controllata, potendo tale risultato essere raggiunto anche attraverso la costituzione, con apposita convenzione ex art. 30 TUEL, di un ufficio comune preposto alla consultazione e coordinamento degli enti locali coinvolti, in vista dell’approvazione degli atti fondamentali della vita sociale.

Posizioni organizzative e mancata conferma

Corte Suprema di Cassazione, Sez. Lavoro, 11 giugno 2024 n. 16139

Lavoro pubblico – Funzioni Locali – Demansionamento – Scadenza incarico di posizione organizzativa

Il conferimento dell’incarico di posizione organizzativa in favore di dipendente inquadrato nella posizione D3 del C.C.N.L. del 31 marzo 2009 comparto Regioni ed Autonomie locali – posizione alla quale non può attribuirsi alcun carattere di apicalità in termini di mansioni, differenziandosi solo sotto il profilo economico dalle altre posizioni della categoria D, non contraddistinta dallo svolgimento di compiti di responsabilità di un servizio – determina un mutamento non di profilo professionale, bensì di mere funzioni, comportanti unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità con correlato beneficio economico, funzioni che cessano alla naturale scadenza dell’incarico; ne consegue che, costituendo il rinnovo dell’incarico stesso una facoltà del datore di lavoro pubblico, il mancato esercizio della facoltà in questione – che non richiede alcuna determinazione, né motivazione – non può dar luogo a demansionamento.

Incarichi dirigenziali temporanei

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 22 luglio 2024, n. 20135

Lavoro pubblico – Pubblico impiego – Funzioni Locali – Incarichi dirigenziali temporanei ai sensi art. 109 del Dlgs 276/2000, art 52. del Dlgs 165/2001 e artt. 8 e ss. del CCNL

Questa Corte già in plurime pronunce (cfr. fra le tante Cass. n. 12106/2022, Cass. n. 19039/2022, Cass. n. 22579/2023), ha affermato che, ai sensi degli artt. 109, comma 2, e 110 del D.Lgs. n. 267 del 2000, nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale, le relative funzioni possono essere conferite a dipendenti con qualifica non dirigenziale, a cui vanno riconosciute, secondo i criteri dettati dalla contrattazione collettiva per il personale non dirigenziale del comparto Regioni ed Autonomie locali, in aggiunta al trattamento fondamentale previsto per la qualifica di inquadramento, una retribuzione di posizione, graduata in relazione alla natura dell’ incarico attribuito, e una retribuzione di risultato, quantificata in misura percentuale rispetto a quella di posizione, e corrisposta all’esito della valutazione positiva annuale, senza che trovi applicazione l’art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (cui conseguirebbe il riconoscimento del trattamento retributivo fondamentale ed accessorio previsto per il personale con qualifica dirigenziale dai CCNL per il personale dirigenziale dell’area II), sia perché le funzioni direttive svolte non possono essere ritenute estranee al profilo di inquadramento, sia perché le maggiori responsabilità assunta vengono retribuite in virtù delle previsioni della contrattazione collettiva. Il principio enunciato dalle citate pronunce è stato affermato in continuità, con quello, più generale e risalente nel tempo, secondo cui un ufficio può essere ritenuto di livello dirigenziale solo in presenza di un’espressa qualificazione in tal senso contenuta negli atti di macro-organizzazione adottati dall’amministrazione pubblica, perché in tutte le versioni succedutesi nel tempo, il D.Lgs. n. 29/1993, prima, e successivamente il D.Lgs. n. 165/2001 hanno riservato alle amministrazioni il potere di definire le linee fondamentali degli uffici, di individuare quelli di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi, di determinare la dotazione organica; si è, pertanto, affermato, sia con riferimento all’organizzazione statale che in relazione agli enti pubblici non economici, anche territoriali, che ove manchi l’istituzione dell’ufficio dirigenziale il giudice non può sostituirsi all’amministrazione e valutare la sostanza delle attribuzioni, per qualificare di natura dirigenziale l’attività svolta dal soggetto preposto alla direzione dell’ufficio che viene in rilievo (cfr. Cass. n. 33401/2019; Cass. 23874/2018; Cass. 350/2018; Cass. n. 10320/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione). Con specifico riferimento agli enti territoriali minori è stato evidenziato che il D.Lgs. n. 165/2001, in relazione ai poteri organizzativi propri dei Comuni e delle Province, rinvia al D.Lgs. n. 267/2000, non solo attraverso l’espresso richiamo contenuto nell’art. 70, comma 3, ma anche nel prevedere, all’art. 27, che le regioni a statuto ordinario e le altre pubbliche amministrazioni “nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell’art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità”.

Revoca degli incarichi ex art. 90 TUEL

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 7 agosto 2024, n. 22337

Lavoro pubblico – Pubblico impiego – Funzioni Locali – Rapporto a tempo determinato – Carattere fiduciario

Nei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stipulati ex art. 90 del D.Lgs. n. 267 del 2000, il recesso datoriale ad nutum per il venir meno del rapporto fiduciario, o per la decadenza dell’organo politico con il quale vi è un collegamento funzionale, è considerato un atto dovuto e non un licenziamento.

Ripetizione d’indebito

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 24 giugno 2024, n. 17320

Lavoro pubblico – Pubblico impiego – Funzioni locali – Recupero somme indipendentemente erogate ai dipendenti pubblici

In tema di recupero delle somme indebitamente erogate ai dipendenti pubblici, l’art. 4, comma 1, del D.L. n. 16 del 2014, convertito dalla legge n. 68 del 2014, non deroga all’art. 2033 c.c., pertanto la pubblica amministrazione può recuperare direttamente dal dipendente che le abbia percepite le somme indebitamente versate.

Falsa attestazione della presenza in ufficio

Corte di Cassazione, Penale, Sez. IV, 22 agosto 2024, n. 33015

Pubblico impiego – Condotta dipendente – Truffa aggravata – Attestazione della presenza – Badge

La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di “truffa aggravata” ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili, e anche una “indebita percezione” di poche centinaia di Euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica.

Crediti retributivi e termine di prescrizione

Corte di Cassazione, Civile, Sez. Unite, 28 dicembre 2023, n. 36197

Lavoro pubblico – Prescrizione – Termine – Crediti retributivi

E’ noto il consolidato orientamento del giudice di legittimità, secondo cui nel pubblico impiego, anche quello contrattualizzato, anche se a tempo determinato, la prescrizione dei diritti retributivi decorre in corso di rapporto mano a mano della loro insorgenza o alla cessazione del rapporto per i diritti che da essa traggono origine. In un giudizio promosso dal dipendente stabilizzato di un ente pubblico per ottenere, ai fini degli scatti stipendiali, il riconoscimento dell’anzianità pregressa nell’ambito di una serie di contratti a termine, la sezione lavoro della Corte, essendo stata eccepita la prescrizione degli scatti maturati nel periodo di precariato, aveva proposto alle sezioni unite una rimeditazione del tema della decorrenza della prescrizione nel pubblico impiego alla luce dell’evoluzione della legislazione (in particolare, nel pubblico impiego una legge del 2017 ha limitato l’ammontare del risarcimento danni in caso di licenziamento illegittimo) e della giurisprudenza in materia (importante su questo piano, la recente sentenza della Corte che è tornata a ritenere che nell’impiego privato – alla luce delle modifiche legislative intervenute nella disciplina degli effetti del licenziamento dichiarato illegittimo, nel senso di una tutela prevalentemente indennitaria – la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto). Le sezioni unite optano ancora una volta per la conferma della decorrenza della prescrizione in corso di rapporto, anche a tempo determinato (per la cui utilizzazione, nel pubblico impiego vige anche una disciplina legale limitativa), sulla base di considerazioni che valorizzano la maggiore stabilità del rapporto pubblico rispetto a quello privato, derivante soprattutto dal fatto che la P.A. è tenuta, in base alla legge e alla stessa alla Costituzione, a rispettare principi e vincoli che allontanerebbero dal lavoratore il timore di ritorsioni a fronte di azioni a difesa dei suoi diritti nonché dall’esistenza di una giurisdizione efficace di tutela del dipendente nel caso di compimento di atti illegittimi.