Abuso edilizio

Abuso edilizio e oneri per l’acquisizione al patrimonio pubblico

Consiglio di Stato, sez. II, 12 aprile 2024, n. 3351

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Onere di notifica

Affinché un bene immobile abusivo possa formare legittimamente oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo, in omaggio ai fondamentali principi di tutela del diritto di difesa e di partecipazione procedimentale.

Abuso edilizio e costruzioni ante 1967

Consiglio di Stato, sez. II, 8 febbraio 2024, n. 1297

Abuso edilizio – Abusi commessi ante 1967 – Regolamento edilizio su costruzione in aree fuori del centro abitato – Principio di uguaglianza – Certificato di abitabilità – Effetto sanante – Ratio – Certificato di agibilità – Ratio

Il regolamento edilizio discrezionalmente adottato da un ente locale, che prima del 1967 abbia subordinato l’esercizio del jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato, non integra la violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale sotto il profilo anche della diversità di trattamento a cui sarebbero stati sottoposti in relazione all’esercizio del jus aedificandi, a seconda che l’edificazione fosse o meno avvenuta in un Comune che aveva adottato quel regolamento, intuitivamente diverse essendo le singole realtà locali, con la conseguenza che neppure è immediatamente apprezzabile la violazione del principio di uguaglianza e la connessa diversità di trattamento.

Il rilascio del certificato di abitabilità non ha alcun effetto sanante rispetto alle opere abusive, in quanto la illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento del certificato di agibilità che riguarda profili diversi; i due provvedimenti svolgono funzioni differenti e hanno diversi presupposti che ne condizionano il rispettivo rilascio.

Il certificato di agibilità serve ad accertare che l’immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico degli edifici e degli impianti, viceversa il titolo edilizio attesta la conformità dell’intervento alle norme edilizie ed urbanistiche che disciplinano l’area da esso interessata.

Abusi edilizi e “centro abitato”

Consiglio di Stato, sez. II, 22 marzo 2024, n. 2798

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato di luoghi – Inottemperanza – Notifica – Ratio – Edificazione libera – Onere probatorio – Centro abitato – Definizione – Distanza edificazione da nastro stradale

La notifica del verbale di inottemperanza costituisce una parentesi accertativa/informativa quando il procedimento sanzionatorio è destinato a sfociare nella perdita della proprietà. Essa da un lato consente all’amministrazione di verificare l’elemento materiale dell’illecito, dall’altro mette il suo autore in condizione di difendersi, potendo trattarsi del nudo proprietario, estraneo e finanche inconsapevole della prima fase del procedimento. Risponde dunque ad esigenze di garanzia di difesa, ma anche a logiche di risparmio, stante che l’avvenuta demolizione spontanea, seppure tardiva, soddisfa pienamente e a costo zero le esigenze di buon governo del territorio dell’Amministrazione vigilante. Il rispetto delle scansioni procedurali previste dal legislatore, quindi, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati, ovvero la salvaguardia dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, e la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi. Il che poi, sotto altro concorrente profilo, conduce a non svalutare il valore del verbale del sopralluogo, in genere demandato alla Polizia municipale, che constata l’omessa demolizione del manufatto abusivo.

L’obbligo di comprovare la preesistente consistenza di un immobile all’epoca di edificazione libera grava sulla proprietà. Il privato, cioè, è onerato a provare la data di realizzazione dell’intervento edilizio, non solo per poter fruire del beneficio di una sanatoria, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi. Solo il privato, infatti, può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, in via generale, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio negli anni precedenti al 1967. Come è noto, infatti, solo con l’art. 10 della l. n. 765/1967 (entrata in vigore il 1° settembre 1967), l’obbligo di licenza edilizia è stato esteso a tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sull’intero territorio comunale. In precedenza, l’art. 31, comma 1, della l. n. 1150 del 1942 lo prevedeva solo per certi interventi edilizi e limitatamente ad alcune zone territoriali, ovvero, per quanto qui di interesse, i centri abitati e, ove esisteva il piano regolatore comunale, anche le zone di espansione ivi espressamente indicate, salvo quanto dettato per altre zone o per tutto il territorio comunale dal Regolamento edilizio, accompagnato o meno dal Programma di fabbricazione comunale. Al fine di agevolare la prova di tale stato legittimo dell’immobile, laddove si tratti di manufatti che insistono in loco da molti anni, il legislatore ha introdotto il comma 2-bis nell’art. 9-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (d.l. n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120 del 2020), che consente di attingere ai titoli abilitativi relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative.

