Pianificazione urbanistica e danno da perdita di chance
Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2024, n. 2647
Pianificazione urbanistica – Diniego di proroga del termine per il piano attuativo – Danno da perdita di chance – Nozione – Interpretazioni dottrinal-giurisprudenziali – Requisiti – Lucro cessante – Domanda risarcitoria – Assenza di prova
La chance è una figura di creazione giurisprudenziale che è stata elaborata al fine di venire incontro alle esigenze di tutela della parte, nel caso in cui la prova del fatto illecito rispetto al bene della vita finale sia sostanzialmente difficile, o impossibile. Tale figura è diversamente ricostruita in dottrina e in giurisprudenza.
Secondo la cd. concezione ontologica, la chance viene considerata un bene autonomo suscettibile di valutazione economica da intendersi come “perdita della possibilità di conseguire un risultato utile” e dunque rileva come danno emergente; secondo la cd. concezione eziologica, la chance viene considerata come “perdita di un risultato utile”, che si proietta nel futuro e dunque rileva come lucro cessante. La Corte di Cassazione con un recente orientamento (inaugurato a partire dalla decisione 9 marzo 2018, n. 5641; in termini anche Corte di Cassazione 28993/2019) ritiene che le esposte concezioni devono essere superate e che la chance di tipo patrimoniale si caratterizza per la presenza degli ordinari elementi costitutivi della responsabilità civile, ma con la rilevante particolarità rappresentata dal fatto che essa trae origine, in presenza di peculiari fattispecie, da quella che la Cassazione definisce “incertezza eventistica”.
Per aversi un danno da perdita di chance occorre, infatti, che siano presenti i seguenti elementi costitutivi: a) una condotta colpevole dell’agente; b) un evento di danno, che determina la lesione del bene giuridico protetto (danno ingiusto); c) un nesso di causalità tra la condotta e l’evento, ricostruita secondo la regola del “più probabile che non”; d) una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non, che devono essere derivanti in modo diretto e immediato dal fatto lesivo. La prova di tutti i suddetti elementi costituiti incombe in capo al danneggiato.
Il fatto illecito può ravvisarsi nell’attività provvedimentale illegittima posta in essere dall’amministrazione comunale, costituita dal diniego di proroga del termine per il piano attuativo. In particolare, il danno da perdita di chance può derivare dalla mancata approvazione del progetto di lottizzazione e quindi dalla perdita della possibilità di avviarne l’attuazione direttamente, o tramite soggetti terzi, con conseguente perdita di un’occasione favorevole, ovvero della possibilità di lottizzazione del terreno e di un suo sfruttamento edificatorio. La chance, in questo caso, assume la consistenza di una possibilità apprezzabile, in base al consistente grado di sviluppo raggiunto dal procedimento relativo al piano attuativo.
Sussiste un nesso di causalità tra il provvedimento comunale illegittimo e il danno sofferto; tale nesso non può essere disconosciuto sostenendo che, anche nel caso della concessione della proroga, ignota sarebbe stata la sorte del piano attuativo, in ragione del fatto che sussistevano tutta una serie di criticità paesaggistiche ed ambientali.
L’elemento soggettivo della responsabilità può desumersi non solo dall’illegittimità del provvedimento amministrativo poi annullato in sede giurisdizionale, ma anche dal complessivo comportamento serbato dall’Amministrazione, ove non si ravvisino gli estremi del c.d. errore scusabile.
Il mancato riconoscimento del danno da lucro cessante non integra un’insanabile contraddizione con il riconoscimento del danno da perdita di chance, in quanto costituisce una piana applicazione dei principi generali, in punto di quantificazione del danno.
Quando è proposta una domanda risarcitoria, l’assenza di prova non può essere sopperita, neppure facendo leva sul c.d. metodo acquisitivo, proprio del processo amministrativo impugnatorio, in quanto nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo e dell’onere della prova, sancito in generale dall’ art. 2697, primo comma, c.c., opera con autonoma pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo, proprio invece dell’azione di annullamento. Ne discende che spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno e, se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e, quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito.