Titolo edilizio

Potere d’intervento in autotutela c.d. “tardivo”

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 15 novembre 2024, n. 6291

Titolo edilizio – SCIA – Potere di intervento in autotutela c.d. “tardivo” – Condizioni – Comunicazione di avvio del procedimento

Ai fini del legittimo esercizio del potere di intervento in autotutela c.d. “tardivo” sulla segnalazione certificata di inizio attività è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, l’Autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Solo laddove il titolo abilitativo sia stato ottenuto in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, è consentito all’amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa.

Ristrutturazione di ruderi e titolo edilizio

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 12 novembre 2024, n. 166

Titolo edilizio – Ristrutturazione e ricostruzione di ruderi – Caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente – Immobili realizzati in data anteriore al 1967 – Documentazione a comprova della consistenza della precedente costruzione – Contenuti

Con riferimento all’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, a partire dall’art. 30, primo comma, del d.l. n. 69 del 2013 convertito con legge n. 98 del 2013, la categoria della ristrutturazione è estesa anche “al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza…..” e dunque è superato il rigore precedentemente espresso quanto all’ammissibilità della ricostruzione di ruderi solo in caso di espressa previsione, negli strumenti urbanistici, della categoria di intervento corrispondente alla nuova costruzione; ciò purché l’edificio preesistente abbia le stesse dimensioni di quello crollato.

Le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente devono essere determinabili (fra cui volumetria, altezza e struttura complessiva), con la conseguenza che anche la mancata dimostrazione di uno solo di questi elementi determina l’insussistenza del requisito previsto dalla norma.

La preesistente consistenza non può essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma deve invece basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili.

Quando si tratta di immobili realizzati in data anteriore all’anno 1967, allorquando la realizzazione di nuove costruzioni non presupponeva il rilascio di un titolo edilizio, per la dimostrazione delle caratteristiche essenziali dell’edificio, l’amministrazione non (può) pretendere la produzione di progetti aventi data certa che dimostrino, con assoluta precisione, tutte le caratteristiche dimensionali dell’edificio crollato, posto che questa pretesa renderebbe di fatto inapplicabile la norma di cui all’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R n. 380 del 2001 per gli immobili edificati prima dell’anno 1967. Per questi immobili, occorre quindi ammettere la possibilità di fornire in modo diverso la dimostrazione della preesistente consistenza, producendo prove che inevitabilmente non possiedono quel grado di precisione che caratterizza la documentazione progettuale.

La documentazione prodotta a comprova della consistenza del precedente edificio da ricostruire deve essere idonea a dimostrare, quantomeno secondo un criterio di attendibilità, gli elementi essenziali dell’immobile diruto.

Impianti solari fotovoltaici sugli edifici e titolo edilizio

Consiglio di Stato, sez. VII, 9 ottobre 2024, n. 8113

Intervento di nuova costruzione – Installazione di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici – Titolo edilizio – Regime derogatorio ex art. 9 d. l. n. 17/2022 – Condizioni – Ratio

L’art. 9 del decreto legge 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 – secondo cui l’installazione “con qualunque modalità” di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – non prevede una illimitata facoltà di deroga a tutte le norme del testo unico sull’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 che sarebbe contraria ai criteri previsti in tema di concorso fra norme di pari grado che regolano la medesima fattispecie e all’interesse pubblico al corretto sviluppo dello sfruttamento edilizio del territorio. Pertanto, la tendenziale derogabilità alle norme in materia edilizia prevista dall’articolo 9 vale solo: i) allorquando l’interessato dimostri di non avere possibilità alternative, cioè tecnicamente equivalenti, di installazione in altri luoghi; ii) a condizione che non si ottengano indebiti incrementi di volumetrie e superfici utilizzabili per altri scopi, che non siano strettamente connessi ad esigenze tecniche perché, in quest’ultimo caso, l’intervento comunque richiede il necessario titolo edilizio.