La definizione di “centro abitato” non è rinvenibile in termini univoci, per cui occorre far riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza. Esso trova ora riscontro nell’art. 3 del c.d. nuovo codice della strada, che lo identifica in un «insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine», che tuttavia nasce per esigenze di diversificazione delle regole di circolazione stradale. Va, dunque, individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili. La sua rilevanza urbanistica discende dalla legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge ponte) che introducendo l’art. 41-quinquies nella l. n. 1150 del 1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei Comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione e, quindi, dal D.M. 1° aprile 1968, n. 1404, in ordine alle distanze dell’edificazione dal nastro stradale. Non risponde dunque al preciso disposto del richiamato art. 41-quinquies, comma 6, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, assimilare ciò che nel lessico comune fa pensare all’originario nucleo abitato (il “borgo antico”, appunto), alla necessaria perimetrazione di una zona espressamente richiesta dalla legge.

Abuso edilizio su demanio o patrimonio pubblico

Tar Veneto, Venezia, sez. II, 13 marzo 2024, n.493

Abuso edilizio su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici – Disciplina speciale – Responsabilità – Provvedimenti ripristinatori – Natura giuridica – Affidamento – Indennità di occupazione senza titolo

L’articolo 35 del d.P.R. 380/2001 dispone che “Qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo”.

Con la locuzione “responsabile dell’abuso” utilizzata dal Testo unico dell’edilizia si intende non solo chi ha materialmente posto in essere la condotta contestata, ma anche colui che ha l’attuale disponibilità materiale del bene e quindi è in grado di provvedere alla sua demolizione, restaurando così l’ordine violato.

I provvedimenti ripristinatori di opere abusive hanno carattere reale e natura ripristinatoria e non sanzionatoria o punitiva; non prevedono, quindi, l’accertamento dell’imputabilità della trasgressione e hanno contenuto vincolato.

Per quanto riguarda gli abusi realizzati su proprietà pubblica, il richiamato articolo 35 del T.U. edilizia introduce una disciplina di particolare rigore, perché non prevede misure alternative alla demolizione. Il ripristino, infatti, ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza neanche l’approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto.

L’abuso edilizio è un illecito permanente, rispetto al quale non è configurabile alcun affidamento meritevole di tutela. Inoltre, l’indennità di occupazione senza titolo non riguarda i profili edilizi dell’intervento e non è in alcun modo idonea a legittimare l’assenza di titolo, nemmeno sotto il profilo del rapporto concessorio.

Abuso edilizio, ordine di demolizione e sequestro penale delle aree

Consiglio di Stato, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2643

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Sequestro penale – Rapporti

Poiché l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio è autonomo rispetto ai poteri repressivi rimessi ad altre Autorità (e in particolare: all’Autorità giudiziaria penale), la circostanza che il manufatto abusivo sia oggetto di sequestro penale è irrilevante ai fini del corretto esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità comunale, con il corollario che la pendenza del sequestro penale non rende illegittimo l’ordine di demolizione avente a oggetto lo stesso immobile.

Ai fini della legittimità di un ordine di demolizione, della sua eseguibilità e della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, è irrilevante la pendenza di un sequestro, poiché la misura cautelare reale non costituisce un impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione, in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’art. 85 disposizione di attuazione del codice di procedura penale.

Una cosa è, sul versante penalistico e processualpenalistico, l’ordine di distruzione del manufatto abusivo, a cura e a spese dell’imputato, impartito dal giudice penale quale conseguenza obbligata derivante dalla sentenza di condanna, e altro è, sul versante amministrativo e delle procedure d’infrazione urbanistico-edilizie, l’ordine di rimozione, ovvero di demolizione, emanato dal dirigente comunale competente ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001.

La sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione, né integra causa di forza maggiore impeditiva della demolizione, dato che sussiste la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile al fine di ottemperare all’ingiunzione di demolizione, alla luce della consolidata giurisprudenza in materia di provvedimenti di repressione dell’abusivismo edilizio, e dei loro rapporti con il sequestro penale.

Il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorre sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa, ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre.

Abuso edilizio e data di esecuzione dello stesso

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 8 marzo 2024, nn. 1, 2, 3

Abuso edilizio – Fiscalizzazione – Sanzione – Determinazione

Con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, deve intendersi il momento di realizzazione delle opere abusive.

Ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria, da determinare ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, deve procedersi all’individuazione della superficie convenzionale, ai sensi dell’art. 13 della l. n. 392 del 1978, ed alla determinazione del costo unitario di produzione, sulla base del decreto aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. Il costo complessivo di produzione, dato dalla moltiplicazione della superficie convenzionale, con il costo unitario di produzione, va attualizzato secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione.

Abuso edilizio e prescrizione al diritto al conguaglio

Consiglio di Stato, sez. VII, 30 gennaio 2024, n. 911

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Silenzio assenso – Prescrizione diritto al conguaglio delle somme dovute – Condizioni – Decorrenza – Modifica destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Preavviso di rigetto – Sanatoria processuale

Il termine di 24 mesi, decorso il quale si forma il silenzio assenso su una domanda di condono edilizio, presuppone che la domanda stessa sia completa di tutta la documentazione necessaria a valutarla.

Le normative che disciplinano i condoni e il decorso dei termini fissati – ventiquattro mesi per la formazione del silenzio-accoglimento sull’istanza di condono edilizio e trentasei mesi per la prescrizione dell’eventuale diritto al conguaglio delle somme dovute – presuppongono, in ogni caso, la completezza della domanda di sanatoria, accompagnata, in particolare, dall’integrale pagamento di quanto dovuto a titolo di oblazione, per quanto attiene la formazione del silenzio-accoglimento.

Il termine di prescrizione dell’eventuale diritto al conguaglio delle somme versate decorre dal momento di formazione del titolo edilizio in sanatoria – in modo espresso o secondo il meccanismo dell’accoglimento tacito – e non dal momento di presentazione della domanda.

Il mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie configura, in ogni caso, un’ipotesi di ristrutturazione edilizia; ciò in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Sussiste una differenza netta tra mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale e cambio di destinazione d’uso che operi un passaggio tra diverse categorie funzionali (ad esempio: da rurale a commerciale). Quest’ultimo, infatti, anche se operato in assoluta carenza di opere, è riconducibile alla categoria degli “interventi di nuova costruzione” di cui alla lett. e) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (ovvero “interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”), con necessario assoggettamento a permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), dello stesso testo unico e al relativo regime contributivo e sanzionatorio.

Ferma la necessità del preavviso di rigetto anche in materia di condono edilizio, la regola contenuta dell’art. 21 octies della legge n.241/1990, che esclude l’applicabilità della c.d. sanatoria processuale del provvedimento annullabile in caso di violazione delle garanzie partecipative offerte dall’art. 10 bis, si applica ai soli provvedimenti discrezionali.

Abuso edilizio e interventi successivi

Consiglio di Stato, sez. VII, 23 novembre 2023, n. 10039

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Interventi edilizi successivi

La normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive. Pertanto, la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.

Il condono straordinario ex lege n. 47/1985 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni. D’altra parte, v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.

Abuso edilizio e sanatoria processuale

Tar Lazio, Roma, sez. IV ter, 8 novembre 2023 n. 16595

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Preavviso di rigetto – Onere probatorio rafforzato

Ferma la necessità del preavviso di rigetto anche in materia di condono edilizio, la regola contenuta dell’art. 21 octies 241/90 che esclude l’applicabilità della c.d. sanatoria processuale del provvedimento annullabile in caso di violazione delle garanzie partecipative offerte dall’art. 10 bis, si applica ai soli provvedimenti discrezionali. Inoltre, in caso di procedimenti vincolati, quale quello di condono edilizio, grava sull’istante l’onere di dimostrare che l’apporto fornito in sede procedimentale avrebbe potuto influire sul provvedimento finale. In questo senso, l’art. 21 octies della l. n. 241/90 introduce un onere di allegazione e probatorio “rafforzato” a carico del privato che intende far valere la violazione delle garanzie partecipative offerte dall’art. 10 bis.

Abusi edilizi e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. VI, 8 novembre 2023, n. 9612

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Epoca di realizzazione del manufatto – Onere probatorio – Prova testimoniale

In via generale, va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l’onere di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c. d. legge “ponte” n. 761 del 1967, che con l’art. 10, novellando l’art. 31 della l. n. 1150 del 1942, ha esteso l’obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano. Ciò non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.

Infatti, solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori, che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio. La prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate.

Nelle controversie in materia edilizia, la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo.

Laddove si versi in materia di repressione degli abusi edilizi, grava sull’amministrazione l’onere di adeguata istruttoria relativamente all’epoca di edificazione del manufatto ai fini della individuazione del regime giuridico applicabile alla fattispecie concreta, fermo restando, secondo l’ordinario criterio di riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), che è sul privato che afferma una diversa epoca di realizzazione del manufatto che incombe l’onere di provare la risalenza dell’immobile ad epoca anteriore.