L’art. 9 del decreto legge 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 – secondo cui l’installazione “con qualunque modalità” di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – mira a consentire la semplificazione dell’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili su edifici già esistenti e non può essere inteso nel senso di ammettere la realizzazione di qualunque intervento di nuova edificazione alla sola condizione che la stessa ospiti tra l’altro un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Titolo edilizio e silenzio-assenso

Tar Liguria, Genova, sez. II, 7 novembre 2024, n. 755

Titolo edilizio – Silenzio-assenso – Conformità/Difformità alla disciplina urbanistica – Contrasto interpretativo

È noto che, in merito all’applicazione dell’art. 20 comma 8 del D.P.R. n. 380/2001 (“Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”), si confrontano in giurisprudenza due orientamenti.

Un primo orientamento a mente del quale “la conformità di un progetto alla disciplina urbanistica costituisce un [mero] requisito di validità del silenzio-assenso che matura sulla richiesta del permesso di costruire; di conseguenza, la difformità della disciplina urbanistica può legittimarne l’annullamento, ma non impedisce la formazione del silenzio-assenso”.

Un secondo orientamento ritiene invece che, nonostante la natura tendenzialmente vincolata del permesso di costruire, il mero decorso del termine non sia di per sé sufficiente alla formazione del silenzio-assenso, essendo a tal fine anche necessario che l’intervento edilizio sia effettivamente conforme agli strumenti urbanistici ed alle altre disposizioni di legge.

E ciò, non potendosi ipotizzare che, a seguito di un non tempestivo esercizio del potere amministrativo, possa ottenersi per silenzio ciò che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte dell’Amministrazione.

Orbene, il collegio ritiene di aderire a quest’ultimo orientamento, allo stato ancora prevalente.

Titolo edilizio e diritti dei terzi

Consiglio di Stato, sez. II, 11 settembre 2024, n. 7523

Titolo edilizio – Condizioni per il rilascio – Relazione qualificata col bene – Oneri verificatori del Comune – Effetti sui rapporti interprivati

Il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria.

È onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma ciò non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.

Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.

In sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto.

Il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o l’esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d’intervento.

Con l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia, nel circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia, si intende ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.

Il provvedimento autorizzatorio in materia edilizia inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio; per converso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.

Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce, una volta realizzato, illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.

Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendano tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.

Né, in quella sede, vi è necessità di disapplicazione dell’atto amministrativo, poiché ciò che il Giudice ordinario accerta è – direttamente – la lesione del diritto reale, che non interviene “per il tramite” del provvedimento amministrativo, ma per effetto dell’attività edilizia del privato, legittimata sul piano amministrativo dal provvedimento, ma da questo non “coperta” sul piano civilistico.

In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto, se non nei limiti in cui la violazione della norma civilistica si risolva (anche) in un pregiudizio per l’interesse pubblico.

Diversamente opinando, si perviene ad una “sovrapposizione” delle forme di tutela, poiché, di fatto, si determina una tutela dell’interesse legittimo per il tramite delle norme direttamente poste a tutela del diritto soggettivo, con una conseguente attribuzione al giudice amministrativo di ambiti giurisdizionali che, invece, sono propri del giudice ordinario (in pratica, un fenomeno di “doppia giurisdizione”). E ciò, per di più, in presenza di una “estraneità”, espressamente (e correttamente) affermata, del titolo edilizio ai “diritti dei terzi” e, dunque, ai rapporti dominicali interprivati.

Titolo edilizio e autotutela

Tar Campania, Napoli, sez. II, 18 settembre 2024, n. 5036

Titolo edilizio – Annullamento in autotutela – Comunicazione antimafia – Vincolatività – Natura giuridica accertativa

L’annullamento in autotutela di un permesso a costruire, per intervenuta comunicazione antimafia, è un atto di ritiro vincolato ed accertativo della temporanea incapacità giuridica del soggetto ad essere destinatario di provvedimenti amministrativi ampliativi, che prescinde, dunque, dall’operatività dei presupposti nonché dei limiti applicativi dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990. A seguito della comunicazione antimafia, la pubblica amministrazione non può, pertanto, rilasciare alcun titolo legittimante lo svolgimento di una qualsiasi attività economica o commerciale e, allorché già emesso, è ineludibile il suo ritiro, stante la sua sostanziale incompatibilità con lo status di destinatario di una interdittiva antimafia.

Ritardi nei pagamenti dei contributi concessori

Consiglio di Stato, sez. IV, 28 agosto 2024, n. 7298

Titolo edilizio – Oneri di urbanizzazione e contributi di costruzione – Polizza fideiussoria – Inadempimento – Potere sanzionatorio del Comune

In tema di contributo concessorio, nessuna norma condiziona il potere sanzionatorio del Comune, che si inserisce nell’ambito di un rapporto pubblicistico, alla previa sollecitazione di pagamento del fideiussore. L’amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il garante, ma ove ciò non accada, essa ha comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all’aumentare del ritardo.

I requisiti di “ruralità”

Consiglio di Stato, sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7155

Titolo edilizio – Variazioni catastali – Agevolazioni ex art. 9, c. 9, D.L. 557/1993 – Ratio – Oneri – Perdita dei requisiti di ruralità

L’agevolazione concessa dall’art. 9, comma 9, del D.L. 557/1993 risulta correlata alle sole variazioni catastali, sicché non può ritenersi sufficiente ai fini della modifica della disciplina dei presupposti in base ai quali è consentito l’assentimento del condono, di cui alla legge n. 47 del 1985, per opere abusivamente realizzate. E invero, la ratio della previsione di cui all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 può rinvenirsi esclusivamente nella volontà del legislatore di effettuare il censimento di tutti i fabbricati, urbani o rurali, al fine di individuare gli immobili rurali che possano godere delle agevolazioni fiscali, ossia dell’esenzione dal pagamento del contributo di cui all’art. 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e delle imposte dirette.

L’art. 9 co. 9 del d.l. n. 557/1993 non rende esente dagli oneri l’assentimento del condono per opere abusivamente realizzate, riferendosi viceversa la disposta esenzione a eventuali ulteriori oneri dovuti, pur in assenza di opere, in conseguenza delle “variazioni” nell’iscrizione catastale dei fabbricati già rurali.

L’Adunanza Plenaria su decadenza del titolo edilizio e opere non completate

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30 luglio 2024, n. 14

Titolo edilizio – Permesso di costruire – Esecuzione dei lavori parziale – Decadenza – Effetti – Opere non autonome e funzionali – Demolizione – Opere autonome e funzionali – Difformità non gravi – Sanzione pecuniaria – Accertamento di conformità – Ammissibilità

In caso di realizzazione, prima della decadenza del permesso di costruire, di opere non completate, occorre distinguere a seconda se le opere incomplete siano autonome e funzionali oppure no; nel caso di costruzioni prive dei suddetti requisiti di autonomia e funzionalità, il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire.

Qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati – ferma restando l’esigenza di verificare se siano state realizzate le opere di urbanizzazione e ferma restando la necessità che esse siano comunque realizzate – devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire. Qualora, invece, le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

È fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica.

Deposito di materiali a cielo aperto

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 12 luglio 2024, n. 2531

Titolo edilizio – Permesso di costruire – Deposito di materiali o esposizioni di merci a cielo libero – Non occasionalità

Ai sensi del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono soggette a permesso di costruire (già concessione edilizia) le “occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizioni di merci a cielo libero” qualora non meramente occasionali o estemporanee. Il previgente art. 7, comma 2, del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982, n. 94 – abrogato con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001 – nel prevedere la mera autorizzazione gratuita per tali opere si riferiva, in ogni caso, ad interventi finalizzati a soddisfare esigenze improvvise o transeunti, non destinati a produrre effetti permanenti sul territorio.